Prima di cominciare avvisiamo i lettori che in questa recensione saranno presenti numerosi spoiler, necessari per analizzare al meglio il film.
Regia: Nicolas Winding Refn.
Soggetto: Nicolas Winding Refn.
Sceneggiatura: Nicolas Winding Refn, Mary Laws, Polly Stenham.
Musiche: Cliff Martinez.
Direttore della fotografia: Natasha Braier.
Anno: 2016.
Durata:117′.
Paese: Usa, Francia, Danimarca.
Interpreti e personaggi: Elle Fanning (Jesse), Christina Hendricks (Jan), Jena Malone (Ruby), Bella Heathcote (Gigi), Abbey Lee (Sarah), Keanu Reeves (Hank).
Questo articolo sarà un po’ diverso dai soliti perchè abbiamo ritenuto necessario scrivere due recensioni separate (una di Tomàs e una di Molly) visto che i nostri pareri non coincidevano alla perfezione. Ricordo che, trattandosi di una sorta di analisi più approfondita delle recensioni che trovate nella sezione “recensioni brevi”, sono presenti spoiler. Prima di cominciare vogliamo anche ringraziare la Midnight Factory per aver distribuito “The Neon Demon” in Italia (dopo aver portato altre perle come “Babadook“).
RECENSIONE DI TOMAS
Parlare di un film di Nicolas Winding Refn sta diventando sempre più difficile.
Per questo motivo, prima di iniziare a scrivere qualche riga riguardo a “The Neon Demon” ho lasciato passare un po’ di giorni dalla visione, giorni in cui quest’opera mi ha dato non poco da pensare. Sarebbe senza dubbio saggio vederla almeno una seconda volta per comprenderla meglio, tuttavia ho deciso che era ormai arrivato il momento per dire la mia a riguardo.
Si tratta del decimo lungometraggio di Nicolas Winding Refn, un numero nonché un momento importante per la sua carriera. Nel 2011 con “Drive”[1], il regista danese aveva raggiunto il successo, il film era piaciuto più o meno a tutti e aveva vinto anche la Palma d’oro per la regia a Cannes.
Tuttavia, diversa sorte toccò al successivo “Solo Dio Perdona”[2], fischiato dai francesi e delusione per molti fan della pellicola precedente; anche se poi col tempo è diventato un piccolo cult e in parte è stato riscoperto (forse), lo si può considerare una sorta di passo falso per quanto riguarda il riscontro di critica e pubblico.
Questo è il motivo per cui “The Neon Demon” è un film importante per il regista e tutti si stavano chiedendo che cosa avrebbe combinato questa volta.
Le prime risposte arrivate da Cannes non sono state positive: come il predecessore, è stato fischiato ma ormai i fischi di Cannes si possono considerare come una garanzia di qualità.
Questo perché il decimo film di Refn è semplicemente fantastico, risultando per il momento senza dubbio il migliore di questo 2016, assieme a “The Hateful Eight”[3] (qui la nostra recensione).
Già dai titoli di testa si nota una cosa che la dice lunga su questo regista, dato che appare bene in vista la sigla “N W R”, come a dire che Nicolas Winding Refn non è più soltanto un autore, ma un’autorità.
È quasi un marchio, come un brand e ricorda molto la scritta “L’ottavo film di Quentin Tarantino” che appare all’inizio di “The Hateful Eight”: questo perché si tratta ormai di registi di culto, che piacciano o meno.
La storia di base è semplicissima, quasi un pretesto da cui parte Refn per fare ciò che vuole e questa è una delle cose che mi piacciono di più del regista. Refn infatti fa un po’ quello che gli pare: senza dubbio dopo il successo ottenuto con Drive avrebbe potuto sfondare a Hollywood o ripetere la formula nei successivi film, invece ha deciso di percorrere una strada ben diversa e difficilissima che gli è costata non pochi sacrifici.
Nonostante questo però è riuscito ad ottenere ciò che voleva, anche questa volta, fregandosene della critica e volendo ben vedere anche del pubblico, senza cercare di piacere a nessuno.
