I migliori e i peggiori film del 2019

In Cinema, I Migliori Film dell'Anno, Tomàs Avila by Tomas AvilaLeave a Comment

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Come sempre, arrivati a fine anno, ripercorriamo le uscite del 2019, spendendo qualche parola per i film particolarmente meritevoli di attenzione, sia in positivo che in negativo.

Cominciamo con la top 10 del 2019, a seguire la flop 10 e in seguito le mini-recensioni dei singoli film, con eventuali rimandi a recensioni e analisi più approfondite fatte nel corso dell’anno.

In fondo potete trovare le immagini delle locandine dei film e il link al video della nostra top e flop 10.

Indice:
Top 10
Flop 10
Mini-recensioni

 

TOP 10

  1. C’era una volta… a Hollywood, di Quentin Tarantino
  2. The Irishman, di Martin Scorsese
  3. The Beach Bum, di Harmony Korine
  4. Parasite, di Bong Joon-ho
  5. L’ufficiale e la spia, di Roman Polański
  6. The Lighthouse, di Robert Eggers
  7. Un giorno di pioggia a New York, di Woody Allen
  8. Joker, di Todd Phillips
  9. John Wick 3, di Chad Stahelski
  10. Glass, di M. Night Shyamalan

 

FLOP 10

  1. Doctor Sleep, di Mike Flanagan
  2. 6 Underground, di Michael Bay
  3. It: Capitolo 2, di Andy Muschietti
  4. Avengers: Endgame, di Anthony e Joe Russo
  5. Rambo: Last Blood, di Adrian Grunberg
  6. 3 From Hell, di Rob Zombie
  7. Domino, di Brian De Palma
  8. El Camino, di Vince Gilligan
  9. Us- Noi, di Jordan Peele
  10. Midsommar, di Ari Aster

MINI RECENSIONI

C’era una volta… a Hollywood, di Quentin Tarantino 

Tarantino, giunto al suo nono lungometraggio, realizza un’opera spiazzante per molti, ma in realtà in perfetta continuità con i suoi precedenti film, fondamentale tassello per chiunque adori il cinema di quello che ormai è, senza alcun dubbio, uno dei più grandi registi al mondo.

Tarantino ci racconta con gli occhi di chi ama il cinema, un’epoca storica fondamentale per Hollywood e per l’America, continuando il discorso cominciato con Bastardi Senza Gloria, ovvero sottolineando nuovamente il potere salvifico del cinema, in grado di riscrivere uno degli episodi più tristemente noti della cronaca nera statunitense, cambiando così il corso della storia.

Uno dei migliori film del regista, arrivato ormai a una maturità artistica che lo riporta ai toni romantici e malinconici di Jackie Brown, uno dei suoi film più sottovalutati.

Non ci resta che sperare che Tarantino ci stia prendendo in giro tutti, quando dice che al decimo lungometraggio si fermerà.

Per un’analisi più approfondita vi rimando al video che ho fatto in merito.

 

The Irishman, di Martin Scorsese 

Un film che era già storia del cinema prima ancora di uscire.
Il ritorno di Scorsese al gangster movie, genere che ha frequentato fin dall’inizio della sua carriera e che, nel corso degli anni, film dopo film, ha saputo reinventare e reinterpretare.

Dalle riflessioni religiose di Mean Streets alla disarmante esibizione della quotidianità della malavita di Goodfellas, passando dalla città simbolo del sogno americano con Casino e da The Departed, riuscitissimo remake dell’honkonghese Infernal Affairs, fino a The Wolf of Wall Street, film che trasla la struttura tipica delle sue opere precedenti, nel folle mondo della finanza.

Ogni film ha aggiunto un tassello alla riflessione di Scorsese su uno dei generi fondamentali del cinema Hollywoodiano.
Arrivato a The Irishman, dopo il bellissimo Silence, Scorsese riesce nuovamente ad aggiungere un frammento imprescindibile, parlandoci questa volta della vecchiaia e della morte e ricordandoci come sia l’unica cosa realmente uguale per tutti.

Tutto ciò, ripercorrendo diversi decenni di storia americana, visti dagli occhi dei malavitosi, una sorta di società parallela a quella nota a tutti.

Un capolavoro che può vantare inoltre le strepitose interpretazioni di De Niro, Pacino e Pesci in stato di grazia, specialmente l’ultimo.

