Anche se si tratta sempre di un’operazione che richiede sacrificio, come l’anno scorso, vi proponiamo una selezione dei film che più ci hanno colpito nel corso del 2016. La prima parte, divisa per autore, è dedicata a tutti i film che abbiamo apprezzato. Nella seconda parleremo invece di alcune pellicole particolarmente deludenti. Nella terza, infine, troverete le nostre personalissime Top 10.
Buona lettura!
INDICE
Tomàs Avila.
Molly Jensen.
Veniavelia.
10 Cloverfield Lane
I motivi più validi per vedere 10 Cloverfield Lane sono senza dubbio i nomi che stanno dietro al progetto: se J.J. Abrams, Drew Goddard e Matt Reeves producono – il primo non ha bisogno di presentazioni mentre il secondo invece si era occupato della sceneggiatura dell’immenso Cloverfield con il terzo a curarne la regia – tra gli sceneggiatori di questo sequel/spin off spicca Damien Chazelle, già regista e sceneggiatore di Whiplash.
La campagna di marketing è stata tra le più intelligenti viste ultimamente, non a caso dietro al film, come abbiamo già detto, ci sono gli stessi del primo Cloverfield.
Nonostante lo stile di 10 Cloverfield Lane cambi completamente, quindi niente più macchina a mano, distruzione di città e un ritmo molto più dilatato, (J.J. Abrams ha voluto definire la pellicola “consaguinea” di Cloverfield) la tensione è sempre altissima e la pellicola si regge completamente solo su tre attori che offrono delle interpretazioni impeccabili, tra i quali spicca John Goodman. Senza dubbio tra i migliori film di questo 2016, motivo per cui per un parere più approfondito vi rimando alla nostra recensione.
Qui invece potete trovare una dettagliata analisi su Cloverfield.
31
Il ritorno di Rob Zombie, a quattro anni da Le Streghe di Salem, ha deluso la maggior parte dei suoi fan.
Questo probabilmente perché in 31 vengono abbandonate le atmosfere oniriche e surreali del suo film precedente per abbracciare nuovamente quelle sporche e violente del suo esordio La casa dei 1000 corpi.
Il punto debole è senza dubbio la storia poco originale e prevedibile, che rende la pellicola probabilmente una delle meno riuscite di Zombie; tuttavia non si può negare che quest’ultimo rimane uno dei pochi che riescono a tenere vivo quel tipo di orrore che ormai sta sempre più lentamente scomparendo, ovvero quello americano tipico degli anni ’70, presente in The Texas Chainsaw Massacre, Le colline hanno gli occhi e via dicendo. Pertanto, proprio in ragione al voler mantenere vivo questo spirito tanto caro a Zombie, il regista continua a voler raccontare la provincia americana popolata dai freaks.
Che altro dire? In linea teorica i primi e gli ultimi minuti da soli varrebbero la visione del film, così come la follia di alcuni personaggi che si può trovare soltanto nei film di Zombie.
Nonostante la delusione di molti sia comprensibile, va detto che Rob Zombie aveva già spiegato più volte che il suo stile non è quello di Le streghe di Salem (film che dunque visto come un’eccezione nella sua filmografia) ma quello delle sue prime pellicole.
Quindi che piaccia o no, Rob è questo.
47 Meters Down
L’anno scorso avevamo consigliato Backcountry, il bellissimo eco horror di Adam MacDonald con protagonista un orso. Il 2016 è l’anno degli squali che, a dire il vero, non sono mai scomparsi del tutto da quando Spielberg nel lontano 1975 cambiò la storia del cinema con Lo Squalo.
Oltre ai seguiti del film di Spielberg, negli anni si sono notevolmente moltiplicate le pellicole incentrate sugli squali, fino ad arrivare alle derive trash dell’asylum, madre dei cult Sharknado e Megashark vs Giant Octopus, entrambi film molto divertenti che tuttavia non aspiravano a raggiungere nemmeno un po’ la tensione del capostipite sopra citato.
Quest’anno ci hanno pensato due pellicole a riportare all’originaria serietà gli ormai poco spaventosi squali: The Shallows di Jaume Collet-Serra e il meno noto 47 Meters Down.
Se il primo è tranquillamente dimenticabile il secondo invece vanta non pochi momenti interessanti, il punto di forza di 47 Meters Down è infatti che oltre agli squali, ci pensa la vastità e il buio del mare a tenere viva la tensione dall’inizio alla fine. Il film è ambientato quasi completamente sott’acqua, dove le due protagoniste sono imprigionate in una gabbia per osservare gli squali, precipitata sul fondale a causa di un incidente.
Nonostante un inizio poco significativo di 15 minuti molto brutti in cui vengono introdotti i personaggi, se siete semplicemente alla ricerca di un film ricco di tensione e senza troppe pretese, questo fa decisamente al caso vostro.
Animali Notturni
Seconda opera dello stilista Tom Ford che già si era fatto conoscere con A single man ma che con Animali Notturni pare dare conferma del suo talento.
Innanzitutto sorprende come un regista – che ricordiamo nasce come stilista – possa avere una tale padronanza del mezzo cinematografico, nonostante sia soltanto al suo secondo film; inoltre sono molteplici le chiavi di lettura e gli spunti offerti da Ford, fattore che rende Animali Notturni una pellicola che rimane impressa nella mente dello spettatore e di difficile assimilazione.
Ancora una volta non voglio dilungarmi troppo e vi rimando alla nostra ben più approfondita analisi.
Ave, Cesare!
I Coen sono tra i più interessanti registi viventi (e non), c’è poco da dire. A causa del loro stile unico possono piacere o non piacere ma bisogna riconoscere il loro sconfinato talento.
I due fratelli ci avevano lasciati nel 2013 con A proposito di Davis, uno dei film più belli degli ultimi anni, nonché una delle loro vette più elevate.
Tornano anche loro in questo denso 2016 con Ave, Cesare!, una pellicola ambientata nella Los Angeles di inizio ’50.
Dei Coen è nota, oltre al loro talento, la loro grande passione per il cinema, quindi non sorprende il contesto in cui è ambientato il film: Ave, Cesare! è infatti una commedia insolita che procede non in modo lineare ma per accumulo di sotto trame che hanno come collante il personaggio di Eddie Mannix, interpretato da Josh Brolin, una sorta di contemporaneo Gesù Cristo che deve farsi carico di tutti i problemi di chi popola gli studios hollywoodiani.
Nonostante i toni siano più leggeri rispetto agli ultimi film dei Coen, non mancano le diverse chiavi di lettura e i sottotesti.
Va detto tuttavia che, considerando pellicole come A proposito di Davis, A Serious Man e Non è un paese per vecchi, Ave, Cesare! si piazza tra i lavori più deboli dei due fratelli (per quanto possa essere debole un film dei Coen), forse perché le aspettative nei loro confronti sono sempre molto elevate.
Resta il fatto che anche quest’ultima fatica dei due fratelli merita di essere vista e finisce direttamente tra i migliori film del 2016.
El Club
Il cileno Pablo Larraìn gira quello che, senza dubbio, è il film più duro dell’anno. Una pellicola fredda, senza speranza che, col suo incedere lento ma costante, non potrà lasciare indifferente lo spettatore. Potrà piacere come non piacere, ma di sicuro El Club non è uno di quei film che si dimenticano subito dopo la visione.
Larraìn decide infatti di affrontare un tema spigoloso come quello dei preti pedofili (ma non solo, anche della Chiesa in generale), senza fronzoli e senza alleggerire nessun particolare, colpendo in maniera molto diretta con una pellicola che fa male.
A parer mio molto più che il recente Il caso Spotlight, vincitore dell’Oscar per il Miglior Film nel 2016 che, nonostante fosse un film interessante, non riusciva e non voleva concentrarsi sul dolore delle vittime, scegliendo un registro più giornalistico.
Codice 999
La pellicola vede il ritorno di John Hillcoat, a quattro anni dal deludente Lawless, che confeziona un thriller d’azione come non se ne vedevano da tempo: violento, girato benissimo e profondamente ispirato dal maestro dei thriller metropolitani Michael Mann.
In più va detto che è un film da cui traspare fortemente la poetica del regista australiano, del quale abbiamo parlato approfonditamente in questa monografia.
Il resto del lavoro lo fa un cast stellare in piena forma.
