Indice:
1 –Introduzione
2 –Periodo olandese
3 –Il cinema Reaganiano
4 –Periodo americano
4.1 –L’amore e il sangue
4.2 –Robocop
4.3 –Atto di forza
4.4 –Basic Instinct
4.5 –Showgirls
4.6 –Starship Troopers
4.7 –L’uomo senza ombra
Tornato alla ribalta tre anni fa, con Elle, vincitore del Golden Globe come Miglior film straniero, Paul Verhoeven è uno dei registi contemporanei più difficili da inquadrare.
Olandese, classe 1938, con all’attivo una quindicina di film, dei quali sette girati negli Stati Uniti.
Un regista partito da un cinema spiccatamente autoriale e di matrice europea, con titoli che hanno generato non pochi scandali (Fiore di carne, Il quarto uomo o Spetters), arrivato ai blockbuster hollywoodiani nel pieno degli anni ’80, per poi tornare in Europa nel primo decennio dei 2000, in seguito a un periodo di pausa.
Verhoeven è difficilmente inquadrabile proprio per la sua capacità di stare a metà strada tra il cinema d’essai e le colossali produzioni americane, alle quali ha iniziato a dedicarsi proprio nel pieno dell’era reaganiana, senza mai rinunciare alla sua visione autoriale e continuando ad affrontare in ogni film le tematiche a lui più care: il sesso e la violenza.
Tutti conoscono film come RoboCop, Atto di Forza, Basic Instinct o Starship Troopers. Alcuni di questi ebbero immediatamente un enorme successo, altri furono invece stroncati e aspramente contestati, salvo poi essere compresi e rivalutati dopo anni.
Verhoeven è un autore importante perché, in uno dei peggiori periodi del cinema americano, è riuscito a prendere in giro tutti, i produttori, il pubblico, e in generale gli Stati Uniti, con dei film che, sotto la veste del blockbuster americano, nascondevano molto di più e che ora appaiono sempre più chiaramente come lo specchio di un’epoca, quella degli anni ’80 e poi dei ’90, che ha messo le basi per la nostra contemporaneità.
Prima di affrontare il periodo hollywoodiano di Paul Verhoeven, è necessario fare almeno un accenno ai suoi primi anni in Olanda e al cinema reaganiano.
In seguito a una serie di cortometraggi realizzati dal 1960 al 1970, Verhoeven esordì al cinema nel 1971 con Gli strani amori di quelle signore, commedia che racconta di due prostitute, introducendo una delle tematiche centrali della sua filmografia: quella del sesso.
Il 1973 fu l’anno di Fiore di carne, film che ottenne un enorme successo in Olanda e che venne anche candidato all’Oscar per il miglior film straniero.
Si tratta tra l’altro della prima collaborazione tra il regista e Rutger Hauer, uno dei suoi attori feticcio, negli anni olandesi.
Hauer sbarcò negli USA ben prima del regista e già nel 1982 venne consacrato come uno dei migliori attori del periodo, per la sua storica interpretazione in Blade Runner.
In seguito a un altro film incentrato sul tema della prostituzione, Kitty Tippel… quelle notti passate sulla strada, nel 1977 girò Soldato d’Orange, un dramma bellico ambientato durante la seconda guerra mondiale, sempre con Rutger Hauer come protagonista.
Il film venne notato da Steven Spielberg che, insieme a George Lucas, reduce del successo di Guerre Stellari, contattò Verhoeven per realizzare Star Wars- L’impero colpisce ancora.
Tuttavia, il regista olandese si presentò con il suo ultimo lavoro, Spetters, che a quanto pare Spielberg and Co. non devono aver apprezzato particolarmente, infatti non venne più ricontattato.
Ebbene, Spetters è forse il primo vero film scandalo di Verhoeven, un film che racconta il degrado di un sobborgo di Rotterdam e le vite di una compagnia di giovani amici, tra scene al limite del pornografico e scene di violenza sessuale.
