Prima di cominciare avviso i lettori che, come in tutte le altre monografie del sito, sono presenti molti spoiler, necessari per analizzare al meglio i film presi in considerazione.
BIOGRAFIA
Kim Jee-woon nasce il 6 luglio del 1954 a Seul, in Corea del Sud. SI iscrive al “Seoul Institute of the Art” ma in seguito lo abbandona per diventare un attore e regista di teatro dirigendo “Hot Sea” nel 1994 e “Movie Movie” nel 1995. Nel 1997 la sua sceneggiatura “Wonderful Seasons” vince un importante premio in Corea e nello stesso anno Kim Jee-woon scrive la sceneggiatura di quello che sarà il suo primo lungometraggio: “The Quiet Family”.
Debutta al cinema nel 1998 ottenendo un ottimo successo di critica ma è nel 2000 con “The Foul King” che il suo nome diventa veramente famoso.
Il suo secondo lungometraggio sbanca al boxoffice e diventa un caso nazionale, arrivando al di fuori dei confini coreani, specialmente in occidente, con “Two Sisters” nel 2003.
Nel giro di pochi anni Kim Jee-woon si è imposto come uno dei maggiori registi (e autori) coreani: probabilmente il suo è uno dei 4 nomi più celebri del cinema coreano contemporaneo, accanto a quelli di Kim Ki-duk[1], Bong Joon-ho[2] e Park Chan-wook[3]. Stiamo parlando di autori che hanno avuto un successo tale da arrivare a lavorare in America (escluso Kim Ki-duk) curiosamente tutti nel 2013.
Quello di Kim Jee-woon è un cinema che mescola gli stilemi di vari generi rielaborandoli e creando qualcosa di molto personale e scegliendo quasi sempre un cinema di genere che spazia dall’horror all’azione, senza però limitarsi al solo intrattenimento, concependo delle opere estremamente stratificate e in cui, però, si ritrova sempre poetica dell’autore.
FILMOGRAFIA
–The Quiet Family, 1998
–The Foul King , 2000
–Coming Out , 2001 (cortometraggio)
–Three (segmento “Memories”), 2002
–Two Sisters, 2003
–A Bittersweet Life, 2005
–The Good, The Bad, The Weird, 2008
–I Saw The Devil, 2010
–60 Seconds of Solitude in Year Zero, 2011
-Doomsday Book (segmento “Heaven’s Creation”), 2012
–The Last Stand, 2013
-One Perfect Day, 2013 (video short)
–The X, 2013 (cortometraggio)
-L’impero delle ombre, 2016
-Illang- Uomini e lupi, 2018
Regia: Kim Jee-woon.
Soggetto: Kim Jee-woon.
Sceneggiatura: Kim Jee-woon.
Musiche: Yeong-wook Jo.
Direttore della fotografia: Kwang-Seok Jeong.
Anno: 1998.
Durata:101′.
Paese: Corea del Sud.
Interpreti e personaggi: Kang-ho Song (Son), Min-sik Choi (Uncle), Mun-hee Na (Mother), In-hwan Park (Father), Ho-kyung Go (Daughter).
“The Quiet Family” è il film d’esordio di Kim Jee-woon.
Si tratta di una commedia nerissima in cui già si intravvedono alcune delle caratteristiche che in seguito contraddistingueranno lo stile del regista.
Dopo il licenziamento del padre, una famiglia si ritira in un vecchio cottage di montagna con l’intenzione di farne un albergo. Ma i giorni passano, e di clienti nemmeno l’ombra. Presto, fra i bizzarri membri della famiglia, inizia a serpeggiare il malcontento. Almeno finché non arriva il tanto atteso primo cliente, che però si fa trovare morto la mattina dopo l’arrivo. Spinti dalla necessità di non mandare all’aria il neonato business, la famiglia decide di seppellire il morto. Ma anche ai clienti che successivamente giungono nel cottage tocca la stessa sorte, e seppellire clienti morti diventa routine. (Da skycinema.it)
La prima cosa che si nota è il modo in cui il regista mescola diversi generi e influenze: il film, pur presentandosi come una commedia, spesso vira verso il thriller e l’horror creando delle situazioni molto tese che il più delle volte si
risolvono in modo divertente o tragicomico.