Per un parere più approfondito vi rimando alla nostra recensione.
Doctor Strange
Breve premessa: non siamo lettori né particolarmente fan del Marvel Cinematic Universe.
Doctor Strange non è assolutamente un gran film e va contestualizzato nell’universo della Marvel, con tutti i difetti che questo nome si porta dietro. Dunque è necessario sapere che vi troverete di fronte all’ennesimo cinecomic banale e con la stessa struttura che hanno i film di presentazione di un nuovo super eroe (ovvero trauma, acquisizione poteri infine vittoria contro al villain).
Perché quindi inserirlo in questa classifica? Ancora una volta a cambiare la situazione è il regista che sta dietro ad operazioni di questo tipo, in questo caso Scott Derrickson, autore di pellicole quali Sinister e L’esorcismo di Emily Rose. Un regista dunque dal passato horror alla sua seconda incursione nel mondo dei blockbusters, dopo il remake Ultimatum alla Terra che sembra sapere molto bene come muovere la macchina da presa, il che, unito a quelli che forse sono i migliori effetti speciali mai realizzati in un film Marvel, rendono Doctor Strange un film decisamente imponente dal punto di vista visivo.
Divertente e d’intrattenimento ma da contestualizzare necessariamente nel filone dei cinecomic.
Elle
Dieci anni dopo la vittoria come miglior film internazionale per Black Book a Venezia, Paul Verhoeven, ormai settantottenne, torna con Elle, adattamento del romanzo Oh… di Philippe Djian.
Un ritorno, il suo, senza dubbio in grande stile, con un film duro e spietato, probabilmente uno dei più grandi pugni nello stomaco di questo 2016. Il regista, che i più conoscono per Basic Instinct, Robocop e Atto di forza ha in realtà un passato di film “d’autore” europei e con Elle sembra ritornare appunto a quel tipo di cinema, attaccando ferocemente il mondo borghese.
La pellicola infatti ricorda molto le opere di Michael Haneke, uno dei più grandi registi europei degli ultimi vent’anni, con i quali Elle condivide, oltre all’attacco spietato alla borghesia, anche uno stile freddo e distaccato che forse è ciò che mette più i brividi.
Meravigliosa inoltre la prova offerta da Isabelle Huppert, attrice straordinaria che aveva lavorato anche con il già citato Haneke ne La pianista.
E’ solo la fine del mondo
L’ultima fatica di Xavier Dolan, regista ventottenne con alle spalle una filmografia di tutto rispetto, è una pellicola complessa, da molti ritenuta ingiustamente minore rispetto al precedente Mommy.
Dolan come al solito sorprende per le scelte registiche, per cui, in questa pellicola, decide di concentrarsi sui primi piani, sui volti dei suoi bravissimi attori tra i quali spiccano Vincent Cassel e Marion Cottillard. Convince poi il modo in cui il regista tratta una storia molto difficile e drammatica, senza però piangersi addosso: E’ solo la fine del mondo infatti è tutto tranne che un film melenso e strappalacrime e soprattutto non è banale nello sviluppo, quindi non aspettatevi il canonico lieto fine che mette a posto tutto.
Tecnicamente poi è ineccepibile, dalla colonna sonora pop (suo marchio di fabbrica), alla fotografia, in particolare durante i flashback.
The Good Neighbor
Una delle sorprese dell’anno, sospesa tra il mockumentary e la narrazione tradizionale e oggettiva.
L’esordiente Kasra Farahani riesce a gestire tutto molto bene partendo da un tema affrontato più volte e che quindi non brilla per originalità, tuttavia sia Farahani che i due sceneggiatori riescono a scardinare i cliché di questo genere di film, facendo prendere alla storia una strada che è stata battuta poche volte.
La tensione non manca (anche se si sconfina nel dramma verso la fine) e sono diversi i temi affrontati, inoltre è fondamentale la presenza di James Caan che offre un’interpretazione veramente toccante.
Per un parere più approfondito vi rimando alla nostra recensione.
Green Room
Terzo lungometraggio di Jeremy Saulnier, dopo il revenge movie Blue Ruin del 2013.
Green Room è un film folle: la pellicola tratta di una banda punk che si ritrova a suonare in un club di neo nazisti. Quando però i quattro assistono a qualcosa che non avrebbero dovuto vedere, i neo nazi, capitanati da Patrick Stewart, decidono di eliminarli e i quattro si barricano dentro a una stanza nel tentativo di sopravvivere.
Saulnier torna con un film che mescola l’horror con l’azione: come Blue Ruin, anche Green Room ha un ritmo particolare, nonostante sia più concitato e meno riflessivo rispetto al precedente. Bisogna dire infatti che il terzo lungometraggio di Saulnier è meno ambizioso rispetto al suo precedente lavoro, infatti Green Room cerca più che altro di intrattenere, riuscendoci alla perfezione. I 95 minuti di durata scorrono velocissimi, tra umorismo nero, scene d’azione, qualche tocco splatter e un finale cattivissimo.
The Handmaiden
Park Chan-wook torna in Corea dopo la “vacanza” americana che aveva avuto come risultato il bellissimo Stoker. Park è probabilmente il più famoso regista coreano, autore di film di culto quali Old Boy e Lady Vendetta. Si spiega perciò perchè si sia tanto parlato di The Handmaiden prima della sua uscita e dopo le prime proiezioni ai festival.
La cosa sicura è che definirlo un dramma a forti tinte erotiche, come molti hanno fatto, è decisamente riduttivo.
Park, come anche i suoi due colleghi Na Hong-jin (con The Wailing, altro film presente in classifica) e Kim Ji-woon (il cui film ancora deve uscire), si concentra su uno dei più grandi traumi della sua nazione: l’occupazione giapponese della Corea, a inizio ‘900. The Handmaiden è quindi un film d’epoca, in costume, con forti risvolti politico-sociali.
Va poi detto che la struttura a capitoli, memore di Rashomon di Kurosawa, rende la pellicola un ottimo thriller che poco per volta svela allo spettatore i vari tasselli che lo compongono, cambiando in ognuno dei tre atti il punto di vista da cui si osserva la vicenda.
Ma il vero motivo per cui il nuovo film di Park rimane impresso e convince è il modo in cui, senza buonismo e senza lacrime facili, racconta una storia d’amore che va oltre a qualsiasi limite, oltre ai conflitti nazionali, alle regole e ai tabù imposti dalla società.
Sorprende che un messaggio così positivo arrivi proprio da Park, considerato il cinismo dei suoi film precedenti, ma ribadisco che il tutto non viene risolto in maniera semplicistica, si tratta sempre del regista di Old Boy in fondo. E così The Handmaiden e il suo messaggio positivo, si affianca perfettamente a The Hateful Eight, forse il più cinico dei film di Tarantino, lo stesso che ha affermato più volte di aver tanto apprezzato Old Boy. Sono proprio questi due autori, Park Chan-wook e Quentin Tarantino, con due film completamente diversi, a rimanere maggiormente impressi nel 2016.
Riguardo al lato tecnico non ho detto niente perchè si tratta di Park Chan-wook: chi già lo conosce sa cosa aspettarsi, chi lo scopre per la prima volta è meglio che lo faccia da solo.
The Hateful Eight
Tarantino. Basterebbe una sola parola, un solo nome per dare un motivo più che valido per vedere The Hateful Eight.
Se però non dovesse bastarvi, sappiate che è forse il suo film più estremo.
Infatti in quest’ultima, gigantesca e ultima opera di quasi tre ore, la prima è composta da soli dialoghi (il che non vuol dire però che, come molti hanno detto, “non succede niente”), mentre dalla seconda in poi la pellicola “esplode” letteralmente in violenza e cinismo, richiamando molto la pellicola d’esordio del regista Le Iene, con il quale questo The Hateful Eight condivide molte cose.
Gli attori sono semplicemente fantastici e tecnicamente… beh, è Tarantino, non c’è molto altro da dire. Probabilmente si tratta del suo miglior film e come già detto del più estremo: Tarantino sembra infatti essere piuttosto furioso con tutti dai i critici al pubblico ma soprattutto pare avercela con la tanto casa America che altro non è che la vera protagonista di questo suo ottavo film.
Per un parere più approfondito, vi rimando alla nostra dettagliata analisi.