Durante la visione di “The Neon Demon” ci si accorge di quanto sia raro questo genere di cinema, un cinema che colpisce lo spettatore a livello sensoriale prima di ogni altra cosa, servendosi di una narrazione frammentata e secondaria.
Il film infatti fa violenza sullo spettatore bombardandolo per 110 minuti con luci al neon e con la fantastica musica di Cliff Martinez[4], rendendo ogni inquadratura studiata alla perfezione, tra simmetrie kubrickiane[5] e luci che sembrano uscire direttamente da “Suspiria”[6] di Dario Argento[7].
Le luci principalmente sono blu o rosse, due colori praticamente opposti, come è opposta e anche contraddittoria la concezione di bellezza che il film ci propone.
A prima vista potrebbe sembrare un film che denuncia il mondo della moda e più in generale tutto il mondo contemporaneo basato soltanto sull’apparire, sull’aspetto esteriore, sul divorare gli altri (e questo porta alla metafora del cannibalismo che vedremo dopo): sicuramente questo aspetto è presente e importante nella pellicola, tuttavia il discorso è molto più complicato perché Refn riflette sul concetto stesso di bellezza, che sia la bellezza formale del film o l’apparentemente innocente bellezza della protagonista.
Da una parte viene denunciato il fatto che si da troppa attenzione alla bellezza e che può essere pericolosa, portando quindi alla violenza e al sangue, come infatti succede nel film. Nonostante questo, anche se ne siamo consapevoli, è inevitabile esserne attratti e affascinati.
Come tutti noi anche Refn è diviso, e così il blu sta alla freddezza e alla perfezione della bellezza, come il rosso sta al sangue e alla violenza che nella prima parte della pellicola è solo richiamata metaforicamente, mentre nella seconda si concretizzerà rendendo l’opera un vero e proprio insieme di simboli e di visioni, come se Refn abbia voluto lentamente portarci all’interno di un suo incubo.
Questa è una delle caratteristiche che rendono il film difficilmente avvicinabile da molte persone, proprio come in Lynch non si deve cercare per forza di far tornare logicamente ogni singola scena del film ma ci sono degli elementi, come il puma che compare misteriosamente nella camera d’albergo della protagonista, che non possono essere spiegati logicamente e non ha senso provare a farlo. Quest’ultima infatti non è altro che una scena molto simbolica che preannuncia ciò che verrà in seguito ovvero la predazione, per cui il ritorna un predatore (un giaguaro imbalsamato) a casa della truccatrice Ruby.
Allo stesso modo i triangoli che compaiono ogni tanto sembrano avere diversi significati: possono rimandare alla femminilità come al concetto di armonia e perfezione o addirittura (specialmente il triangolo composto a sua volta da tre triangoli) alludere a un concetto come quello della trinità e quindi a un ambito sacro, divino. L’atmosfera che si respira infatti è surreale, quasi mistica.
Con questo cerco di dire che chi critica il fatto che il film non sia lineare dal punto di vista narrativo e che non tutto torna, compie un errore alla base e fraintende il cinema che Refn ha fatto con gli ultimi due lavori.
Per quanto riguarda le fonti di ispirazione del film, esse sembrano non limitarsi a Kubrick e Argento, per cui il finale ad esempio ricorda molto “Society”[8] di Yuzna[9] per l’idea del cannibalismo come metafora del mangiare il prossimo, della lotta per la sopravvivenza. A tal proposito, Refn è un regista che non ha paura di spingersi oltre e esprime questo concetto nel modo più violento ed esplicito possibile, lasciando che delle tre che mangiano letteralmente la giovane modella, non tutte ce la facciano a reggere il peso della sua pericolosa e sconfinata bellezza: succede quindi che una di loro finirà per rigurgitare, letteralmente, la protagonista per poi uccidersi e, vista la scena, la sua “amica”, più resistente di lei, mangerà anche ciò che l’altra ha rigettato.
Questa è un’altra delle cose che non a tutti piace del regista, il fatto che non ha paura di mostrare qualsiasi eccesso, pertanto anche se certe scene sono molto spinte, rimangono sempre giustificate e non è mai puro gusto di provocare.