 

The Beach Bum, di Harmony Korine 

A sei anni di distanza da uno dei film più importanti del decennio, Spring Breakers, Harmony Korine torna con un’opera che sembra quasi il risvolto “positivo” della medaglia.
Restano i toni allucinati, le luci al neon, la droga ma la cupa riflessione sul nichilismo delle generazioni dello spring break, lascia spazio a Moondog e alla sua stravagante visione della vita.
Ancora una volta Korine non nasconde il degrado, mostra luci e ombre dei personaggi e del mondo che racconta ma alla fine non si riesce a non simpatizzare per il protagonista, artista decadente, costantemente sotto stupefacenti, che non può non far pensare a Korine stesso, specialmente se si conosce un po’ il suo percorso.

Un film sull’arte, sull’essere artista e soprattutto sull’anarchia, sull’infrangere qualsiasi regola, cosa che Korine ha sempre fatto e continua a fare come pochi altri registi americani.

 

Parasite, di Bong Joon-ho 

La prima palma d’oro vinta da un regista Coreano. Parliamo di Bong Joon-ho, uno dei registi fondamentali del cinema sud coreano degli ultimi vent’anni.

Parasite non è forse il suo miglior film, che rimane a distanza di anni Memories of Murder, ma sicuramente è la conferma, a livello internazionale, del talento di Bong.

Il regista mette in scena una lotta di classe sempre più lontana dagli ideali marxisti e sempre più vicina a una confusionaria guerra tra poveri, dove tutti sono pronti a sbranare il prossimo per salvarsi la pelle.
Niente più coscienza di classe quindi ma un individualismo esasperato che, a partire dalla Corea del Sud, diventa critica sociale a livello universale, in cui tutti riusciamo a riconoscerci.

Un meccanismo perfettamente congegnato, frutto di una sceneggiatura di ferro, di un uso delle scenografie a dir poco geniale che ricorda un altro film sud coreano uscito di recente, Burning di Lee Chang-dong.

Interessante è la vicinanza, tematica e simbolica, con Us, di Jordan Peele, film che invece vedremo nella flop 10.

Va sottolineato infine il grande successo che ha riscosso in tutto il mondo, anche in Italia. Cosa che fa sempre piacere, quando si parla di film Coreani.

Per un’analisi più approfondita rimando a questo video.

 

L’ufficiale e la spia, di Roman Polański 

Polanski non compare soltanto nel film di Tarantino ma occupa un posto in questa classifica anche con il suo ultimo film, L’ufficiale e la spia, un dramma storico sul celebre caso Dreyfus.

Il regista, varcati gli 80, dimostra di non aver perso ancora una briciola del suo talento, realizzando un’opera magistrale che racconta una storia passata ma che parla a chi vive nella nostra contemporaneità, in cui, come si è visto dai recenti casi di cronaca, basta poco per scatenare la gogna (mediatica, se si parla dei giorni nostri).

Il regista punta il dito contro a delle istituzioni e a una burocrazia che dovrebbero operare in nome della giustizia e della legge ma che sono invece facilmente corruttibili e manipolabili.

Il film, già di per sé di spessore, diventa ancora più interessante se si pensa ai recenti trascorsi del regista e a come è stato accolto dalla giuria all’ultimo festival di Venezia.

 

The Lighthouse, di Robert Eggers 

Torna Eggers, dopo il notevole The Witch che lo aveva lanciato come uno dei più promettenti trai giovani registi horror e non solo.

Sono girate voci secondo cui avrebbe dovuto girare un remake del Nosferatu di Murnau, alla fine invece si è dedicato a un altro progetto, questo The Lighthouse appunto.

Si notano subito però le vicinanze a Nosferatu e in generale al cinema muto. A partire dalla scelta del formato 4:3, della pellicola in bianco e nero e dei ritmi decisamente più dilatati rispetto a quelli dell’horror contemporaneo.

Al centro della vicenda una storia di uomini ai limiti, di esclusi che, proprio come in The Witch, saranno portati alla disperazione dall’ambiente ostile che li circonda e dalla solitudine.

Nel corso del film la sottile linea tra paranormale e follia dei protagonisti diventa sempre meno netta, fino ad arrivare al criptico finale che, ancora una volta, ricorda il precedente lavoro del regista.

