Regia: Alfonso Cuarón.
Soggetto: Alfonso Cuarón.
Sceneggiatura: Alfonso Cuarón.
Direttore della fotografia: Alfonso Cuarón.
Montaggio: Alfonso Cuarón.
Produttore: Esperanto Filmoj, Participant Media.
Anno: 2018.
Durata: 135′.
Paese: Messico, USA.
Interpreti e personaggi: Yalitza Aparicio (Cleo), Marina de Tavira (Sra. Sofía).
Indice:
INTRODUZIONE
Ha già fatto incetta di premi e nomination in giro per il mondo, ha vinto il Leone d’oro al miglior film, durante l’ultima Mostra internazionale d’arte cinematografica, è candidato agli oscar come miglior film straniero e molto probabilmente vincerà. Stiamo parlando di Roma, l’ultima fatica del messicano Alfonso Cuaròn, di cui si è già detto tanto e si continuerà a dire a lungo, per diversi motivi.
È un film importante per il regista, che ne parla fin dal 2006 e che lo pensa da ancora più tempo. È altrettanto importante per quanto riguarda la battaglia che sta venendo combattuta tra le “nuove” piattaforme di streaming online e il tradizionale modo di concepire il cinema, in cui la sala cinematografica riveste un ruolo fondamentale.
Infine è importante perché è un film messicano e per ciò che rappresenta in quanto tale, come vedremo dopo.
È inutile dilungarsi troppo sulla trama: Roma è un ritratto della vita quotidiana della domestica Cleo e della famiglia per cui lavora, oltre che il racconto di un particolare periodo storico del Messico, quello degli anni Settanta, in particolare il 1971.
Cuaròn firma quello che senza dubbio è il suo film personale. Tutto in Roma prende vita dai ricordi d’infanzia del regista che, da bambino, ha vissuto una situazione molto simile a quella descritta, facendo parte di una famiglia benestante ed essendo stato cresciuto da una domestica a cui il film è chiaramente dedicato.
IMMERSIVITÀ
La cosa che più colpisce è il fatto che sembra di essere trasportati all’interno di quell’ambientazione e di quel periodo storico, ovvero alla Città del Messico del 1971.
Cuaròn impiega sempre molto tempo a realizzare i suoi film e si può dire che da I figli degli uomini, abbia intrapreso una ricerca stilistica volta all’immersione totale dello spettatore nelle storie raccontate, puntando tutto sul realismo della messa in scena e su una regia sì virtuosistica ma sempre finalizzata a narrare le storie in un certo modo.
Si pensi agli incredibili piani sequenza girati a macchina a mano di I figli degli uomini, fondamentali per realizzare alcune delle scene di guerra più immersive che si siano viste sul grande schermo, con buona pace di Dunkirk di Nolan. Una camera a mano che, unita alla continuità della ripresa, dava un effetto molto simile a quello dei reportage di guerra, trasportando lo spettatore nel campo di battaglia.
O ancora il piano sequenza dell’assalto all’automobile, ormai famosissimo e “svelato” da un video del backstage.
Che dire poi di Gravity? Basterebbero i primi 15 minuti per capire l’abilità tecnica del regista e la cura del minimo particolare.
Una strada simile a quella intrapresa dal connazionale e amico Alejandro Iñarritu con Birdman e Revenant- Redivivo, con risultati molto meno convincenti.
Con Roma, Cuaròn cerca di fare qualcosa di simile ma in modo inedito. Ritorna la volontà di trascinare lo spettatore all’interno del film ma questa volta la regia è molto più composta e i virtuosismi meno evidenti.
I piani sequenza abbondano anche in questo caso, specialmente nelle scene in cui è necessaria la sensazione di immediatezza e continuità, come quella in ospedale. Tuttavia sono meno evidenti di quelli di Gravity e sono affiancati da lunghe riprese a camera fissa e di lentissime panoramiche che molto ricordano i ritmi estremamente dilatati del cinema di Antonioni.
L’immersività non è ricercata solo attraverso la regia e in particolare un ruolo fondamentale è svolto dal sonoro. Non parliamo di colonna sonora intesa come musica extradiegetica ma proprio del sonoro in campo, per questo va sottolineato il grande lavoro svolto dai sound designer.
In molte scene la città è protagonista, sia dal punto di vista visivo, che, soprattutto da quello sonoro.
Basta citare una delle scene iniziali in cui Cleo e uno dei figli di Sofía sono sdraiati sul tetto della casa.
Sullo sfondo si notano tante altre persone sui tetti delle case e, non essendoci musica extradiegetica, il sonoro si concentra solo sui rumori della città, tanto che la scena non perderebbe senso in assenza delle immagini.
Fondamentale poi, tornando sulla regia e la fotografia, anch’essa per la prima volta curata da Cuarón, è l’estrema profondità di campo che contraddistingue la gran parte delle scene.