Un’altra caratteristica di “The Neon Demon” è il fatto di essere un film quasi completamente al femminile, relegando i personaggi maschili a più o meno quattro: due fotografi, uno stilista e il guardiano del motel dove alloggia la protagonista (interpretato da Keanu Reeves[10]). A mio avviso nessuno di essi è positivo, l’unico che sembra sano e fuori dal mondo distorto in cui è ambientata la vicenda è il giovane e aspirate fotografo innamorato della protagonista, ma perfino lui verrà messo in crisi quando gli viene fatto notare che l’unico motivo per cui ha notato Jesse è la sua bellezza.
Nonostante i temi trattati, quest’ultimo è probabilmente il film più ironico del regista, anche nelle scene più crude (come nel finale di cui già abbiamo parlato).
Per me è ironica proprio l’idea che sta alla base che mi ha ricordato il bellissimo “Spring Breakers”[11] di Harmony Korine[12]: entrambi criticano una certa realtà, utilizzando come mezzo proprio ciò che criticano. Nel film di Korine ciò avveniva soprattutto attraverso la scelta delle attrici e della musica, in “The Neon Demon” avviene attraverso lo stile adottato da Refn.
La cura maniacale della forma può ricordare le pubblicità di moda o dei profumi (che tra l’altro Refn ha fatto) e sembra infatti che Refn si serva di questo stile per criticare proprio il mondo a cui appartiene. Pertanto anche qui ritorna il discorso di prima: in parte il regista condanna ma in parte ne è affascinato e perfino la canzone scelta per i titoli di coda, “Waving Goodbye” di Sia, rientra in quest’ottica.
A proposito di musica, è la terza volta che Cliff Martinez collabora con il regista (dopo “Drive” e “Solo Dio Perdona”) ma questa volta si è veramente superato, confezionando una colonna sonora semplicemente fantastica. Tra l’altro sempre Martinez si era occupato anche della colonna sonora del sopracitato “Spring Breakers” insieme a Skrillex[13].
Insomma, “The Neon Demon” è un grande film che probabilmente, col passare del tempo, verrà rivalutato da chi ora lo ha screditato, un po’ come è successo con “Solo Dio Perdona”.
Nicolas Winding Refn si riconferma essere uno dei più grandi registi in circolazione, facendo capire a tutti, ancora una volta, di non aver alcuna intenzione a scendere a compromessi ma anzi, di volersi spingere sempre più in là con il suo cinema.
Sicuramente avrò dimenticato qualcosa e mi saranno sfuggiti particolari (si tratta di un film da vedere ben più di una volta) ma spero di essere stato abbastanza esaustivo.
Scritto da: Tomàs Avila.
RECENSIONE DI MOLLY
Il cinema danese è da un paio di anni che sembra richiamare costantemente a sé la parola provocazione: da Lars Von Trier definito addirittura “persona poco gradita” al Festival di Cannes a Nicolas Winding Refn, prima premiato nel 2011 per il suo Drive poi sommerso dai fischi per l’incompreso Solo Dio Perdona.
Quest’anno al Festival la sua ultima fatica, l’ipnotico The Neon Demon sembra aver decisamente messo tutti d’accordo in quel di Cannes poiché, a detta loro, si tratta dell’ennesima provocazione mascherata dalla bella confezione e dalle luci psichedeliche ma che, alla fine, nasconde il nulla più totale. Mettici anche quelle due o tre scene montate su con il fine unico di “infastidire”, quali atti di cannibalismo, necrofilia, lesbismo, et voilà, fischi e insulti e gente che lascia la sala prima della fine della proiezione.