Quest’ultima è una delle caratteristiche più importanti dello stile di Kim Jee-woon: da autore post moderno quale è, prende un po’ da una parte e un po’ dall’altra creando qualcosa di derivativo ma allo stesso tempo originale operando un geniale e caratteristico rimescolamento dei generi. Anche in questo caso vengono ripresi vari stilemi: la villa isolata, la famiglia di assassini (che in questo caso viene demolito e reso comico) e via dicendo.
Non manca poi un certo gusto per la violenza che non viene quasi mai celata, ci sono infatti scene piuttosto sanguinolente e gore che però non toccano ancora le punte gore dei lavori successivi del registi.
Salta subito all’occhio l’attenzione dedicata al comparto tecnico, in particolar modo alla regia che già da questo film d’esordio è veramente notevole: fin dal principio appunto si iniziano ad intravvedere quei complessi movimenti di macchina che saranno poi una delle principali cifre stilistiche del regista. Ovviamente, esse non sono ancora paragonabili a quelle dei lavori attuali, in quanto non ancora ai livelli di perfezionamento di “Bittersweet Life” e soprattutto “I saw the devil”.
Anche la sceneggiatura gode di una scrittura notevole, non risente infatti di cali di ritmo il quale regge per tutta la pellicola, sia per quanto riguarda la suspense che la componente comica.
È da notare che il regista ha sempre scritto di suo pungo (a volte aiutato da dei collaboratori) le sceneggiature originali dei suoi lavori fino al già citato “I saw the devil”.
Avvalendosi di un cast che risulta essere l’ennesimo punto di forza del film, dove tutti gli attori recitano in modo convincente le loro parti, risultando perfettamente adatti ai personaggi che devono interpretare, nella pellicola spicca in particolare Choi Min-sik[4], qui in una delle sue prime pellicole, che diventerà famosissimo con “Old Boy”[5]. Anche Song Kang-ho[6], alle prime armi, reso celebre in seguito da diversi film come “Mr. Vendetta”[7], “Memories of Murder”[8], “The Host”[9] e il più recente “Snoepiercer”[10], fa un ottimo lavoro.
Infine regala un’ottima interpretazione anche Na Moon-Hee[11] nel ruolo di Mrs. Kang, che rivedremo poi in “Cruel Winter Blues”[12] (Qui la nostra recensione).
Insomma oltre a essere un cast di tutto rispetto, proprio grazie a questa pellicola possiamo godere delle performance di due dei più famosi attori coreani all’inizio della loro carriera.
Il film colpisce anche per il cinismo con cui vengono affrontate certe questioni: la famiglia di cui seguiamo le vicende si macchia nel corso della storia di diverse colpe, alcune anche molto pesanti, però mantiene fino alla fine una certa aura di ingenuità.
Certo, ci saranno risse, omicidi, suicidi e spesso la colpa ricadrà sui nostri protagonisti, però *nome regista* non riesce mai a farceli stare antipatici. Sono un gruppo di persone (non tanto) comuni a cui, in sostanza, ne capita una dopo l’altra ma la cosa più inquietante è che molti degli sventurati clienti che muoiono dimostrano di essere delle persone orribili, quindi non ci dispiace più di tanto per la loro sventurata sorte, perché in un certo senso sembrano tutti meritarsi quello che accade.
Proprio per questo motivo gli unici ad uscirne fuori “puliti” sono proprio i protagonisti, nonostante si siano sporcati le mani in più occasioni. Possiamo dire che tutta la pellicola, in fondo, gira intorno a questa stramba famiglia, composta per lo più da tipi molto particolari, che cerca di trovare un equilibrio e la felicità.
Chissà, tra tutte le varie disavventure, forse alla fine ce la faranno!
“The quiet family” è stato un grande successo in patria e ha reso piuttosto celebre il regista entro i confini nazionali. Anche se per la fama internazionale bisognerà aspettare “Two sisters”, qualcuno già si era accorto di lui da questo film d’esordio: sto parlando di uno dei più grandi registi giapponesi (e non) contemporanei ovvero Takashi Miike[13].
Per chi non lo sapesse, il suo “The Happiness of the Katakuris”[14] del 2002 non è altro che il remake di “The quiet family”, reso ancora più folle dall’inimitabile stile del regista nipponico.