High Rise
Il nome di Ben Wheatley ormai è sempre più noto e probabilmente con il passare del tempo lo diventerà sempre di più, se si manterrà sugli standard dei suoi ultimi lavori.
Stiamo parlando del regista del cult Kill List, del cinico Killer in viaggio (orribile traduzione italiana del vero titolo, Sighsteers) e del folle A Field in England.
Con High Rise, Wheatley si cimenta in un’impresa molto coraggiosa quale la trasposizione cinematografica del romanzo Il Condominio di J.G. Ballard. I romanzi di Ballard, a causa dello stile unico e complicato dello scrittore, sono molto difficili (se non impossibili) da adattare: ci aveva provato con successo Cronenberg, quando nel 1996 aveva girato Crash, ma stiamo parlando di un nome che è una garanzia.
Wheatley riesce in pieno a trasporre il romanzo di Ballard, senza rinunciare alle parti più violente e malate a cui anzi da molto spazio.
C’è da dire però che questa volta il budget era più importante e che nel progetto sono presenti diversi attori di punta come Tom Hiddleston, Jeremy Irons e Luke Evans, il regista però non sembra scendere a compromessi, riuscendo a realizzare una pellicola che è un duro e sano pugno nello stomaco.
Bellissime anche la fotografia di Laurie Rose e la colonna sonora di Clint Mansell.
Per quanto riguarda Wheatley, tra poco vedremo il suo nuovo film Free Fire, che porta sullo schermo una storia di trafficanti d’armi con un cast di nomi importanti come Sharlto Copley, Brie Larson e Cillian Murphy.
Per un parere più approfondito su High Rise vi rimando alla nostra recensione.
The Invitation
Ennesimo film degno d’attenzione distribuito in Italia dalla Midnight Factory (che, oltre al film in questione, quest’anno va ringraziata anche per The Neon Demon) per la regia di Karyn Kusama, nome noto solo per Jennifer’s Body che non ha mai avuto particolare fortuna.
Sorprende doppiamente quindi una pellicola come The Invitation per mano di quest’ultimo.
Tutto il film ruota attorno al protagonista che viene invitato dall’ex moglie ad una cena insieme a un gruppo di amici separatosi anni addietro; in questo contesto si inserisce una persona che sembra aver una nuova ragione di vita grazie a un santone che fa pensare alle note storie di sette religiose americane.
La pellicola, per tutti i suoi 100 minuti, è ambientata all’interno di una villa, ci troviamo dunque dinanzi ad un thriller fatto più di parole e sguardi che di azioni vere e proprie, pregno di richiami evidenti ai capolavori di Polanski (dal tema della setta all’ambientazione unica e opprimente). La fotografia e gli interni della villa aiutano ad immergersi in un’atmosfera veramente inquietante e ambigua: difatti Kusama confonde per una buona parte del film ciò che i personaggi sembrano e ciò che sono realmente.
Un thriller molto teso e in grado di offrire anche diversi spunti di riflessione con finale duro e potentissimo che chiude in bellezza il (già ottimo) film.
Si spera dunque che Kusama abbia finalmente trovato la sua strada.
Man in the Dark
Sospeso tra il thriller e l’horror, il secondo lungometraggio di Fede Alvarez – il primo era il remake de La Casa – è una delle più grandi sorprese dell’anno. La tensione perenne, l’ironia nerissima, le situazioni grottesche e il cinismo di fondo ricordano molto le pellicole horror di Sam Raimi che, non a caso, figura in veste di produttore.
Notevoli le interpretazioni, quella di Stephen Lang su tutte, e di altissimo livello la regia di Alvarez che sorprende soprattutto per i suoi elaboratissimi movimenti di macchina.
Anche in questo caso vi rimando alla nostra recensione.
The Neon Demon
L’ultima attesissima fatica di Nicolas Winding Refn, il regista danese che già ci aveva regalato perle come Bronson, Drive e Solo Dio Perdona, a parer mio convince sotto tutti i punti di vista fornendoci una rielaborazione davvero unica di tutte le sue fonti d’ispirazione, da Argento a Jodorowski e da Anger a Lynch.
Esteticamente impressionante, ogni inquadratura è studiata nel minimo dettaglio e le luci al neon dominano la scena, motivo per cui la pellicola fece storcere il naso a molti critici in quel di Cannes, anche a causa delle scene di necrofilia e cannibalismo.
Per avere un’opinione più approfondita sull’opera vi rimando alla nostra analisi.
The Nice Guys
Shane Black dovrebbe essere ricordato, più che come regista di Iron Man 3, come sceneggiatore di Arma Letale, uno dei più divertenti buddy movie di sempre.
Da questo si può capire come The Nice Guys sia nelle corde di Black, in veste di sceneggiatore oltre che di regista. Black gira un neo-noir che funziona sia dal punto di vista comico che da quello action/thriller, servendosi di una bellissima ambientazione anni ’70 e mettendo in una scena una storia interessante.
Tuttavia la cosa che più funziona dell’intera pellicola è ciò che dovrebbero essere il vero centro dell’attenzione in un buddy movie, ovvero la coppia di protagonisti formata da Russel Crowe e Ryan Gosling che sembrano trovarsi assolutamente a loro agio nei divertenti personaggi che devono interpretare, creando tra di loro una chimica che vale di per sé la visione del film.
Non si tratta di un capolavoro, ma sicuramente di una pellicola in grado di intrattenere come si deve e di far ridere, il che, dopo Iron Man 3, è più di quello che ci si sarebbe aspettati da Shane Black.
La notte del giudizio 3
Era il 2013 quando James DeMonaco iniziò la saga de La Notte del Giudizio.
Il primo film era un home invasion non del tutto riuscito ma con alla base un’idea dal potenziale pressoché illimitato mentre il secondo episodio sembrava rivivere un po’ le atmosfere carpenteriane di 1997 fuga da New York.
Arrivato al terzo capitolo DeMonaco riesce a soprendere ancora, riportando sullo schermo il protagonista del film precedente (uno dei suoi principali punti di forza), aumentando le scene più sanguinose (in Italia la pellicola è stata vietata ai minori 14 anni, a differenza del secondo capitolo) e sviluppando i sottotesti, questa volta del tutto smascherati, politico-sociali.
Molto divertente e anche in grado di far riflettere, connubio ormai piuttosto raro.
Sausage Party
Primo film d’animazione del collettivo di comici americani diventato famoso con pellicole come Strafumati, Facciamola finita e The Interview.
Di Sausage Party voglio dire il meno possibile: si tratta di un film violento, volgarissimo, dissacrante come pochi altri, dove si ride dall’inizio alla fine ma si riesce anche a pensare, fattore che rende Suasage Party ottimo esempio di vera e propria animazione per adulti.
Un applauso quindi a Seth Rogen, Jonah Hill ed Evan Goldberg per aver concepito una follia come quest’incredibile pellicola.
Steve Jobs
Danny Boyle, regista di fama mondiale attualmente impegnato con il sequel di Trainspotting, gira uno dei biopic più interessanti degli ultimi anni.
Tutto sorprende in Steve Jobs: sul creatore della Apple si poteva mostrare moltissimo e di conseguenza il rischio di santificarlo o demonizzarlo era altissimo.
Grazie soprattutto alla sceneggiatura di Aaron Sorkin, già autore di The Social Network, Steve Jobs si mostra fin dal principio come un biopic atipico, a partire dalla struttura narrativa.
Boyle decide in fatti di non ripercorrere tutta la carriera di Jobs per cui ci vengono mostrati solo i dietro le quinte di alcune delle più importanti presentazioni Apple, quella del Macintosh 128k nel 1984, poi quella del 1988 e una del 1998. Nei retroscena di queste presentazioni impariamo a conoscere Jobs da un punto di vista umano e in particolare assistiamo allo sviluppo del suo rapporto con la figlia; traspare inoltre tutta l’arroganza del personaggio nei confronti dei suoi dipendenti ma Boyle non si concentra su ciò che di male ha fatto l’azienda Apple, bensì su Steve Jobs in quanto persona, in tutte le sue sfumature.
Tecnicamente il film è perfetto e del resto l’abilità di Boyle è innegabile.
Noi lo consigliamo particolarmente a tutti quelli che esaltavano pellicole come The Imitation Game o La teoria del tutto.
