Monografia di Pascal Laugier. Parte 4- Ghostland: La casa delle bambole

In Analisi film, Cinema, Pascal Laugier, Tomàs Avila by Tomas AvilaLeave a Comment

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Regia: Pascal Laugier.
Soggetto: Pascal Laugier.
Sceneggiatura
: Pascal Laugier.
Colonna sonora: Todd Bryanton.
Direttore della fotografia: Danny Nowak.
Montaggio: Dev Singh.
Produttore: 5656 Films, Inferno Pictures Inc., Logical Pictures, Mars Films.
Anno: 2018.
Durata: 91’.
Paese: Francia, Canada.
Interpreti e personaggi: Joshua Leonard (David Strine), Claire Foy (Sawyer Valentini), Jay Pharoah (Nate Hoffman), Juno Temple (Violet).

 

Dopo la morte di sua zia, Colleen (Farmer) e le sue due figlie, la maggiore Beth (Reed), totalmente bloccata e timida trova conforto nelle storie che inventa nei libri che scrive, e Vera (Philipps), molto più estroversa e sicura di sé, ereditano la sua casa. Durante la loro prima notte in questa nuova casa alcuni assassini irrompono spingendo Colleen a combattere per salvare le vite delle sue figlie. Durante questa notte altamente traumatica, le personalità agli antipodi delle ragazze divergono ancora di più. Sedici anni dopo Beth è diventata una famosa scrittrice horror con una famiglia e una vita perfette a Chicago, mentre Vera non è riuscita a superare il trauma e perde la testa di fronte ad un irremovibile senso di paranoia. Figlie e madre finalmente si riuniscono nella casa in cui vivono ancora Colleen e Vera. È solo allora che cominciano a verificarsi strani eventi. (da Cineblog)

GhostlandFinalmente, dopo sei anni di attesa, è tornato Pascal Laugier con il suo quarto lungometraggio in 14 anni di carriera. Come mai bisogna attendere sempre così tanto tra un suo film e il successivo? Il regista ha risposto chiaramente in un’intervista, rispondendo a una giornalista: “Perché è molto difficile per me trovare i soldi, credimi non è una mia scelta […] sarei una persona più felice se riuscissi a girare più film però devi capire che vivere in Francia ed essere un regista francese, perché certa gente pensa che io sia canadese o americano ma non lo sono e non potrei mai vivere ad Hollywood perché non è la mia natura e… essere un regista francese e cercare di fare questo tipo di film è ancora difficilissimo”[1].
A conferma di questo fatto, il regista aveva scritto una sceneggiatura intitolata “The Girl”, per un film thriller sentimentale che non è stato però mai realizzato, a causa dell’impossibilità di trovare i finanziamenti.
Ormai Laugier è conosciuto come un regista horror ed è costretto a realizzare solo horror, cosa che però non gli dispiace, essendo il suo genere prediletto.

Poste queste premesse, Ghostland è l’ennesimo colpo andato a segno, un horror come se ne vedono pochi, diverso dai precedenti lavori del regista ma con tutte le caratteristiche che contraddistinguono i suoi film.

Anche in questo caso l’inizio farebbe pensare al classico film con una casa infestata. La casa ereditata dalle protagoniste è in mezzo al nulla ed è ovviamente inquietante come da manuale, con tanto di decine e decine di bambole, alcune delle quali particolarmente spaventose.

GhostlandUn cliché che Laugier sa utilizzare per i suoi scopi: dopo qualche classico jumpscare con le bambole come protagonista, diventa chiaro che non sono queste il centro della narrazione, che sono solo oggetti inanimati e che il male, ancora una volta, è fondamentalmente umano.
Come sempre quindi il regista parte dai cliché horror, qui le bambole, in I bambini di Cold Rock l’uomo nero, in Martyrs la presenza che perseguita la protagonista, per poi infrangere le aspettative dello spettatore, cambiando strada.

Dopo poco tempo vengono presentati gli antagonisti, una coppia di maniaci che si muove con un furgoncino, che non può non ricordare Alta tensione di Alex Aja (un altro dei capisaldi della New French Extremity). I due sono un travestito e un gigante deforme, nella più classica tradizione del New Horror americano, da The Texas Chainsaw Massacre a Le colline hanno gli occhi. I rimandi al film di Hooper in particolare sono chiari ed è interessante notare come sia stato un film fondamentale per tutti i registi francesi dell’ondata horror dei duemila, tanto che Alexandre Bustillo e Julien Maury hanno girato giusto l’anno scorso l’ottavo capitolo della saga, Leatherface.
In questo caso lo ricordano le ambientazioni degradate, le bambole chiuse dentro alle gabbie per animali che vanno a sostituire le ossa che decoravano la casa degli Hardesty nel film di Hooper.

Laugier dimostra ancora una volta di essere più interessato ai personaggi femminili rispetto che a quelli maschili e, come in tutti i suoi film, le protagoniste sono due donne. Due ragazzine per la precisione, il che ci riporta alla centralità dei bambini nelle opere del regista francese e all’importanza che ha l’infanzia, vista come qualcosa di puro che viene inevitabilmente sporcato dal mondo malato nel quale i bambini vivono.
Tutto il film ruota attorno al rapporto tra le due sorelle, in momenti diversi della loro vita.