Non importano solo i personaggi principali ma importa anche la loro relazione con lo spazio circostante, nel quale sono immersi e nel quale si vuole trasportare anche lo spettatore.
Va sottolineato infine che tutte le ambientazioni sono reali e non costruite in studio, sempre all’insegna della ricerca del realismo, e si nota con quanta cura siano allestiti anche gli interni. La casa dei protagonisti è quasi interamente arredata con mobili e oggetti appartenenti alla famiglia del regista.
L’impressione in effetti è proprio quella di entrare nella sua testa e di muoversi in mezzo ai suoi ricordi d’infanzia.
LA STORIA
“Roma è un tentativo di catturare la memoria degli eventi che ho vissuto quasi cinquanta anni fa. È un’esplorazione delle gerarchie sociali del Messico, dove la classe e l’etnia sono state intrecciate perversamente fino ad oggi e, soprattutto, è un ritratto intimo delle donne che mi hanno cresciuto riconoscendo l’amore come un mistero che trascende spazio, memoria e tempo”[1].
Dalle parole del regista si riesce ad intendere ciò che Roma tenta di fare: raccontare la storia di una famiglia che si intreccia con la Storia di un paese che sta cambiando, il privato che incontra il sociale.
La violenza della Storia e appunto il mistero dell’amore di una donna che perde un figlio ma salva la vita ai figli di un’altra donna, crescendoli come una seconda madre.
Il paese appare chiaramente spaccato nettamente tra i messicani di discendenza europea e quelli autoctoni, diversi per etnia, per tratti somatici e per classe sociale.
Cleo fa parte della seconda categoria, alla quale appartengono anche tutti i personaggi che vediamo nel sua viaggio fuori città alla ricerca di Fermin, l’uomo che l’ha messa incinta e poi è fuggito.
È in questa parte del film e in quella della festa di natale che appare più evidente la contrapposizione tra il mondo borghese di Sofía, e di riflesso quello in cui è cresciuto il regista, e le zone periferiche della città dominate dalla povertà e dall’ignoranza, in cui sembra dilagante un’ideologia fascistoide che contaminerà anche Fermin e i suoi amici.
Le tensioni sociali esploderanno nella bellissima scena in cui, ancora una volta, la storia di Cleo diventerà una delle tante gocce d’acqua nell’oceano della Storia. Si tratta della scena del massacro di Corpus Christi, avvenuto il 10 giugno del 1971, in cui un gruppo di studenti manifestanti venne massacrato dal gruppo paramilitare dei Los Halcones, frutto di un’operazione segreta statunitense (il gruppo venne addestrato proprio negli USA) volta a sopprimere le rimostranze dei manifestanti e a prevenire un Sessantotto messicano.
Sarà proprio la vicenda privata di Cleo e della famiglia di Sofía a fare da contraltare alla violenza del massacro, dimostrando come attraverso il misterioso (come sottolineato da Cuarón) amore materno della domestica verso i figli di Sofía, si riescano a superare le distinzioni di classe e di etnia.
È impossibile non pensare ai più bei film di Guillermo del Toro: La spina del diavolo, Il labirinto del Fauno e The Shape of Water, un trittico in cui la Storia si intreccia con la fiaba e dove il fantastico è l’unico modo per riuscire a sopportare le bruttezze dei regimi dittatoriali o dell’intolleranza verso il diverso.
Cuarón evidentemente, questa volta, non guarda al cinema di genere, come fa sempre del Toro e come lui stesso ha fatto con le sue precedenti opere, ma prende come riferimento il cinema d’autore.
Tuttavia anche in Roma non mancano i richiami al fantastico e al surreale, anche se in una chiave diversa.
IL CINEMA
Con Roma, Cuarón dichiara il suo amore verso il cinema, come aveva fatto del Toro con The Shape of Water.
A partire dal cinema d’autore. Si sprecano i riferimenti ad alcuni dei più grandi registi italiani.
In primo luogo il neorealismo, da cui Cuarón riprende molte delle caratteristiche fondamentali, in particolare la già citata ricerca del realismo, a partire dalle ambientazioni reali, nel caso del neorealismo più che altro frutto di un’esigenza, in questo caso una precisa scelta stilistica. Gli attori poi sono tutti non professionisti, compresa la bravissima protagonista che regala un’interpretazione memorabile nel ruolo di Cleo.
Si passa poi dal cinema di Fellini, evidente punto di riferimento per tutti quei momenti in cui irrompe il fantastico e l’immaginario bambinesco: il venditore di palloncini fuori dal cinema, l’uomo cannone, la surreale scena dell’incendio durante la festa di natale o il continuo passaggio di aeroplani sopra la città, uno dei ricordi più impressi nella mente del regista. Fondamentale poi è anche il tema del ricordo e dell’infanzia, essendo tutto il film un viaggio nelle memorie (da bambino) del regista.