Hush – Il terrore del silenzio
Mike Flanagan, regista horror noto soprattutto per Oculus, ha girato ben due film quest’anno: il ben più noto Somnia e Hush – Il terrore del silenzio, una piccola produzione (appena 1 milione di dollari) passata in sordina e distribuita direttamente da Netflix.
Si tratta del classico home invasion, con l’aggiunta di un intrigante variazione: la protagonista è sorda.
Questo permette a Flanagan dà ancora più importanza all’elemento sonoro ma anche a quello visivo, giocando quasi interamente questo svantaggio (ma a volte vantaggio) della protagonista.
I punti a favore non finiscono qui: un altro elemento molto interessante è il fatto che il killer mascherato di turno dopo pochissimo tempo rivela il suo volto, rigettando un cliché universalmente noto degli slasher più famosi (basti pensare che sia in The Texas Chainsaw Massacre che Scream o Venerdì 17, gran parte del lavoro lo facevano proprio le maschere). L’abbandono della maschera è dunque una trovata coraggiosa perché da un volto umano, e quindi meno spaventoso, al killer.
Flanagan si conferma un talento e un ottimo esempio da seguire per quanto riguarda l’horror di puro intrattenimento, conoscio alla perfezione dei meccanismi del genere e anche dal punto di vista registico (non va scordato che è anche montatore dei suoi film) sembra cavarsela alla grande.
Insomma, Hush – Il terrore del silenzio è uno slasher un po’ diverso dal solito (ma neanche troppo) che intrattiene se non si hanno pretese troppo elevate.
Train to Busan
Secondo film coreano in questa classifica. Train to Busan segna l’esordio al live action di Sang-ho Yeon, regista che per ora si era occupato solo di animazione.
Come al solito la Corea del Sud si riconferma in grado di sfornare film d’intrattenimento per il grande pubblico con un’anima e in grado di trattare temi importanti.
In questo caso siamo davanti a uno zombie movie con risvolti politico-sociali. Gli zombie (o meglio gli infetti) sono pronti a devastare la società coreana e Yeon sembra dirci che in fondo potrebbe essere meglio così, visti l’arrivismo imperante e la crudeltà umana. A cambiare la situazione è la figlia del protagonista, unico barlume di speranza e di bontà rimasto.
Sulla falsa riga di World War Z, Train to Busan convince sotto tutti i punti di vista. Chi cerca scene d’azione sarà accontentato e allo stesso modo chi cerca qualcosa oltre all’intrattenimento puro.
Per una recensione più approfondita, leggere qui.
The Wailing
Hong Jin-na è arrivato al terzo lungometraggio dopo il capolavoro The Chaser e l’interessante Yellow Sea. Abbiamo dedicato una monografia a Hong Jin-na, perchè con soli tre film (compreso questo The Wailing) si è confermato uno dei talenti più promettenti del nuovo cinema coreano ma non solo. Questo suo terzo lungometraggio forse è addirittura migliore del suo folgorante esordio: si tratta di un horror (anche se è limitante classificarlo solo come film d’orrore) capace di far leva sulle più profonde paure dell’uomo, tra scontri di religioni, esorcismi, zombi e il diavolo in persona.
Nonostante la sua durata di due ore e mezza, non annoia mai e continua ad evolversi lasciando lo spettatore spaesato una volta giunto alla conclusione.
E’ inutile dire altro, perchè The Wailing è un film da scoprire, senza avere troppe informazioni a riguardo.
Per un’analisi più approfondita, andare qui.
The Witch
Robert Eggers con questo suo film d’esordio ha convinto la maggior parte della critica (un po’ meno il pubblico) facendo incetta di premi, tra cui il Directing Award al Sundance Film Festival del 2015.
Molti lo hanno accostato a due horror piuttosto recenti e discussi quali The Babadook e It Follows, gridando addirittura al capolavoro e definendo l’opera di Eggers il miglior film d’orrore dell’anno che, a parere nostro, sarebbe pure potuto esserlo, se non fosse stato per The Neon Demon e The Wailing.
Ciò non significa però che non sia un film degno di nota, anzi: la fotografia a luci naturali, così come l’ambientazione scelta da Eggers, sono davvero suggestivi e in grado di far leva sulle paure più profonde dello spettatore e sugli archetipi del genere, grazie ad una buona dose di buio, un bosco misterioso e una dozzina di streghe.
Non bisogna però aspettarsi né streghe alla Suspiria o gli stregoni alla Harry Potter: in The Witch le streghe compaiono in poche e rare occasioni anche se la loro presenza è costante e altamente terrorizzante.
Il film funziona praticamente da ogni punto di vista ed è molto interessante il modo in cui vengono interpretati il demonio e le streghe: più che di malvagità si parla di un modo per spezzare le catene che tengono legati i protagonisti a una religione che impedisce loro di agire e di compiere autonomamente qualsiasi decisione.
Un gran film intriso di una giusta dose di inquietudine ma, come già detto, i colleghi Refn e Hong-jin Na hanno saputo offrire di più rispetto ad Eggers, che per altro adesso è impegnato in un remake del Nosferatu di Murnau.
In quanto a noi chissà, magari prima o poi ci impegneremo in un’analisi più approfondita di The Witch.
The Hateful Eight
Non sprecherò troppe parole per la mia pellicola del cuore dell’intero 2016 (anche in questo caso per ulteriori approfondimenti, qui potete trovare la nostra dettagliata analisi) diretta dall’uomo del mio cuore.
Sappiate solo che con The Hateful Eight è vero cinema, cinema all’estremo, ricco di cinismo, critica sociale, dialoghi taglienti, personaggi memorabili, citazionismo, una buona dose di violenza e una colonna sonora incredibile. Capolavoro imperdibile.
Paterson
Esiste qualcosa di più delicato di Paterson?
Non avevo letto nulla su Paterson, né ascoltato alcuna opinione e probabilmente non ne leggerò in futuro perché spero di non rovinarmi mai il grande lascito di questo film. L’unica mia garanzia è stato il nome dietro alla regia, Jim Jarmush, autore di meraviglie come Coffee and Cigarettes, Broken Flowers e Solo gli amanti sopravvivono.
Eh sì, probabilmente sarò di parte nel giudicare Paterson, che tuttavia non ritengo né clamoroso né un capolavoro, motivo per cui premetto che io non vi consiglio semplicemente di andare a vedere questo film ma vi consiglio di farvi un regalo.
Il tempo sembra essere immutato a Paterson, piccola cittadina del New Jersey e luogo in cui vive Paterson, interpretato da Adam Driver, con la compagna Laura e il cane Marvin. Solo la poesia scorre lenta ed inesorabile in una vita colorata da geometrie in bianco e nero che Laura cerca insistentemente di inserire in ogni angolo della casa; Paterson non sembra risentirsene e quotidianamente annota sul suo taccuino segreto parole che danno vita a piccole folgorazioni, nate dai dialoghi origliati sull’autobus, dalle chiacchiere con il barista del quartiere o dai paesaggi della sua città.
Probabilmente vi annoierà, perché in questa piccola opera non succede niente di straordinario: è solo la quotidianità ad essere resa straordinaria, grazie all’arte. Infatti che si tratti di musica, letteratura, cinema, pittura o poesia, per Jarmush solo l’arte può salvarci dalla nostra semplice e quotidiana routine poiché essa va amata e accudita ma con la voglia di trasformare anche un piccolo ed insignificante dettaglio in poesia.
Senza scadere nel melò, Jarmush mostra un rapporto ordinario, costellato di tanto in tanto da qualche piccola novità (la chitarra nuova di Laura, una serata al cinema a vedere vecchi horror in bianco e nero) ma felice, connubio tanto bello quanto raro fuori dallo schermo.
Zootropolis
Buon esempio di animazione a doppia lettura, quindi destinata sia al pubblico adulto che ai bambini con un’importantissima e più che mai attuale riflessione di fondo ovvero la paura del diverso.
Non per altro la supervisione al progetto è di uno dei nomi più noti dell’animazione odierna ovvero John Lasseter, autore di film dal calibro di Toy Story e direttore creativo della Pixar.
