The Killing of a Sacred Deer

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Regia: Yorgos Lanthimos.
Soggetto: Yorgos Lanthimos.
Sceneggiatura: Yorgos Lanthimos, Efthymis Filippou.
Direttore della fotografia: Thimios Bakatakis.
Montaggio: Yorgos Mavropsaridis.
Produttore: Film4, A24, Element Pictures.
Anno: 2017.
Durata: 121’.
Paese: UK, Irlanda, USA.
Interpreti e personaggi: Colin Farrell (dott. Steven Murphy), Nicole Kidman (Anna Murphy), Barry Keoghan (Martin Lang), Raffey Cassidy (Kim Murphy), Sunny Suljic (Bob Murphy).

The Killing of a Sacred Deer, in italiano Il sacrificio del cervo sacro, ultima opera di uno dei miei registi preferiti di questo decennio, Yorgos Lanthimos, è un thriller a tinte horror che ben si presta ad essere un degno successore del bellissimo The Lobster, parabola crudele che derideva la nostra necessità di relazionarci nella società odierna.

 

The Killing of a Sacred DeerSteven Murphy è un ex alcolista e uno stimato chirugo che gode di un lavoro perfetto, di una famiglia perfetta, composta da due figli, Bob e Kim e una splendida moglie, Anne, una casa monumentale, risiedente in un adorabile quartiere.
Fin dalle prime inquadrature si deduce che l’uomo intrattiene un rapporto ambiguo con un quattordicenne di nome Martin, un ragazzo dagli appartenenti problemi psicologici che chiaramente mal si inserisce in questo quadro di perfezione idilliaca che è la vita del dottor Murphy.
Il piccolo Bob, qualche tempo dopo, perde improvvisamente l’uso degli arti inferiori, rifiuta il cibo e inizia a sanguinare dagli occhi: seppur nessuna diagnosi riesca a dare una spiegazione al fatto, la causa va a ricercarci nel campo opposto in cui opera la scienza.
Succede infatti che il dottor Murphy abbia apparentemente ucciso il padre di Martin, in seguito ad un’operazione al cuore mal riuscita a cause del suo passato da alcolista. Il giovane Martin decide quindi di vendicarsi lanciando una maledizione sulla famiglia di Steven che potrà essere spezzata solo quando il medico deciderà di sacrificare un membro della sua famiglia a sua volta.

The Killing of a Sacred DeerSeppur quasi impercettibile il sottile riferimento al mito di Ifigenia fa capolino nel momento in cui Steven decide di consultare il professore della scuola dei suoi figli per decidere quale dei due sacrificare “Quale sceglierebbe Lei, fra i due?” è la domanda del chirurgo. Il professore inizia quindi a elencare i talenti dei due ragazzi accennando al fatto che la figlia maggiore Kim, stava recentemente ultimando una tesina sul mito di Ifigenia.

 

Già il titolo è un chiaro rimando di per sè al noto mito, vicenda narrata da molti poeti che lo innalzarono a simbolo dell’imprevedibilità della vita umana.
Nel mito l’uccisione di una cerva sacra, cara alla dea Artemide, per mano di Agamennone, scatena le ire della dea che richiede in cambio il sacrificio della primogenita di quest’ultimo, Ifigenia.

Martin è il giovane dio capriccioso che mette l’uomo di fronte alla scelta ultima; la serie di fatti compiuti contro il cui il regista vuole farci scendere a patti non hanno nessuna spiegazione alle loro spalle. Essa è infatti l’esatta essenza del Mito per il quale si susseguono azioni e reazioni alla quale noi possiamo solo assistere senza protendere di giungere ad alcuna conclusione logica.

The Killing of a Sacred DeerIl modo in cui Lanthimons ci presenta infatti i suoi personaggi (suo marchio di fabbrica fin dai tempi di Dogtooth) ben si presta allo scopo di rappresentazione del mito; i dialoghi asettici e distaccati, che spesso rasentano l’inutilità narrativa – come ben ci rammenta Anne in un dialogo chiavi dove sembra prendere in giro s’è stessa “i nostri figli stanno morendo e tu ti preoccupi del purè di patate” – non permettono davvero di empatizzare con i personaggi o emozionarci con loro.

Ma perché definirlo horror? Non solo il sangue e il sovrannaturale ma soprattutto la lenta distruzione dell’idilliaca famiglia borghese, non sono altro che un netto richiamo a quel moderno orrore che ha caratterizzato il cinema americano.

In questo frangente mito ed horror si compenetrano condividendo quella crudeltà senza pietà che non ha spiegazione e che non risparmia niente e nessuno ma che caratterizza entrambi.
Nonostante molti non si ritrovino alcuna trasposizione emotiva nel cinema di Lantinmos, proprio per il suo gelido approccio all’umanità, vi sono certi stacchi che di certo non possono lasciare indifferenti nè lo stomaco nè il cervello.

Infine la regia impeccabile e lo stile unico rendono senza dubbio il regista greco un dopo inestimabile per la nostra epoca.

 

 

Scritto da: Martina Meschini

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