Tuttavia io non me la sento dire che i critici francesi “si drogano” e “premiano solo quel coglione di Dolan”: è dall’alba dei tempi probabilmente che a Cannes vengono apprezzati film di tutt’altra fattura, la provocazione non ha mai vinto premi né palme d’oro ma credo proprio Refn non abbia nemmeno lontanamente questa pretesa. Forse perché quest’uomo è talmente tanto autore e talmente tanto ossessionato dal voler sentire il “click” dai suoi film che da proprio l’impressione di rimanere quasi indifferente agli apprezzamenti e non di critica e pubblico. Inoltre il regista danese cerca di essere da sempre il protagonista delle sue opere, basti solo pensare che il primo appuntamento con l’attuale moglie Liv Corfixen, lo passò vedendo il suo film del cuore Non aprite quella porta, in maniera non dissimile da ciò che accade in Bleeder fra Lenny e Lea o alla protagonista di The Neon Demon per cui Refn dichiara che “se fossi una sedicenne vorrei essere Elle Fanning”. Ed è soprattutto qui che Refn si dimostra talmente tanto autore dal lasciare che i suoi personaggi scompaiono inglobati dalle luci al neon.
Insomma, io sono del parere che The Neon Demon non è stato apprezzato non perché i francesi d’animo sensibile si sono scandalizzati per qualche schizzo di sangue, ma perché forse non è stato il capolavoro preannunciato e, nonostante a me questo film e finale annesso siano piaciuti in modo assurdo, sono in parte d’accordo.
Ma andiamo con ordine.
Jesse (Elle Fanning) è una ragazza che ha il solo talento d’essere bella e approda a Los Angeles per fare la modella. Solo che lei non è semplicemente bellissima, Jesse vive di luce propria ed è fin da subito voluta, notata, apprezzata da tutti fino al punto da scatenare dapprima la compassione della truccatrice Ruby (Jena Malone) e infine l’invidia più nera di due modelle ben più navigate di lei, Sarah (Abbey Lee) e Gigi (Bella Heathcote). L’ossessione per la bellezza di questi simbolici personaggi si tramuterà in ossessione per Jesse stessa, che arriveranno al punto di volerla letteralmente possedere.
Non è che mi sia risparmiata qui, semplicemente la trama è questa, anzi la storia intera è questa. Abbiamo qualche altro personaggio di contorno come Keanu Reeves e Christina Hendricks, l’aspirante fotografo Karl Glusman e lo stilista Alessandro Nivola ma, per il resto, la Los Angeles del film appare quasi una città fantasma divisa tra chi parla di ovvietà e chi mette in scena dialoghi grotteschi. Sono infatti le tre streghe, gonfie di esperienza e cinismo, il vero fulcro, i soli personaggi fondamentali in rappresentanza di quel mondo dorato superficiale e basato su concetti effimeri e senza sostanza, come la bellezza, che però è allo stesso tempo il biglietto da visita di una persona.
Saranno loro infatti a divorare fameliche prima con gli occhi e poi letteralmente la povera Jesse.
Questo succede perché Refn più che dar corpo alla già fin troppo risicata narrativa mette in scena giochi di luci, personaggi talmente patinati da sembrare irreali, simbologie surreali, un’ attenzione maniacale al dettaglio, lentissimi movimenti di macchina, sangue e occhi sgranati accompagnati dalla musica magnetica e incredibile di Cliff Martinez.
Refn qui mette in scena l’arte, tramite immagini che rasentano la perfezione sensoriale.
Ma torniamo alla nostra fiaba horror. A tal proposito, quanto orrorifico possiamo definire The Neon Demon? Lungi dall’essere etichettato come tale, il film mette in scena un orrore molto edulcorato che passa solo nel sottotesto: non lo vediamo ma lo intuiamo e lo sentiamo (passi la splatterosa scena finale, l’unica forse che ha urtato la mia sensibilità ma perché sono terribilmente suggestionabile dal sangue e dagli squartamento facili. Nonostante ciò, ho amato alla follia questo finale).
Questo succede perché il tutto ha la pretesa di funzionare senza dialoghi, per cui il regista costruisce in maniera maniacale una forma perfetta a trainare la vicenda, lasciandoci intuire gran parte delle situazioni chiave del film come il momento in cui capiamo che il Demone al Neon potrebbe essere Jesse stessa e vediamo il volto della ragazza che si triplica in uno specchio, oppure nella celeberrima “scena” del cannibalismo.