Il pregiudizio e la bellezza della diversità sono gli altri due temi fondanti di Zootropolis che ruota attorno alla storia di Judy, una coniglietta il cui sogno è diventare agente di polizia ma a fatti (quasi) “biologicamente” impossibilitata a ricoprire tale professione a causa della sua natura e Nick, una volpe astuta ed esperta di truffe.
Il mondo animale si presta dunque a portare in scena una trama semplice ma arricchita da un’interazione memorabile fra i due protagonisti, notevoli effetti visivi e un bel po’ di sano citazionismo (a questo proposito chi conosce Breaking Bad non ha potuto far altro che saltare dalla sedia per l’emozione); certamente non uno dei film d’animazione più memorabili di sempre ma un ottimo prodotto di intrattenimento denso di tematiche fin troppo attuali.
The Wailing
Primo horror di questa classifica, ammetto candidamente che questa pellicola è stata in grado di terrorizzarmi e non poco, perlomeno sul finale. A tratti lento e imprevedibile come solo un film coreano sa essere, The Wailing, terza opera di Na Hong-jin, ripropone sullo schermo quel vecchio binomio che regola il
mondo sotto una luce molto originale.
Per un ulteriore approfondimento qui una nostra dettagliata analisi.
È solo la fine del mondo
Il 2016 è decisamente l’anno di Xavier Dolan, regista canadese originario del Québec, o perlomeno lo è in Italia: molti dei suoi film ormai in circolazione da parecchi anni, hanno finalmente trovato la luce anche nel nostro paese, rendendo il suo nome noto non solo alle nicchie di cinefili affamati di Nouvelle Vague o ai fan di Mommy.
L’ultima opera del nostro enfant prodige (ricordiamo che Dolan ha 28 anni e il suo primo film da regista e attore l’ha prodotto a soli 19) segna un’incredibile maturazione artistica e la summa di tutta la sua bravura; ritroviamo infatti temi molto cari al regista, così come quella sana dose di musica pop anni ’90 che riesce sempre a scavare in profondità nelle radici della nostra memoria (memorabile Dragostea Din Tei in sottofondo a un ballo improvvisato fra le due protagoniste così come Wonderwall in Mommy, colonna sonora di un passaggio che forse segna uno dei momenti più belli dell’intera storia del cinema).
In È solo la fine del mondo il rapporto con la madre è sempre incredibilmente travagliato e ambiguo, la composizione dell’immagine è sublime, i dialoghi esasperati e fuori dai denti come mai lo sono stati nei suoi precedenti film.
Tratto infatti dall’omonima opera teatrale di Jean Luc Lagarce – autore teatrale molto amato da Dolan al quale il regista ha addirittura dedicato il suo discorso di ringraziamento in seguito alla vittoria del Grand Prix Speciale della Giuria a Cannes – la pellicola porta sullo schermo dei personaggi che urlano ma non sono in grado di comunicare fra di loro.
Il dramma esistenziale intorno al quale ruota tutto il film è infatti l’imminente morte di Louis, tornato a casa per comunicare la notizia ai suoi familiari; tuttavia questi hanno un comportamento talmente esasperato da far intuire che in realtà Louis non sta per morire ma è già morto quando ha preso la decisione di crearsi un suo futuro a debita distanza dalla culla della sua infanzia, aprendo così un’ insanabile ferita all’interno di tutto il nucleo familiare.
Uno dei momenti più belli della pellicola è il saluto fra Louis e la madre, in una simbolica riconciliazione che sembra chiudere un cerchio che è stato metaforicamente aperto dopo J’ai tue ma mere, quindi quando ancora il Dolan cinematografico bramava di disfarsi della propria genitrice, salvo poi pentirsene causa un amore totalmente incondizionato.
Aggiungeteci un cast stellare – forse il meglio del cinema francese, composta dalla sempre incredibile Marion Cottilard, l’irriverente Cassel, una promettente Lea Seydoux e un Gaspard Ulliel perfettamente calato nei panni del protagonista doliniano -, il fatto che Dolan è probabilmente uno dei più grandi narratori di questo decennio, e ci arriverete facilmente da soli al fatto che si tratta di un film imperdibile per quanto riguarda questo 2016.
Sully
Tratto dall’incredibile fatto di cronaca noto come “Miracolo sull’Hudson”, l’ultima pellicola di Clint Eastwood non rimane memorabile come le sue opere passate ma può senza dubbio vantare molto più meriti di quanti ne abbia avuti il precedente American Sniper. Con un ottimo Tom Hanks nei panni del capitano Sullenberg detto “Sully”, il film ricostruisce l’incredibile manovra d’atterraggio sul fiume Hudson compiuta dall’uomo per poter mettere in salvo i 150 passeggeri a bordo del volo US Airways 1549, in seguito alla perdita di entrambi i motori, con annesso processo; accusato di incompetenza e avventatezza, alla fine veniamo a conoscenza del fatto che i commissari della NTSB si sono “solo” dimenticati di un dato tremendamente fondamentale ma sottovalutato da tutti i calcoli e le simulazioni ovvero il fattore umano, la pronta reazione di una persona in una situazione di pericolo.
Fondamentale la rappresentazione della figura dell’eroe: riprendendo quel discorso iniziato, ma forse non così diretto, con American Sniper, Eastwood aggiunge un tassello fondamentale al suo continuo interrogarsi sulla nozione di eroismo, che altro non è che un concetto cardine della società americana, spesso composto da due facce della medaglia. Sully per Eastwood è l’americano che ognuno dovrebbe essere: colui che si espone, che ha paura e che si assume le proprio responsabilità ma soprattutto colui che è umano.
Il condomino dei cuori infranti
Commedia totalmente surreale ma dal forte sostrato sociale, la quinta opera di Samuel Benchetrit, ispirata a due racconti di Chroniques de l’asphalte, mostra umanità, sconfitta, dramma, ironia ma anche riscatto, affidandosi a una scrittura totalmente tragicomica.
Come al solito, non fatevi traviare dalla terribile traduzione italiana del titolo – l’originale francese è infatti Asplathe – e abbiate coraggio d’immergervi nelle vite di queste sei solitudini bisognose d’affetto.
Rogu One: A Star Wars Story
Nonostante mi fossi ripromessa che non avrei rifatto l’errore dell’anno scorso e non avrei più inserito un film di Star Wars in questo tipo di classifiche (ammetto ora, a mente più fredda, che Star Wars: Il Risveglio della Forza è stato un errore dovuto all’esaltazione del momento, nonostante lo reputi comunque un buon film), mi sono nuovamente dovuta ricredere.
Concepito come spin-off della celebre saga, questo Rogue One, per la regia di Gareth Edwards, si inserisce poco prima di Episodio IV, riprendendo quest’ultimo alla perfezione. Una vera sorpresa, per quanto mi riguarda, considerando le premesse puramente commerciali che vi sono dietro a questo tipo di produzioni, e, soprattutto, trattandosi di un film Disney. In pieno spirito Star Wars, Rogue One ripropone le vere guerre stellari, buone interpretazioni, e un sapiente – ed imprevedibile – uso di CGI, ennesima sorpresa di questo film. Consigliato, a parer mio, ai fan e non.
10 Cloverfield Lane
Definito da J.J. Abrams un “consaguineo” di Cloverfield, il celebre disaster movie del 2008, 10 Cloverfield Lane in realtà non ha molto in comune con il suo “fratello maggiore” se non i nomi che vi sono dietro al progetto – Matt Reeves, Abrams, Drew Goddard, Bryan Burk – e il titolo.
A parer mio ci troviamo davanti ad una delle pellicole più belle del 2016, nonostante il film si regga su tre soli attori – tra i quali spicca l’ottimo John Goodman – e due locations. Ottima tensione e qualche punta horror per questo piccolo capolavoro dell’anno.
Per un parere approfondito rimando alla nostra recensione.
The Monster
Horror ancora inedito nelle sale italiane ma disponibile online sottotitolato, The Monster è l’ultimo film di Bryan Bertino – già regista di The Strangers e Mockingbird – che segue la vicenda di una madre e una figlia e del loro rapporto tormentato.
Il film sembra condividere molto con The Babadook, l’opera prima di Jennifer Kent, con la differenza che in questa pellicola il mostro è allo stesso tempo realtà e metafora di un dramma interiore che è la causa del rapporto mai completamente sanato fra le due.