Il 1983 è l’anno di Il quarto uomo, film in cui si intrecciano perfettamente i temi del sesso, della violenza e della religione, in un thriller erotico che guardava direttamente oltre oceano e che, nonostante i soliti scandali che si portò dietro, venne accolto bene in America, tanto che con il regista, due anni dopo, realizzò il suo primo lungometraggio di produzione statunitense.
Da notare sono inoltre i molti punti di contatto tra Il quarto uomo e Basic Instinct, come vedremo in seguito.
Per comprendere al meglio la portata di un regista come Verhoeven, è necessario dare qualche indicazione sul contesto storico e sociale in cui si trovò, una volta arrivato negli Stati Uniti.
I primi anni ’80 furono anni di cambiamenti, a livello sociale, politico e cinematografico.
Furono in anzitutto gli anni in cui giunse al suo termine la stagione più felice del cinema americano, quella della New Hollywood, con il clamoroso flop di I cancelli del cielo di Cimino (1980), che avvicinò al fallimento la United Artists, storica casa di distribuzione.
Furono anni in cui i movimenti sociali sessantottini sembravano ormai lontani, in cui le utopie cinematografiche di Coppola fallivano miseramente con il flop di Un sogno lungo un giorno (1982), che costrinse il regista a vendere i suoi studios e a veder tramontare i suoi sogni di un’industria parallela a quella dei grandi studios hollywoodiani.
Mentre la carriera di Cimino veniva irrecuperabilmente segnata dal flop del suo film più ambizioso, George Lucas produceva Star Wars- L’impero colpisce ancora e l’anno seguente I predatori dell’arca perduta, diretto dall’amico e collaboratore Steven Spielberg.
Nello stesso anno del fallimento di Coppola, Spielberg sbancò ai botteghini con E.T. l’extra-terrestre, producendo contemporaneamente il Poltergeist di Tobe Hooper, imponendogli la sua visione di cinema per il grande pubblico e limitando notevolmente la sua libertà.
Insomma, era ormai inequivocabile la strada che stava prendendo il cinema americano, diretto sempre di più verso il modello del blockbuster e del puro intrattenimento, con una brusca inversione di marcia rispetto al decennio precedente, in cui il cinema impegnato risultava vincente anche ai botteghini, attirando l’interesse dei produttori.
Qualcosa stava cambiando e qualcosa si stava perdendo per sempre.
Il 20 gennaio del 1981 accadeva qualcosa che avrebbe cambiato profondamente la società americana e, ovviamente, anche l’industria cinematografica: Ronald Reagan divenne il quarantesimo presidente degli Stati Uniti d’America. Tornava al potere il partito repubblicano, dopo il governo democratico di Jimmy Carter.
Il rapporto tra Reagan e il cinema è fondamentale ed è stato profondamente indagato.
È noto a tutti che Reagan, prima di darsi alla politica, ebbe una lunga carriera da attore cinematografico, diventando inoltre, per due volte, presidente della Screen Actors Guild, il sindacato che rappresentava la maggior parte degli attori di Hollywood.
Da convinto anti-comunista quale era, testimoniò davanti alla Commissione per le attività antiamericane, sostenendo che fossero presenti dei comunisti all’interno dell’industria hollywoodiana.
In seguito si diede alla politica, arrivando a diventare presidente degli Stati Uniti dal 1981 al 1989.
Dunque un attore diventato presidente, come sottolineato dalla celebre battuta di Ritorno al futuro “Ronald Reagan? L’attore? E il vicepresidente chi è, Jerry Lewis?”[1].
L’influenza del conservatorismo reaganiano e del cosiddetto edonismo reaganiano[2] si ripercosse visibilmente sul cinema del periodo.
La guerra fredda procedeva e l’industria cinematografica appoggiò i principi reaganiani, iniziando a sfornare in serie film fortemente propagandistici, nazionalisti e anticomunisti.