Un grande horror in cui l’orrore non viene dall’esterno ma da dentro i personaggi.

 

Un giorno di pioggia a New York, di Woody Allen

Woody Allen torna a raccontare la sua città, New York, e le relazioni di coppia.

Per questo un giorno di pioggia a NY sceglie una coppia di attori giovanissimi, Timothée Chalamet ed Elle Fanning, scelta che non convince, a differenza di quelle fatte in molti dei suoi film recenti, in particolare per quanto riguarda Chalamet che risulta abbastanza fuoriluogo nell’imitare le movenze e la gestualità di Allen.

Nonostante ciò il film è un piacere per gli occhi e per la mente.
Tornano molti dei temi cari al regista, in particolare il racconto dei rapporti umani come lui e pochi altri riescono a fare. Allen riesce a entrare nelle psicologie dei due protagonisti, condensando la loro relazione in un movimentato weekend a NY.

Il tutto valorizzato ancora di più dagli splenditi tagli di luce di Vittorio Storaro, che riesce a trasportarci in una NY piovosa in cui, da un momento all’altro, può aprirsi tra le nuvole uno spiraglio di luce.

 

Joker, di Todd Phillips 

Dopo Logan qualche anno fa, un altro cinecomic che alza l’asticella, in un periodo in cui l’asticella si sta continuamente abbassando, come dimostra Avengers Endgame nella flop 10.

Joker è un piccolo miracolo, Todd Philips, dopo il mal riuscito Trafficanti, fa centro con la sua genesi di uno dei villain più celebri di sempre.
Quasi tutto è al posto giusto: dalla fotografia, alla sceneggiatura, salvo degli spiegoni superflui e dei passaggi volutamente ambigui per far parlare il pubblico, arrivando al punto forte del film, la magnifica interpretazione di Phoenix.

Per farla semplice, questo Joker è Phoenix, tutto il film si regge sulle spalle di quello che è, senza alcun dubbio, uno dei migliori attori della sua generazione, sicuramente in corsa per l’oscar alla migliore interpretazione.

C’è la critica sociale, c’è la violenza, c’è il disagio, la sporcizia. Insomma tutto quello che non è dato vedere nel patinato universo cinematografico della Marvel.

Che sia questa la strada che prenderà la DC?

Ancora una volta vi rimando al nostro video, per un’analisi più approfondita.

 

John Wick 3, di Chad Stahelski 

Siamo arrivati al terzo capitolo e il livello resta sempre alto. Seppure non ai livelli del secondo, John Wick 3 rincara la dose per quanto riguarda l’azione al cardiopalma in stile orientale, caso più unico che raro nel panorama cinematografico action hollywoodiano.

Le scene memorabili sono diverse, nel corso dei 130 minuti di durata. La formula è già stata confermata col secondo capitolo, quindi a Stahelski e Reeves non resta che alzare sempre di più il tiro.

Una menzione per la presenza di Yayan Ruhian, l’interprete dell’iconico Mad Dog di The Raid.

 

Glass, di M. Night Shyamalan 

Giunto al terzo e ultimo capitolo, almeno per il momento, del proprio universo supereroistico, Shyamalan realizza il più estremo dei tre film.

Ribaltando le convenzioni del genere e la classica struttura del cinecomic, il regista amplia il discorso sul supereroe cominciato nel 2000 con Unbreakable, senza lasciare spazio alla spettacolarità dei film Marvel ma concentrandosi invece sulle psicologie dei tre protagonisti.

Glass dà ancora più senso ai due film precedenti, portando a termine la storia dei tre personaggi in modo crudo e realistico ma lasciando aperta la possibilità di un’estensione dell’universo creato dal regista.

Insieme a Joker, una validissima alternativa ai film supereroistici fatti con lo stampino, ennesima dimostrazione che, anche dei supereroi, ciò che interessa di più è il lato umano.

 

Doctor Sleep, di Mike Flanagan 

Dopo aver convinto più volte con numerosi film horror e thriller, e con The Haunting, una delle migliori serie horror viste di recente, Mike Flanagan cade rovinosamente con Doctor Slepp, ovvero quello che dovrebbe essere il sequel di Shining.

Passiamo sopra al fatto che anche solo pensare di realizzare un sequel di un’opera del calibro di Shining è una follia. Tuttavia, dal trailer, il progetto poteva destare un minimo di interesse.