Come già sottolineato in precedenza poi, si nota l’influenza del cinema di Antonioni, dei suoi tempi dilatati e dei suoi lenti movimenti di macchina.
Il Cinema poi compare anche come luogo fisico, in più occasioni, come spettacolo popolare e il regista cita il suo Gravity in una delle scene in cui i bambini vanno al cinema.
Indubbiamente, rispetto a Iñarritu, Cuarón è molto più legato al cinema di genere, nonostante sembri sempre uno sguardo rivolto al genere interpretato dai grandi autori e non a quello dei film considerati per anni di serie B e rivalutati post Tarantino.
NUOVO CINEMA MESSICANO
Negli ultimi anni abbiamo visto trionfare i registi nel nuovo cinema messicano, che hanno fatto incetta di premi ai più importanti festival di tutto il mondo.
Iñarritu, dopo le candidature per Babel, ha vinto per due anni consecutivi il premio oscar per la miglior regia, con Birdman e Revenant- Redivivo, oltre ai numerosi premi e candidature al festival di Cannes e alla Mostra del Cinema di Venezia.
L’anno passato Guillermo del Toro invece ha vinto l’oscar per il miglior film e la miglior regia e si è aggiudicato a Venezia il Leone d’oro al miglior film.
Lo stesso Cuarón, nel 2014, aveva già vinto l’oscar per la miglior regia con Gravity.
Che dire poi del direttore della fotografia Emmanuel Lubezki, anch’esso messicano e compagno di Cuarón alla UNAM, università di cinema e filosofia a Città del Messico. Lubezki ha già vinto tre oscar, uno per Gravity e due con Iñarritu per Birdman e Gravity.
È chiaro insomma che i talenti venuti fuori dal Messico negli ultimi anni, stiano ricevendo tantissimi consensi sia da parte del pubblico che della critica.
Ovviamente non si può non considerare l’aspetto politico dei vari festival di cinema e delle cerimonie come quella degli Oscar.
The Shape of Water è stato chiaramente premiato per il suo messaggio anti-discriminazioni, nel primo anno del governo Trump e molto probabilmente anche quest’anno l’Accademy deciderà di premiare Roma come miglior film straniero.
Tutto nella norma: è vero che questa retorica finto-democratica tipica di Hollywood ha decisamente stancato e spesso impedisce ai grandi film di essere premiati. Basti pensare a Il filo nascosto snobbato l’anno scorso.
Tuttavia, fino a quando a essere premiati sono film come quelli di del Toro e di Cuarón, si può anche stare al gioco.
DISTRIBUITO DA NETFLIX
Un breve discorso infine va fatto riguardo alla situazione Netflix.
Roma acquista ancora più importanza proprio perché è un film distribuito internazionalmente da Netflix, motivo per cui non è stato accettato a Cannes 2018.
Si tratta palesemente di un film concepito per la sala cinematografica e infatti è stato distribuito anche al cinema, seppure non con la normale distribuzione ma solo in poche sale selezionate e per pochi giorni.
Un grande peccato chiaramente ma viene da chiedersi se qualcuno si sarebbe preso il rischio di distribuire in sala un film del genere, così poco rivolto al pubblico di massa.
Forse è il primo caso di film Netflix di questo genere. Quest’anno con Mute e Annientamento la piattaforma digitale ha dimostrato di dare la possibilità a registi talentuosi, non tanto di realizzare i loro film, ma di offrire una piattaforma per distribuirli. E parliamo di film molto atipici, che difficilmente altrimenti avrebbero visto luce.
È una situazione critica, in evoluzione, che ha già cambiato il cinema come medium e probabilmente lo cambierà ancora più profondamente col passare degli anni.
Da questo punto di vista, Roma è un punto di arrivo importante per Netflix, che non a caso ci ha puntato molto a livello di campagna pubblicitaria (visto anche il consenso riscosso ai festival) e che addirittura lo ha messo come sfondo della schermata iniziale.
Netflix, dopo essersi guadagnato la simpatia di tutti gli appassionati di serie tv, sta chiaramente cercando di portare dalla sua parte anche gli appassionati di cinema, offrendo dei prodotti di livello sempre maggiore.
Resta però il problema della distribuzione in sala, problema che non sembra affliggere altre piattaforme come Amazon Prime Video.
Si possono solo fare ipotesi, non essendoci risposte chiare, ma probabilmente un ulteriore punto di svolta lo avremo con la distribuzione di The Irishman, l’attesissimo film di Martin Scorsese, che probabilmente uscirà anche in sala.
Scritto da: Tomàs Avila.
Note:
[1] https://www.imdb.com/title/tt6155172/trivia?ref_=tt_trv_trv