Gli esempi sono innumerevoli: dall’elogio dell’esercito di Top Gun, allo spauracchio del comunismo di Alba rossa, fino all’America che prende letteralmente a pugni l’Unione Sovietica in Rocky 4.
Gli anni ’80 furono, come già accennato, dominati dall’edonismo reaganiano, un individualismo esasperato e distruttivo, dal mito della forza dell’America, ben rappresentata dagli action muscolari che videro cambiare completamente la fisicità degli eroici protagonisti.
I personaggi “umani” degli anni ’70 lasciarono il posto a quelli “super-umani” degli anni ’80, interpretati da attori con fisici statuari e pompati in modo quasi parossistico, cosa che Verhoeven riuscirà a comprendere, come vedremo.
Ecco quindi prendere sempre più piede gli action di Stallone, Schwarzenegger e Dolph Lundgren o quelli ultra conservatori di Chuck Norris e Steven Seagal.
I corpi muscolosi divennero centrali, metafora di una concezione degli Stati Uniti steroidati e pompati, cosa che, incredibilmente, anni dopo sarebbe stata parodizzata dall’ancora troppo sottostimato Pain & Gain di Michael Bay.
Non è un caso che proprio tra la seconda metà degli anni ’70 e gli anni ’80 il culturismo diventò uno sport riconosciuto e apprezzato dal pubblico, grazie anche a documentari come Pumping Iron (1977).
I corpi statuari degli eroi americani, ovviamente, vennero affiancati da quelli delle donne, ridotte sempre più a semplice oggetto del desiderio e anch’esse sottoposte alla logica dell’abbondanza e dell’eccesso, con grande spazio dato alla chirurgia estetica, altro elemento intelligentemente colto da Verhoeven, il cui cinema si è sempre concentrato sui corpi.
Tutti i temi qui accennati meriterebbero un approfondimento a parte, soprattutto perché sono tuttora attualissimi, essendo la nostra epoca figlia di quegli anni ’80. Tuttavia il tema centrale di questo articolo è Paul Verhoeven, quindi torniamo a occuparci di lui.
In questo contesto cinematografico, il regista olandese si è ritagliato un suo spazio ma in modo più unico che raro.
Lontano dalle utopie di Coppola e compari, Verhoeven è diventato famoso come un regista di blockbuster, di film d’intrattenimento ad alto budget, demolendo però dall’interno il sistema di cui il film blockbuster è l’emblema.
Una critica dall’interno che troppo spesso non è stata compresa, portando a liquidare i film del regista come semplici film di serie b.
In seguito agli scandali che avevano accompagnato i suoi ultimi film, Verhoeven non riusciva più a trovare finanziamenti in Olanda, perciò si rivolse altrove e trovò ciò che cercava a Hollywood, dove lo studio Orion Pictures distribuì il nuovo progetto del regista: Flesh and Blood.
Regia: Paul Verhoeven.
Soggetto: Gerard Soeteman.
Sceneggiatura: Gerard Soeteman, Paul Verhoeven.
Colonna sonora: Basil Poledouris.
Direttore della fotografia: Jan de Bont.
Montaggio: Ine Schenkkan.
Produttore: Riverside Pictures, Impala.
Anno: 1985.
Durata: 126′.
Paese: Olanda, Spagna, USA.
Interpreti e personaggi: Rutger Hauer (Martin), Jennifer Jason Leigh (Agnes), Tom Burlinson (Steven), Jack Thompson (Hawkwood), Fernando Hilbeck (Arnolfini).
Uno dei tratti distintivi di Hollywood, che ne costituisce allo stesso tempo un pregio e un difetto, è la capacità dell’industria cinematografica americana di scovare talenti stranieri e fagocitarli all’interno della macchina hollywoodiana.
Così non è raro vedere registi passare da un cinema più autoriale e d’essai a produzioni rivolte a un pubblico molto più ampio. Recentemente abbiamo visto la scalata al successo del canadese Denis Villeneuve, o quella di James Gunn, passato da un contesto indipendente ed estremo come quello della Troma a enormi produzioni mainstream come quelle della Marvel.