Le poche aspettative però sono state terribilmente deluse da un film che non si salva da nessun punto di vista.

Indeciso sui toni da tenere: si passa dal fantasy alla Harry Potter, ai super poteri alla X-Men, fino a qualche momento più puramente horror ma decisamente innocuo.

La scelta del casting, specie dei personaggi presenti in Shining è terribile e tutta l’ultima mezzora una delle cose più brutte che si siano viste negli ultimi anni. L’ennesima operazione nostalgia, guarda a caso sempre di film degli anni ’80, senza anima e senza senso.

Di buono c’è solo che ha floppato e che forse non vedremo altri seguiti.

 

6 Underground, di Michael Bay 

Non si spara sulla Croce Rossa, si potrebbe dire. In realtà, seppure ritenga quasi l’intera filmografia di Bay da cestinare, negli ultimi anni il più americano tra i registi americani ci aveva regalato due film notevoli: Pain & Gain e 13 Hours.

Non ci ha messo molto però a ritornare ai suoi standard con quello che forse è il più brutto tra i suoi film.

6 Underground è un film sbagliato. La trama, estremamente lineare, è resa di difficilissma comprensione da una sceneggiatura senza capo né coda, che alterna momenti che dovrebbero essere comici, ma che risultano solo trash, a scene di azione infinite girate col tipico stile alla Bay, ovvero montaggio a ritmi sfrenati e inquadrature che raramente superano i 2 secondi.

Un film di una stupidità inverosimile, costato per altro oltre 150 milioni di dollari, che si sarebbero potuti investire in migliaia di modi migliori.

 

It: Capitolo 2, di Andy Muschietti 

Se il primo capitolo era già mediocre, il secondo è insostenibile. Quasi tre ore in cui si ripete fino allo sfinimento lo schema fisso del personaggio che si trova da solo e al quale compare It sotto forma di una delle sue incarnazioni. Tre ore in cui i momenti horror sono alternati a siparietti comici di una stupidità inaudita che rompono completamente il clima di tensione, già di per sé poco efficace, dimostrando l’incapacità di osare di più, anche in un film rated-R che avrebbe permesso di mettere in scena qualcosa di decisamente più spaventoso.

Ovviamente abbondano i jumpscares, unico modo in cui il regista cerca di spaventare lo spettatore, e un finale retorico e melenso dopo quasi tre ore di noia.

 

Avengers: Endgame, di Anthony e Joe Russo 

La fine degli Avengers. Il film che ha incassato di più, in tutta la storia del cinema. Uno dei cinecomic peggiori di casa Marvel, che conclude nel peggiore dei modi una saga cominciata più di 10 anni fa e andata degenerando nel corso del tempo.

Tre ore di fanservice in cui i fratelli Russo, senza un guizzo di originalità, creano l’ennesimo prodotto Marvel fatto con lo stampo in cui vengono riproposte le solite situazioni: tra sequenze di azione infinite che dovrebbero essere epiche ma che invece non fanno altro che annoiare, buchi di sceneggiatura incolmabili, incoerenze con gli altri film della saga e i fastidiosissimi siparietti comici in stile Disney.

 

Rambo: Last Blood, di Adrian Grunberg 

Arrivato al quinto capitolo di una delle due saghe che hanno reso celebre Sylvester Stallone, il personaggio di Rambo è stanco e cerca di riprendersi per un ultimo giro di giostra, senza però soddisfare.

Per vedere i violentissimi combattimenti che tutti si aspettano da Rambo, l’unica cosa rimasta alla saga, che può vantare in sostanza un solo grande film, il primo, bisogna aspettare 2/3 di film.

E si tratta di un’ora difficile da sostenere, un pasticcio di stereotipi raziali sui messicani e di reazionarismo spicciolo.

Se Rambo 2 e 3 erano specchio dell’epoca reaganiana, questo Rambo last blood ben rispecchia l’epoca trumpiana.

 

3 From Hell, di Rob Zombie 

La fine di uno dei più grandi registi horror degli ultimi 30 anni. Rob Zombie, dopo averci regalato capolavori come La casa del diavolo e Le streghe di Salem, ormai palesemente privo di idee e di fondi, realizza il terzo capitolo della saga iniziata con La casa dei 100 corpi.

3 from hell sembra un film amatoriale, non di certo un’opera di un regista come Zombie.