Qui scatta però la contraddizione: fresco fresco da esperienze direttamente sul campo, Refn apre il film firmandolo con un’ intenzione autoriale fortissima, facendo il verso quasi al marchio di moda YSL e ponendosi come nuovo brand. Prosegue quindi con la critica al mondo artefatto della moda, al concetto di bellezza, concludendo con immagini dalla grande potenza visiva che hanno la pretesa d’essere oniriche, mistiche e quant’altro ma finisce poi col perdersi nella sua estetica e nell’artificiosità perfetta che tanto sembra criticare, in maniera terribilmente compiaciuta. Il problema in tutto questo è che proprio quando ci troviamo ormai sul baratro della rassegnazione, Refn mette in scena un finale ironicamente esagerato dove assistiamo al breve e unico rigurgito di coscienza mentre gli opportunisti proseguono la scalata al successo, chiude con una canzone di Sia che sembra uscire direttamente da una pubblicità di profumi, e ribalta quindi nuovamente tutte le carte in tavola.
Aggiungiamoci anche che il film vive di influenze di tutto rispetto, nonostante Refn se ne risenta alquanto: in primis abbiamo Suspiria a ispirare musiche e stile, uso dei colori e la costruzione di certe inquadrature, rendendo The Neon Demon uno splendido omaggio alla mise en scene di Argento; troviamo poi quei thriller-horror realizzati sempre dagli italiani quali Mario Bava, del quale Refn è grande stimatore, e il figlio Lamberto, il primo con Sei donne per l’assassino il secondo con Le foto di Gioia; infine abbiamo le suggestioni oniriche di Lynch, abbiamo Aronofsky e la maniacalità di Kubrick, il tutto mixato e digerito all’interno di in meraviglioso sguardo del tutto unico e personale.
Non è stato solo l’aver ritrovato molto di Suspiria ad avermi fatto apprezzare il Demone al Neon. Nonostante sia Jena Malone che Abbey Lee, ma anche Elle Fanning riescano a portare in scena personaggi a mille facce che ti si conficcano nella testa senza motivo, causa la loro estrema fascinazione, spesso le loro bocche vengono riempite da parole vuote e il film per alcuni versi sembra accartocciarsi su sé stesso alla ricerca di un’astrazione che alcuni hanno colto, altri no, altri ancora hanno cercato a fatica di cucirgliela addosso, ma ciò non toglie che la potenza visiva delle immagini non può far altro che consacrare l’opera del regista danese a puro cinema. Soprattutto, nonostante sembra tutto basarsi su una riflessione piuttosto banale, bisogna mettersi in testa che non sempre va ricercata una logica ad ogni costo e che alcune cose sono semplicemente belle così e basta.
Infine non dimentichiamoci che molto probabilmente NWR se ne sta sbattendo altamente di qualsiasi nostro parere, che è riuscito a tornare in auge senza voler narrare, senza aver l’interesse a realizzare qualcosa di commerciale e che fa sostanzialmente quel cavolo che gli pare. Quindi come si fa a non volere anche solo un minimo di bene a questo film?
Scritta da: Molly Jensen.
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Note:
[1] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0780504/?ref_=nv_sr_2 .
[2] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt1602613/?ref_=fn_al_tt_1 .
[3] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt3460252/?ref_=nv_sr_1 .
[4] Link IMDB del compositore: http://www.imdb.com/name/nm0553498/?ref_=fn_al_nm_1 .
[5] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0000040/?ref_=nv_sr_1 .
[6] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0076786/?ref_=nv_sr_1 .
[7] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0000783/?ref_=tt_ov_dr .
[8] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0098354/?ref_=nv_sr_5 .
[9] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0951206/?ref_=tt_ov_dr .
[10] Link IMDB dell’attore: http://www.imdb.com/name/nm0000206/?ref_=nv_sr_1 .
[11] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt2101441/?ref_=fn_al_tt_1 .
[12] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0005101/?ref_=tt_ov_dr .
[13] Link IMDB del musicista: http://www.imdb.com/name/nm4776432/?ref_=fn_al_nm_1 .