Insomma, un esordio importante che ha segnato l’inizio della carriera di un grande regista.
Regia: Kim Jee-woon.
Soggetto: Kim Jee-woon.
Sceneggiatura: Kim Jee-woon.
Musiche: Yeong-gyu Jang, Byung-hoon Lee.
Produttore: Jung-Wan Oh.
Anno: 2000.
Durata:112′.
Paese: Corea del Sud.
Interpreti e personaggi: Kang-ho Song (Dae-Ho), Jin-Young Jang (Min-young Jang), Su-ro Kim (Yu Bee-ho), Goo Shin (Dae-Ho’s father).
Il secondo lungometraggio del regista ricalca alcune caratteristiche del primo apportando però delle sostanziali novità.
Dae-ho è un impiegato goffo e inefficiente, vessato da un sadico capufficio. Impossibilitato a conformarsi per riuscire nella competitiva società coreana, Dae-ho segue la via della passione, quella che lo porta sul ring del wrestling; indossando una maschera il triste impiegato fantozziano torna a sentirsi uomo. (da mymovies).
Il punto di partenza di “The foul king” è più o meno quello che accomuna due grandi film, uno occidentale e l’altro orientale, ovvero l’alienazione dell’impiegato medio nella società contemporanea. Per chi non ci fosse ancora arrivato, sto ovviamente parlando di “Fight Club”[15] di Fincher[16] e “Tokyo Fist”[17] di Tsukamoto[18], due film molto diversi ma allo stesso tempo molto vicini. In entrambi i casi vengono raccontate le storie di persone schiacciate dal peso della società nella quale sono costretti a vivere e in entrambi i casi la risposta è la riscoperta del proprio corpo ma soprattutto la violenza dove il pestarsi a sangue, l’infliggere colpi e anche l’incassarne, l’autodistruzione la fanno da padrone
Le due pellicole prendono poi strade completamente diverse ma l’idea di base, molto interessante, era vicina.
A testimoniare la vicinanza tra i due titoli è anche il periodo in cui sono venuti alla luce che è praticamente il medesimo: il film di Tsukamoto è infatti del 1995, quello di Fincher del 1999 ma l’omonimo libro di Chuck Palahniuk[19] da cui è tratto è del 1996.
Non è un caso che questo secondo lungometraggio di Kim Jee-woon sia uscito nello stesso periodo, per la precisione nel 1999, dove le premesse sono bene o male le stesse dei due film di cui si è parlato.
Il protagonista, Dae-ho, è un perdente e impotente verso le continue umiliazioni del suo capo che spesso lo sottomette, sia fisicamente che psicologicamente (a questo proposito particolarmente significativa è la presa con la quale il capo stringe il collo a Dae-ho, come a rappresentare la condizione soffocante a cui è sottoposto). Oltre alle pressioni in campo lavorativo, il protagonista è un fallito anche in amore, poiché invaghito di una sua collega ma non trova mai il coraggio di dichiararsi. Come se non bastasse viene anche picchiato da dei bulletti: è insomma è calato in un ambiente del quale non ha il minimo controllo ma anzi è sottomesso da tutti.
Il modo per riuscire a rompere questa routine arriverà, forse, grazie ad una palestra di Wrestling.
Dae-ho, da sempre appassionato di quella disciplina, decide di iniziare ad allenarsi e di diventare un wrestler, iniziando così una doppia vita: di giorno si reca al solito lavoro opprimente e di notte si allena nella palestra e partecipa a incontri.
Come si può notare, le somiglianze con “Fight club” e “Tokyo Fist” sono molte ma la strada che prende il film di Kim Jee-woon è molto diversa.
Per prima cosa cambia molto il fatto che non si tratti di boxe o incontri clandestini all’ultimo sangue, bensì di wrestling. Dae-ho, grazie all’allenamento, riacquista il controllo del proprio corpo e di conseguenza ne guadagna in sicurezza, iniziando a comprendere di poter controllare il mondo che lo circonda e non più di essere controllato da esso.