A parte la carenza di idee, ciò che fa più dispiacere è la povertà di mezzi, che si fa notare in ogni minuto del film.

C’è poco da aggiungere, almeno ci restano i vecchi film di Zombie.

 

Domino, di Brian De Palma 

E dopo Zombie, è il turno di Brian De Palma, che torna con un film insalvabile. Un thriller che sembra un episodio di una serie tv poliziesca tedesca.

Sono ben noti i problemi che ha avuto il film in fase di produzione, tanto che De Palma lo ha praticamente disconosciuto e, vedendolo, si capisce perfettamente il motivo.

Sembra quasi una parodia degli stilemi e delle ossessioni estetiche e tematiche del regista.

Abbondano le scene trash che fanno fare grosse risate, fin tanto che non si pensa al fatto che il regista di questo Domino sia De Palma.

Anche in questo caso, vi rimando alla nostra recensione.

 

El Camino, di Vince Gilligan 

La conclusione di una delle più iconiche serie tv di sempre: Breaking Bad. Anche in questo caso non c’è molto da dire. Un film completamente inutile che non aggiunge niente allo splendido finale di Breaking Bad e che anzi riesce addirittura a fare danni.

I personaggi appaiono invecchiati, addirittura alcuni ingrassati a tal punto da risultare irriconoscibili, facendo subito crollare la credibilità di ciò che si sta vedendo.

Se ciò non bastasse, non viene aggiunto nulla a quanto già detto dalla serie e il film ci lascia esattamente dove eravamo rimasti.

 

Us- Noi, di Jordan Peele

Uno dei film più acclamati dell’anno, di uno dei registi più in vista del momento. Us di Jordan Peele.

Se Get Out mi aveva convinto ma non esaltato, con Us Peele dimostra di essere molto furbo e di saper ben cavalcare i trend del momento, riproponendo qualcosa di visto e rivisto dal 1968 (anno de La notte dei morti viventi).

È bello veder ritornare un horror più impegnato, che cerca di ragionare sulla contemporaneità. Meno bello invece è come lo ha realizzato Peele, con una sceneggiatura che, dopo una prima parte convincente, scivola rovinosamente nella seconda parte, cadendo in un errore che i migliori horror non commettono mai: quello di voler spiegare troppo.

Cercando di dare una spiegazione logica a dei personaggi di fantasia, oltre a venire meno il mistero, il regista inciampa in buchi di sceneggiatura non indifferenti che rendono Us un film decisamente meno riuscito rispetto al precedente Get Out.

Qui potete trovare la nostra analisi di Us.

 

Midsommar, di Ari Aster 

Delude anche il secondo film di Ari Aster che torna con un progetto estremamente ambizioso, dopo il notevole Hereditary.

Ancora una volta, a rovinare il tutto, come nel caso di Us, è una sceneggiatura traballante, colma di personaggi scritti male e che incappa in tutti i cliché del genere, tipici dei film di serie b, cosa che sorprende visti gli intenti più artistici del regista.

È un peccato perché non mancano aspetti positivi, tra i quali l’indubbio talento di Aster nel posizionare e muovere la macchina da presa, in modo da creare immagini molto potenti, su tutte la bellissima dissolvenza finale, che però non riesce a risollevare un film dall’andamento altalenante.

Speriamo nel prossimo.

Qui potete trovare un video in cui ne parliamo approfonditamente.

 

C'era una volta... a Hollywood, di Quentin Tarantino

The Irishman, di Martin Scorsese

The Beach Bum, di Harmony Korine

Parasite, di Bong Joon-ho

L'ufficiale e la spia, di Roman Polański

The Lighthouse, di Robert Eggers

Un giorno di pioggia a New York, di Woody Allen

Joker, di Todd Phillips

John Wick 3, di Chad Stahelski

Glass, di M. Night Shyamalan

Doctor Sleep, di Mike Flanagan

6 Underground, di Michael Bay

It: Capitolo 2, di Andy Muschietti

Avengers: Endgame, di di Anthony e Joe Russo

Rambo: Last Blood, di Adrian Gruneberg

3 From Hell, di Rob Zombie

Domino, di Brian De Palma

El Camino, di Vince Gilligan

Noi- Us, di Jordan Peele

Midsommar, di Ari Aster

 

 

Scritto da: Tomàs Avila.