GhostlandCome scopriremo in seguito, la struttura narrativa divisa in piani temporali distinti si appiattirà in un unico piano temporale, rivelando che tutta la parte in cui le due sorelle sono adulte non è altro che la fantasia di Beth per sfuggire all’orrore reale che sta vivendo.
Il mondo fantastico torna anche in questo caso, in modo simile a Del Toro, come via di fuga da una realtà troppo dura da accettare, ovvero l’assassinio della madre e il rapimento da parte dei due psicopatici.

Laugier è molto abile nel sovrapporre questi due piani temporali che fin da subito mostrano di avere qualcosa che non torna (il bambino vestito da Arlecchino), come fossero due universi paralleli in stile Lynch, in cui i personaggi da un momento all’altro si svegliano e si scambiano i ruoli.
E quando scomodo Lynch non lo faccio per caso, il sistema con cui Beth proietta i suoi desideri e le sue paure nella vita che si immagina riprende molto le modalità del Maestro. Beth si immagina come una scrittrice di successo, soddisfatta, con un marito, mentre la sorella è rimasta traumatizzata dall’aggressione dei maniaci ed è impazzita.
Ci renderemo definitivamente conto che si tratta di un mondo immaginario quando comparirà Lovecraft (citato per altro anche all’inizio del film), l’idolo di Beth, a complimentarsi con lei per il romanzo che ha scritto. Nel mondo fantastico di Beth i riferimenti alla sua situazione reale provengono inoltre dai titoli dei libri che ha scritto “Incident in a Ghost Land” e “The Dollhouse”, come se la realtà diventasse a sua volta una storia di finzione all’interno del mondo immaginario, ribaltando i ruoli.

GhostlandInteressante è inoltre il modo in cui questi due “universi paralleli” comunicano tra di loro. La Beth del futuro ha dei flash del passato che si scopriranno poi essere i suoi pochi momenti di lucidità, i momenti in cui non si rinchiude più in sé stessa ma si ricorda di essere ancora rapita dai due maniaci.

In effetti Ghostland, come ha specificato lo stesso Laugier, è un particolare coming of age, una storia di formazione in cui la nostra protagonista dovrà passare forzatamente dall’adolescenza all’età adulta.
Simboliche sono quindi le bambole, simbolo dell’infanzia, e il fatto che i maniaci concino le due ragazze come fossero anch’esse delle bambole. Il passaggio all’età adulta avverrà nel momento in cui Beth realizzerà che sua madre è stata uccisa e non può più difenderla, tocca a lei ora combattere e lottare per la sua vita e quella della sorella.

Risulta chiaro come anche in questo caso, nonostante i riferimenti al New Horror americano, manchi la componente politico-sociale che caratterizza molti film dei colleghi del regista. Lo stesso Laugier ha ammesso chiaramente la cosa in un’intervista, dicendo: “Non voglio esprimere idee politiche, i miei film riguardano i sentimenti che tutti abbiamo, riguardo le nostre storie, le nostre relazioni con la vita e la morte, con il fatto che dovremo morire e che soffriremo, è una domanda riguardo al dolore, cose di questo genere”[2].

GhostlandTecnicamente, Laugier dimostra sempre di essere un grande regista, sapendo cambiare stile da film a film, in base a ciò che serve per raccontare la storia. Così in questo caso abbiamo dei movimenti di macchina quasi sempre fluidi e stabili, come quando le protagoniste vengono seguite nei corridoi della casa delle bambole, alternati a riprese a mano nelle scene più concitate. La macchina a mano viene però usata molto meno rispetto a Martyrs, avvicinando di più il film a I bambini di Cold Rock.
La fotografia di Danny Nowak riesce a rendere ancora più inquietante la casa delle bambole, già di per sé una scenografia perfetta per un film horror e anche il montaggio di Dev Singh, che è andato a sostituire Sébastien Prangère, storico montatore di Laugier, è molto curato e riesce a incrociare in modo convincente i diversi piani temporali.

Colpisce infine la violenza con cui Laugier mette in scena la storia. Si capisce perché ci metta così tanto a trovare i finanziamenti per i suoi film e come mai non voglia lavorare ad Hollywood. Le due ragazze sono continuamente malmenate e sottoposte a violenza psicologica insostenibile, cosa che nel classico horror per teenager è impossibile da far passare.
Mettendosi alla prova con una specie di mind-game film che sfugge, come sempre, a una classificazione precisa, mescolando i generi come fa con i piani narrativi, Laugier da prova per l’ennesima volta del suo talento, un talento raro di cui si sente il bisogno, motivo per cui dispiace l’idea di dover aspettare degli anni per vederlo lavorare nuovamente.

 

Scritto da: Tomàs Avila.

 

Note:

[1] https://www.youtube.com/watch?v=oo4cUCbcPW4

[2] https://www.youtube.com/watch?v=oo4cUCbcPW4