Tuttavia Dae-ho pratica il wrestling, non la boxe, un particolare fondamentale per far si che la pellicola non risenta pulsione autodistruttiva che caratterizza le altre due produzioni sopracitate. Essa, in questo caso, è sostituita dal tema della simulazione, della finzione, infatti quando il protagonista è sul ring non combatte ma recita, dando spettacolo stando al centro dell’attenzione, però si tratta solo di finzione e questa fondamentale differenza si riflette anche nella sua vita di tutti i giorni.
I momenti più importanti in cui Dae-ho riacquista il controllo sul mondo che lo circonda non sono in realtà positivi: succede infatti che quando dichiara il suo amore alla collega e quando picchia i bulletti che lo avevano importunato, Dae-ho indossa la maschera che mette solitamente sul ring, la stessa che usa per dare spettacolo la indossa anche per agire sulla propria vita di tutti i giorni, dando quasi l’impressione di non riuscire più a liberarsene. Di conseguenza anche tutti i presunti miglioramenti della sua condizione sono una recita, una finzione e il ring stesso diventa una sorta di palco scenico che si riflette sulla sua vita.
La vera violenza irrompe solo nel momento in cui la maschera che Dae-ho indossa viene strappata e ciò avviene durante l’incontro tra il protagonista uno dei più famosi wrestler in circolazione in quel momento che, a differenza degli altri, non finge. L’incontro infatti degenera sempre di più, fino a che, in seguito al disvelamento dovuto dalla maschera strappata il protagonista scatena la bestia che è in lui, finendo però sconfitto.
Il messaggio è molto pessimista, nonostante i toni divertenti da commedia e anche il finale è sulla stessa linea: il protagonista si trova finalmente faccia a faccia contro al suo capo, e quando finalmente ci aspetteremmo una resa dei conti, Dae-ho si scaglia di corsa verso di lui, però inciampa e il regista insiste su un fermo immagine in cui lo vediamo a terra davanti al capo che lo guarda dall’alto al basso. Infine, con uno stacco, lo vediamo vestito in giacca e cravatta che attraversa la strada, in mezzo ad altre persone: segno che Dae-ho è tornato quindi alla normalità.
Con un finale molto pessimista, sembra che il regista ci tenga a sottolineare che per Dae-ho non c’è speranza e che non è possibile uscire dalla frustrante quotidianità.
Tecnicamente il film è, come al solito, molto curato e spiccano in particoalr modo i piani sequenza che mostrano il protagonista andare dagli spogliatoi verso il ring.
Rimangono tuttavia ancora, da questo punto di vista, lontani da quelli presentati nei successivi film di Kim Jee-woon.
Funziona molto bene il pastiche di generi, tra commedia, dramma, film sportivo e le varie citazioni, una su tutte il “duello” finale tra Dae-ho e il capo accompagnato da un commento musicale che richiama ironicamente “Il buono, il brutto e il cattivo” di Leone.
Gli attori sono tutti all’altezza, in particolare Kang-ho song, qui alla seconda collaborazione con il regista, che
vedremo lavorare di nuovo insieme ne “Il buono, il matto e il cattivo” del 2008 e in “Secret Agent”, attualmente in post produzione.
Non uno dei migliori film di Kim Jee-woon ma molto interessante da comparare con i già citati “Fight club” e “Tokyo Fist”.
“Coming Out” è un mediometraggio del regista che purtroppo non si trova facilmente in giro. Lascio quindi il link alla recensione di: www.spietati.it .
THREE (segmento “Memories”)
Regia: Jee-woon Kim.
Soggetto: Kim Jee-woon.
Sceneggiatura: Kim Jee-woon.
Musiche: Byung-woo Lee.
Direttore della fotografia: Kyung-pyo Hong.
Produttore: Hayden Baptiste, Jonathan Collard, Jung-Wan Oh.
Anno: 2002.
Durata:140′.
Paese: Corea del Sud.
Interpreti e personaggi: Hye-su Kim (Wife), Bo.seok Jeong (Husband), Jeong-won Choi (Doctor).
“Three”, conosciuto anche come “Three… extremes 2”, è un’antologia horror composta da tre episodi, girati da tre registi asiatici: il nostro Kim Jee-woon, il cinese Peter Ho-sun Chan[20] e thailandese Nonzee Nimibutur[21]. Il film è stato distribuito in occidente in seguito al più celebre “Three…Extremes”[22] del 2004 che in realtà era il sequel della pellicola di cui stiamo parlando, uscita invece nel 2002.