The Neon Demon
Quest’anno al Festival l’ultima fatica del danese Nicolas Winding Refn, l’ipnotico The Neon Demon, sembra aver decisamente messo tutti d’accordo in quel di Cannes poiché, a detta loro, si tratta dell’ennesima provocazione mascherata dalla bella confezione e dalle luci psichedeliche ma che, alla fine, nasconde il nulla più totale. Mettici anche quelle due o tre scene montate su con il fine unico di “infastidire”, quali atti di cannibalismo, necrofilia, lesbismo, et voilà, fischi e insulti e gente che lascia la sala prima della fine della proiezione.
La pellicola ruota attorno alla storia di Jesse, un’incredibile Elle Fanning – onestamente, mai avrei pensato di potermi infatuare di lei ma Refn è stato in grado di compiere l’ennesimo miracolo – e di tre streghe, gonfie di esperienza e cinismo che cercheranno di rubarle il suo “dono”, ovvero quel qualcosa che fa si che la ragazza venga misteriosamente e tragicamente voluta e desiderata da tutti. Refn riesce magistralmente a renderci partecipi di un mondo perfetto, patinato e orribile allo stesso tempo, un mondo dorato in superficie e basato su concetti effimeri e senza sostanza, come la bellezza, che però è allo stesso tempo il biglietto da visita di una persona. Insomma, tenete lontano i pregiudizi dei recensori velenosi e lasciatevi inglobare dalle luci al neon di The Neon Demon. Per un parere più approfondito qui la nostra dettagliata analisi.
Carol
Carol segue la vicenda di Therese e Carol e di una storia sentimentale narrata tramite un lungo flashback, per la regia di Todd Haynes.
Una pellicola classica e curata in ogni suo minimo particolare – dalla fotografia alla sceneggiatura alla musica – con una splendida, memorabile e gigantesca Cate Blanchett e un’altrettanto talentuosa Rooney Mara.
Animali Notturni
Seconda opera di Tom Ford – sì, lo stilista – che dopo a A Single Man ci regala una struggente pellicola in grado di creare un ottimo connubio fra letteratura e cinema. Seppur Ford sembra ispirarsi più volte al collega Refn, almeno per quanto riguarda la costruzione di moltissime inquadrature, la sua impronta autoriale rimane particolarmente impressa in Animali Notturni, che si pone come buon – e atipico oserei dire – revenge movie; Ford si serve inoltre di un’ottima Amy Adams, che quasi regge il film da sola e un Jake Gyllenhaal capace di dar vita a un personaggio ricco di emozioni.
Io continuo a sconsigliarlo agli emotivamente instabili, tuttavia, per chi davvero ha la volontà di volersi immergere appieno in Animali Notturni, l’esperienza può essere senz’altro dolorosa ma anche bellissima. Qui la nostra dettagliata analisi.
The Witch
Notevole horror atipico ed esordio di Robert Eggers del 2015 – ma uscito in sala da noi quest’anno – sul sospetto, la superstizione e la religione. Profondamente disturbante e molto lento a tratti, il film segue le vicende di una famiglia del New England americano fortemente puritana e tenuta insieme dalle proprie convinzioni religiose che si ritrova esclusa dalla propria comunità d’origine; obbligata a ricrearsi una nuova esistenza in una fattoria ai margini di un bosco, una serie di terribili eventi non tarderanno a manifestarsi e a portare la famiglia alla disgregazione totale.
Lasciando trapelare una costante sensazione d’orrore e senza mai mostrare troppo, Eggers gioca con le atmosfere lasciando che siano loro a farla da padrone, senza che vi sia mai una diretta manifestazione del male. Splendidamente fotografato da Jarin Blaschke, The Witch potrebbe essere l’horror che non vi aspettate ma rimane un’opera prima assolutamente da recuperare.
Elle
Elle vede il ritorno alla regia di Paul Verhoeven con una pellicola che oscilla fra la commedia e il dramma, magistralmente orchestrata da una Isabelle Huppert in splendida forma e in un ruolo speculare a quello di La Pianista. La pellicola si apre con una scena di violenza sessuale ma se forse noi possiamo rimanerne turbati, la protagonista sembra non curarsi del trauma subito e continua normalmente la sua vita; al fine di evitare ulteriori contatti dalla polizia, la donna cercherà di scoprire da sola l’identità del suo assalitore.
Tuttavia Elle non è né un rape and revenge né una pellicola che si batte per diritti delle donne. Elle è un interessante thriller erotico-psicologico che va oltre, indagando a fondo sulle perversioni dell’animo umano e sulla violenza che dilaga fra tutti i personaggi, che siano uomini o donne.
Steve Jobs
Secondo biopic di questa lista, Steve Jobs vanta un ottimo interprete (Michael Fassbender), un’ottima scrittura (Aaron Sorkin) e un punto di vista assolutamente originale nel raccontare (in parte) la vita del noto fondatore di Apple. Per la regia di Danny Boyle, più che la storia di Steve Jobs il film si sofferma a mostrarne al meglio la personalità, in tutte le sue sfaccettature, dividendosi in tre atti ben distinti fra loro: durante il primo corre l’anno 1984 e il film segue le vicende di Jobs poco prima che avvenga il lancio ufficiale del Macintosh 128K, il secondo avviene durante il lancio del NeXT Computer mentre il terzo nel 1998.
Ambientato quasi completamente “dietro le quinte” Jobs ci viene presentato in quanto umano e dunque non esente da difetti, soprattutto per quanto riguarda il rapporto con la figlia Lisa.
Lo chiamavano Jeeg Robot
Vi confesso che probabilmente questa pellicola si trova in classifica quasi esclusivamente perché si tratta di un film italiano. Non nascondo lo stupore che ho provato di fronte alle prove attoriali e alle scelte registiche presenti nel film o una certa soddisfazione nel rendermi conto che forse anche un film di supererori può avere un senso nel nostro paese senza ricorrere all’uso massiccio di effetti speciali made in US.
Nonostante le pellicole italiane quest’anno non siano state certo memorabili, una menzione a questo film, per la regia di Gabriele Mainetti, è necessaria anche per questo motivo ma non solo. Per un parere più approfondito rimando alla nostra recensione.
Captain Fantastic
Captain Fantastic segue la storia di quest’atipica famiglia in cerca di alternative al consumismo del frenetico e tecnologico mondo contemporaneo e che vive volutamente a debita distanza dalla civiltà. Matt Ross dirige una commedia indie pregna di problematiche moderne con grande umanità, ponendo sul piatto temi complessi ma affrontandoli in maniera fresca e originale e servendosi di un cast eccezionale, tra cui spicca ovviamente Viggo Mortensen.
Pellicola vivamente sconsigliata per chi è allergico allo spirito indipendente e “ruffiano” del Sundance Film Festival, ma forse anche questi animi scettici non hanno potuto fare altro che commuoversi di fronte a quella meravigliosa e toccante rivisitazione di “Sweet Child O’Mine”.
A spasso con Bob
Tratto dall’omonimo bestseller di James Bowen, A spasso con Bob è il simpatico racconto di un’amicizia fuori dal normale tra un ragazzo con un passato difficile, e il suo nuovo amico gatto Bob.
La straordinaria potenza del film sta nella sua semplicità, e nell’allegria che accompagna la presenza di Bob nel film. Quello che rende ancora più speciale il film è l’essere tratto da una storia vera: la storia di James Bowen, un ragazzo ex tossico dipendente salvato da un gatto, che è poi realmente quello che si vede sullo schermo come protagonista.
Before the Flood
Before the Flood è il documentario diretto da Fisher Stevens in cui vi partecipa, anche come produttore, Leonardo Di Caprio. Non c’è molto da dire su quello che si vede, la realtà è drammatica e il film documentario ne rende perfettamente chiara l’idea: riprese dall’alto, statistiche e interviste a personaggi influenti come Barack Obama, il Papa o Sunita Narain rendono chiara l’idea al pubblico di cosa stia accadendo al nostro pianeta sotto i nostri occhi. Il documentario accusa in maniera forte alcuni dei principali colpevoli della catastrofe che sta attraversando il nostro pianeta, parla del presente, e offre statistiche e soluzioni, in parte già messe in atto, per migliorare il futuro.