Il risvolto positivo è quello che, ad Hollywood, si tende a dare spazio ai registi che si fanno notare e quindi si tratta di un sistema meritocratico. Il risvolto negativo invece è che questi registi tendono spesso a perdere gran parte della loro libertà, appiattendosi sempre di più e conformandosi allo stile hollywoodiano, che deve piacere a quante più persone possibile.
Si può dire con certezza che Verhoeven è una delle principali eccezioni a questa regola e lo si capisce già con questo suo primo film hollywoodiano.
Nel 1501 il nobile Arnolfini conquista la fortezza con l’aiuto dei mercenari e del giovane Stephan, esperto nell’arte della guerra e promesso sposo della principessa Agnese. Quando Arnolfini si rifiuta di pagare, i mercenari esplodono con violenza e rapiscono Agnese. Toccherà a Stephen salvarla e sconfiggere i pericolosi mercenari comandati dal terribile Martin. (da Mymovies)
I produttori americani avranno probabilmente pensato di finanziare questo film sulla scia del successo di Conan il barbaro, fantasy dalle atmosfere molto cupe e violente, uscito tre anni prima.
Tuttavia, fin da subito, Verhoeven dimostrò di non voler scendere a compromessi, andando dritto per la sua strada.
Così, L’amore e il sangue è probabilmente uno dei film storici più violenti e crudi che si siano visti, tra massacri, violenze sessuali, scene di nudo integrale e la peste che trasforma i corpi degli infetti come in un horror.
I temi cari al regista sono tutti presenti: il difficile rapporto con la religione, che guida i protagonisti ma che sovente è strumentalizzata dall’uomo per ottenere ciò che vuole, il quale viene punito per la sua hubris; la sottomissione e l’oggettificazione delle figure femminili, che porterà in seguito al regista innumerevoli accuse di misoginia; la bestialità intrinseca nell’uomo che non riesce a fare a meno della violenza.
Da tutto ciò deriva una rappresentazione cupa e sporca del medioevo, senza la volontà di ammorbidire e celare brutalità di qualsiasi genere.
Da notare è che si tratta dell’ultima collaborazione tra il regista e Rutger Hauer, attore che, dopo il successo ottenuto con Blade Runner, era ormai un divo, cosa che portò a diversi scontri con Verhoeven.
Hauer, a quanto pare, si lamentava dell’eccessiva ambiguità morale del suo personaggio, essendo lui interessato ad avere la reputazione di attore che interpreta ruoli eroici[3].
Proprio per questo si tratta dell’ultima collaborazione tra i due, anche se inizialmente Verhoeven lo aveva scelto per interpretare il protagonista in Robocop.
Il regista inoltre si portò dietro dall’Olanda il direttore della fotografia Jan de Bont, con cui aveva già collaborato in svariati film, e il montatore Ine Schenkkan, già collaboratore in Spetters e Il quarto uomo.
Non mancarono ovviamente i problemi con la censura, specie per la scena dello stupro di Jennifer Jason Leight, che inizialmente venne rimossa.
Più che un fantasy, L’amore e il sangue è perciò una ricostruzione storica di un periodo buio dominato dalla violenza, in perfetta continuità con il percorso autoriale del regista.
L’amore e il sangue, primo film americano di Verhoeven, è anche il suo primo clamoroso flop, con 100000$ di incasso a fronte di un budget di circa 6,5 milioni.
Come spesso accadrà in seguito con gli altri film del regista, con gli anni è stato fortemente rivalutato, diventando un piccolo cult, arrivando anche a ispirare Kentaro Miura per la creazione di Berserk.
Continua…
Scritto da: Tomàs Avila.
Note:
[1] https://www.youtube.com/watch?v=-60lZqF_6IE
[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Edonismo
[3] https://en.wikipedia.org/wiki/Flesh_and_Blood_(1985_film)