“Three…extremes” infatti ebbe un buon successo, anche grazie alla più ampia notorietà dei registi (Takashi Miike, Park chan wook e Fruit Chan[23]), e si pensò di distribuire “Three” spacciandolo per un suo seguito.
In questa recensione mi occuperò soltanto del mediometraggio di Kim Jee-woon, tralasciando gli altri due che si colloca, cronologicamente, come primo della pellicola e si intitola “Memories”.
Un uomo racconta al suo psichiatra di essere soggetto ad incubi che ritraggono sua moglie, scomparsa dalla sua vita di recente senza però ricordarsi che cosa le sia realmente accaduto. Nel frattempo, la donna si risveglia in mezzo ad una strada senza ricordarsi nulla di ciò che le è capitato; con il passare delle ore, sia moglie che marito recupereranno memoria degli avvenimenti.
Parto col dire che questo quarto lavoro del regista non è tra i suoi migliori. Con ciò non intendo dire che sia brutto, anzi si fa guardare con piacere e l’atmosfera onirica e inquietante che si respira è notevole, tuttavia la storia in se non è per niente originale e si capisce piuttosto in fretta dove andrà a parare.
Senza necessità di andare cercare significati profondi o altro, va preso solo per quello che è.
L’atmosfera che crea il regista è molto suggestiva, a metà tra il j-horror e gli incubi lynchani[24], per cui Kim Jee-woon dimostra ancora una volta di saper mettere in gioco una regia fenomenale ed è forse questo il pregio maggiore di “Memories”, nonché lo strumento di cui si serve maggiormente per creare tensione.
Purtroppo però i dialoghi risultano quasi completamente assenti e dall’inizio alla fine si è come persi dentro ad un’allucinazione: sicuramente è molto riuscito da questo punto di vista ma la storia in sé non brilla per inventiva ed è uno dei pochi casi nella carriera del regista in cui la tecnica sovrasta del tutto la narrazione.
Infine il modo in cui si risolve la vicenda lascia in parte amareggiati perché fin troppo prevedibile anche se, dopotutto, si tratta di una conclusione inevitabile.
A parer mio, uno dei lavori minori del regista coreano che merita tuttavia di essere visto per la fantastica regia e la cupa fotografia, senza pretendere troppo dalla storia.
Continua…
Scritto da: Tomàs Avila.
Note:
[1] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm1104118/?ref_=fn_al_nm_1 .
[2] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0094435/?ref_=fn_al_nm_1 .
[3] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0661791/?ref_=fn_al_nm_2 .
[4] Link IMDB dell’attore: http://www.imdb.com/name/nm0158856/?ref_=tt_ov_st_sm .
[5] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0364569/?ref_=fn_al_tt_2 .
[6] Link IMDB dell’attore: http://www.imdb.com/name/nm0814280/?ref_=nv_sr_1 .
[7] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0310775/?ref_=nm_knf_i4 .
[8] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0353969/?ref_=nm_knf_t3 .
[9] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0468492/?ref_=nm_knf_t2 .
[10] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt1706620/?ref_=nm_knf_i1 .
[11] Link IMDB dell’attrice: http://www.imdb.com/name/nm0618520/?ref_=tt_ov_st_sm .
[12] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0969367/?ref_=fn_al_tt_1 .
[13] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0586281/?ref_=tt_ov_dr .
[14] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0304262/?ref_=fn_al_tt_1 .
[15] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0137523/?ref_=nv_sr_1 .
[16] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0000399/?ref_=tt_ov_dr .
[17] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0114690/?ref_=fn_al_tt_1 .
[18] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0875354/?ref_=tt_ov_dr .
[19] Link IMDB dello scrittore: http://www.imdb.com/name/nm0657333/?ref_=nv_sr_1 .
[20] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0151066/?ref_=tt_ov_dr .
[21] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0632354/?ref_=ttfc_fc_dr3 .
[22] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0420251/?ref_=nv_sr_1 .
[23] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0150897/?ref_=tt_ov_dr .
[24] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0000186/?ref_=nv_sr_2 .