Il messaggio è comunque un invito al pubblico, e ai cittadini del mondo, a non restare indifferenti davanti a ogni piccolo segnale di cambiamento, e un invito ad ognuno a fare la propria parte per migliorare il nostro futuro.
Café Society
Café Society è il ritratto del cinema di Woody Allen, dove tutto è al suo posto, dalle ambientazioni, ai costumi alla musica. Con una trama ambientata negli anni 30, da cui il regista è molto affascinato, il film racconta dell’ennesima storia d’amore alla Woody Allen, mai banale.
Café Society nelle sue inquadrature, nell’uso della luce e nell’accuratezza per le ambientazioni, porta il marchio del suo regista: la recitazione, caratterizzata da dialoghi provocanti e a tratti paranoici, si muove in armonia con l’atmosfera del film. Ritornano anche le tematiche di Woody Allen, che anche se ambientate in altre epoche, rimangono sempre attuali.
Lo sguardo del regista alla società negli anni 30 è sempre un po’ nostalgico, ma pungentemente ironico: la tipica famiglia ebraica viene ritratta umoristicamente divisa tra etica e compromesso; e non mancano i personaggi pittoreschi di Woody, come il fratello criminale di Bobby.
Café Society è un mix di ironia, paranoia e sentimentalismi tipici del regista: un grande capolavoro che è la prova della bravura e dell’accortezza per ogni minimo dettaglio di cui solo Woody Allen è capace.
La pazza gioia
Il regista Paolo Virzì, dopo il successo di Il Capitale Umano, racconta in maniera appassionata e intensa un universo femminile di cui le protagoniste sono due matte.
Commovente e divertente allo stesso tempo, La pazza gioia ci mostra, anche nei dialoghi tra i personaggi, la cura con cui è stata scritta la sua sceneggiatura. Con un misto di ironia e dramma, il regista ci porta ad esplorare la brutalità, la fragilità e la miseria delle nostre vite, in un mondo nel quale non si sa più quali siano davvero i matti.
Perfetti Sconosciuti
Scattante, ironico, pungente e perfido, Perfetti Sconosciuti è un capolavoro cinematografico che potrebbe essere rivisto di continuo senza mai stancarsene e il titolo ne rende perfettamente tutti gli aspetti. Diretto come se fosse tratto da una sceneggiatura teatrale, con la m.d.p. che passa dinamicamente da un personaggio all’altro, il pubblico si sente uno dei personaggi a tavola.
Cosa succederebbe se i nostri più cari amici potessero mettere mano sui nostri telefoni personali? Il film ironizza brillantemente su quello che questi aggeggi tecnologici ci hanno fatto diventare, schiavi dei contenuti segreti dei nostri telefonini.
La pellicola è girata interamente tra le mura di un appartamento, in particolare attorno al tavolo dove gli amici sono seduti per godersi la loro cenetta di ritrovo: è attorno a questo tavolo che si consuma la trama del film, semplice ma brutale.
Il finale è quello che rende la storia ancora più perfetta, e ancora più simile a una recita teatrale, o forse alla vita reale.
Snowden
Snowden, diretto dal regista Oliver Stone, racconta della vita di un ex dipendente della CIA, Edward Snowden, che ha portato alla luce dei file segretissimi prova di come la CIA e la NSA siano in grado di privarci delle nostre informazioni più intime e riservate in qualunque momento.
Snowden è uno di quei film che, grazie al brillante montaggio, tiene il pubblico attaccato allo schermo: angosciato e confuso.
L’immagine del personaggio di Snowden rimane nella sua ambiguità, sospeso tra l’essere un eroe o un traditore. Il film, grazie alla regia e al montaggio, riesce ad essere dinamico e divertente, e al contempo drammatico e angosciante: si alternano momenti spensierati e divertenti, a momenti lenti e soffocanti, dove il pubblico si sente in trappola, proprio come i protagonisti. Pura empatia.
Veloce come il vento
Diretto da Matteo Rovere, un regista romano non molto conosciuto, Veloce come il vento è un film ispirato alla vita di Carlo Capone, un ex pilota di rally italiano.
Veloce come il vento è uno di quei film che, alla fine, ti lasciano seduto sul divano con il sorriso stampato in faccia; non è un film comico, anzi, ma si guarda con immenso piacere e interesse. La trama è semplice ma diretta in modo frizzante: è costellata da momenti angoscianti e drammatici, con inquadrature poetiche e una recitazione lenta, ma anche da situazioni bizzarre e allegre, con inquadrature cariche di adrenalina e rumorose. È in questo mix che si vede la genialità della regia e del montaggio, e il risultato è la piacevole soddisfazione di aver visto un film curato da ogni punto di vista.
Notevole è anche la recitazione di Stefano Accorsi nei panni di Loris De Martino, un personaggio che la sceneggiatura ha fatto uscire dai panni del tossicodipendente, creandone uno allo stesso tempo tragico e ironico.
Veloce come il vento è la prova della capacità dei nostri registi di crearsi uno spazio tra i grandi del cinema internazionale, e la dimostrazione di quanto questo cinema, che spesso viene sminuito, abbia in realtà molto da offrire al suo pubblico.
Zootropolis
Ennesimo successo della Walt Disney Pictures, Zootropolis è un film di animazione che tratta temi di discussione attuali. In una città divisa tra animali predatori e non, la coniglietta Judy e la volpe Nick indagano sul misterioso risveglio, nei predatori, degli antichi istinti selvaggi.
Zootropolis è un inno al superamento dei moderni pregiudizi verso gli altri, un incitamento alla propria crescita personale nonostante i limiti e una critica alla società moderna che usa la paura, il terrore e l’ignoranza come strumento di governo di massa.
Il film è graficamente curato, sostenuto da una narrazione brillante e divertente, e da una tematica riflessiva; non mancano rimandi a film e serie famose, come Il padrino o Breaking bad.
La tematica principale, il motto del film, è sicuramente “Yes you can”, un invito a provare tutto, come canta la gazzella Shakira con “Try everything”.
Quest’anno abbiamo deciso di aggiungere qualche riga riguardante i peggiori film del 2016. I titoli che compaiono in questa sezione non sono tutti sullo stesso livello e i motivi per cui sono qui, variano da film a film, come vedremo. Molto probabilmente ci sono state pellicole ancora peggiori nel corso dell’anno, tuttavia quelle che vedremo sono state scelte anche per il significato che hanno.
Trafficanti
E’ un dispiacere che Todd Phillips, regista della bellissima trilogia di Una notte da leoni, abbia diretto un film terrificante come questo.
Come già detto, nel 2016 c’è stato molto di peggio, però la delusione provocata da Trafficanti è enorme: il film infatti è per metà una scopiazzata del capolavoro The Wolf of Wall Street e no, non si può parlare di citazione o di fonte d’ispirazione.
Parliamo di un film di tre anni fa, la cui struttura, tipica del gangster movie (ascesa e caduta del protagonista) viene ripresa senza rispetto da Phillips che, al posto dei lupi di Wall Street, ci mette dei ragazzi idioti che si improvvisano trafficanti d’armi. Tuttavia il regista non si limita solo a questo e sceglie di affidare a Jonah Hill il ruolo di uno dei due protagonisti: come ben sappiamo, Jonah Hill era stato candidato all’Oscar come Miglior attore non protagonista per The Wolf of Wall Street e in questo Trafficanti sembra autocitarsi continuamente, cercando di ripetere la sua precedente interpretazione, senza successo.
Il problema principale, oltre alla più totale assenza d’idee, è che Phillips tenta di fare quello che ritiene un salto di qualità, quasi come se ritenesse i suoi film precedenti pellicole di serie B e volesse invece essere consacrato ad autore grazie a Trafficanti; tuttavia Phillips, per quanto bravo, non è Scorsese e cercando di copiare spudoratamente l’opera del noto regista statunitense, The Wolf of Wall Street, firma la sua condanna.
Un vero peccato, se consideriamo che non si tratta di uno dei film più brutti del 2016 ma senza dubbio di uno dei più tristi. Il che, forse, è ancora peggio.
Warcraft – L’inizio
Duncan Jones, figlio di David Bowie, è un regista che ha girato uno dei capolavori di fantascienza post 2000 come Moon, un film enorme al quale è seguito Source Code, una pellicola più commerciale ma sempre di livello altissimo. Dopo cinque anni Jones torna con l’adattamento della celebre saga videoludica di Warcraft, film dalle travagliate vicende produttive che probabilmente sono un’altra causa del fallimento del progetto.
I motivi per cui la pellicola non mi è piaciuta li ho già esposti nella recensione [link] a cui rimando, tuttavia dispiace particolarmente il fatto che sia stato Jones a dirigere un film del genere, anziché occuparsi dei suoi progetti più personali; se probabilmente ci saranno dei sequel, spero vivamente non vengano affidati a lui.
L’unica cosa positiva è che con i soldi ricavati da Warcraft – L’inizio, Jones potrebbe dedicarsi a Mute, un progetto di cui parla da quando era uscito Moon.
Warcraft – L’inizio, insieme a Trafficanti, si guadagna appieno il podio di film più tristi del 2016.
Revenant – Redivivo
La definitiva caduta di Iñárritu, con grande probabilità il regista più sopravvalutato degli ultimi anni.
Birdman, con tutti i suoi difetti, aveva qualcosa da dire ma Revenant – Redivivo è polpettone di due ore e mezza praticamente insostenibile.
Per tutti i 150 minuti della durata della pellicola assistiamo ad un Leonardo Di Caprio che soffre a causa del freddo e delle ferite, tra piani sequenza e virtuosismi registici con i quali Inarritu sembra voler far vedere a tutti quanto è “bravo”.
Anche di questo film abbiamo scritto una recensione, quindi ci dilungheremo poco se non aggiungendo che Iñárritu, nel tentativo di imitare Malick, non riesce ovviamente per lo stesso discorso fatto con Trafficanti.
Per non parlare poi di come viene cambiata la storia di un personaggio realmente esistito, facendolo diventare un amico degli indiani d’America, tema che quelli dell’Academy sembrano particolarmente apprezzare.
Dispiace soprattutto per Emmanuel Lubezki, uno dei migliori direttori della fotografia in circolazione, “costretto” a prendere parte ad un progetto del genere.
Batman V Superman & Suicide Squad
Con questi si passa dalle delusioni ai film brutti.
Sono stati inseriti nella stessa sezione solo perché entrambi fanno entrambi parte dell’universo cinecomic della DC che, a quanto pare, non riesce proprio a tenere testa alla Marvel.
Con queste due pellicole ci troviamo dinanzi a due progetti falliti che sfiorano il trash (involontario, ed è questo il problema) ma se Batman V Superman ha qualche potente intuizione visiva (va detto che Zack Snyder, che piaccia o no, sa comporre delle immagini di forte impatto), Suicide Squad non ha niente di buono: dal delirante montaggio dei primi trenta minuti alla colonna sonora utilizzata completamente a caso.
Per quanto riguarda trama e personaggi invece spezzerei una lancia a favore di Suicide Squad che approfondisce assai poco (resta comunque memorabile la Harley Quinn di Margot Robbie) ma perlomeno, ora come ora, non sembra necessitare per acquisire un minimo di senso della versione “Extended Cut” come per Batman V Superman che, oltre al rasentare la noia, presenta dei buchi di trama terribilmente vistosi.
Insomma due trashate che non darebbero fastidio se fossero state prodotte dall’Asylum e se fossero costate poco, invece Batman V Superman è costato solo 250 milioni di dollari mentre Suicide Squad si aggira intorno ai 175 milioni.
In entrambi i casi sono state presentate delle versioni cinematografiche tagliate, per poi distribuire in home video appunto la versione “Extended Cut”, ovvero l’ennesima trovata commerciale della DC, più che mai in crisi di idee.
Ci sarebbe molto altro da dire ma questo può già bastare.
Swiss Army Man
I due registi, Daniel Scheinert e Daniel Kwan, si aggiudicano il premio per il film più fastidioso del 2016.
Swiss Army Man è stato presentato come un film irriverente ma poetico, in grado di affrontare temi tabù con leggerezza e allo stesso tempo con profondità, invece i due Daniel sembrano cercare di coniugare frasi poetiche a 90 minuti di peti (non è uno scherzo) provenienti da un cadavere.
Se poi il tutto stava per trovare un senso in quella che sembrava la scena finale, molto triste e realista, anche le ultime speranze vengono mandate in fumo dal vero finale che rovina quel poco che c’era di buono.
Cos’è quindi Swiss Army Man? A parere mio un film falsamente provocatorio e irriverente, pretenzioso come pochi altri perché continua a sbatterti in faccia il fatto che le ambizioni siano alte, nonostante le “scandalose” volgarità che non reggano il confronto dell’irriverenza di pellicole come Sausage Party.
Un film pretenzioso come pochi altri perché continua a sbatterti in faccia il fatto che le ambizioni siano alte, nonostante le “scandalose” volgarità.
Paradise Beach – Dentro l’incubo
Le pellicole sugli squali, ormai alle soglie del 2017, è risaputo, si sprecano.
Proprio per questo motivo, riuscire a creare dei prodotti originali è davvero difficile. The Shallows – in italiano Paradise Beach – ci prova, tentando di percorrere una via obliqua che risulti originale, tuttavia il risultato è disastroso: non solo il film è noioso e dimenticabile ma se non fosse per la protagonista femminile Blake Lively, la pellicola potrebbe quasi fare invidia ai migliori capolavori della Asylum proprio a causa di questa sua commistione di trash (purtroppo non voluto) e melodramma.
X-Men – Apocalisse
A chi si lamenta di Suicide Squad consiglio vivamente la visione di X-men – Apocalisse: effetti speciali a parte a parer mio non si salva su niente, limitandosi a proporre sempre gli stessi assi nella manica (es. la scena di Quicksilver) e a sbatterci Mystica costantemente in primo piano per far vedere a tutti quanto è brava la Lawrence (ma sul serio?).
Inoltre tutti paiono essersi impegnati per concepire uno dei doppiaggi più brutti che siano mai stati sentiti nell’intera storia del cinema. Preferisco ignorarlo dunque e non spenderci troppe parole.
Poteva essere un buon seguito ma purtroppo non lo è stato. Se Zoolander è ormai diventato (quasi) un film culto, questo Zoolander 2 cerca di ricalcare le orme del suo predecessore senza innovarsi minimamente.
Fai bei sogni
L’ultima pellicola di Marco Bellocchio si conferma una delusione come il precedente Sangue del mio sangue. Può essere anche il pregiudizio che mi spinge a fare questa affermazione – continuo a pensare che I pugni in tasca sia l’unica cosa buona che abbia mai fatto – dunque perdonatemi l’arroganza.
Tuttavia la pesantezza e il filosofeggiare che permea la maggior parte delle sue pellicole l’hanno reso un autore a me assai poco digeribile.
In particolare in Fai Bei Sogni la sceneggiatura sembra non sapere minimamente dove andare a parare e finisce con il perdere la strada; insomma i temi e buoni propositi probabilmente c’erano, l’impostazione no.
- The Hateful Eight (Quentin Tarantino)
- The Handmaiden (Park Chan-wook)
- The Wailing (Hong Jin-na)
- The Neon Demon (Nicolas Winding Refn)
- Animali Notturni (Tom Ford)
- High Rise (Ben Wheatley)
- El Club (Pablo Larraín)
- 10 Cloverfield Lane (Dan Trachtenberg)
- The Invitation (Karyn Kusama)
- Man in the Dark (Fede Alvarez)
- The Hateful Eight (Quentin Tarantino)
- Paterson (Jim Jarmusch)
- The Neon Demon (Nicolas Winding Refn)
- È solo la fine del mondo (Xavier Dolan)
- Animali Notturni (Tom Ford)
- 10 Cloverfield Lane (Dan Trachtenberg)
- The Witch (Robert Eggers)
- Elle (Paul Verhoeven)
- Steve Jobs (Danny Boyle)
- Captain Fantastic (Matt Ross)
- Café Society (Woody Allen)
- The Hateful Eight (Quentin Tarantino)
- Veloce come il vento (Matteo Rovere)
- Perfetti sconosciuti (Paolo Genovese)
- Zootropolis (Byron Howard e Rich Moore)
- Before the Flood (Fisher Stevens)
- Snowden (Oliver Stone)
- La pazza gioia (Paolo Virzì)
- Ave, Cesare! (Joel ed Ethan Coen)
- A spasso con Bob (Roger Spottiswoode)