Recensione La donna alla finestra

In Cinema, Recensioni brevi, Tomàs Avila by scheggedivetroLeave a Comment

Condividi:
Share

Anna Fox è una psicologa che, in seguito a un trauma, ha iniziato a soffrire di agorafobia e si è rinchiusa nella propria casa. Quando una nuova famiglia si trasferisce nella casa di fronte alla sua, inizieranno a susseguirsi avvenimenti sempre più inquietanti e pericolosi.

Un chiaro e inequivocabile segnale dell’importanza di un regista è quando viene coniato un aggettivo a partire dal suo nome, come nel caso del termine “hitchcockiano”, che si sente utilizzare di continuo, spesso a sproposito.
L’inconfondibile stile hitchockiano è stato ripreso, reinventato, modernizzato (non che ci sia bisogno di modernizzare qualcosa al di fuori del tempo) così tante volte che è impossibile ricordarsele tutte.

La donna alla finestra si inserisce in questo filone a partire dal titolo e Wright non cerca di nascondere neanche per un secondo il fatto che il film sia un grande omaggio al cinema del maestro, le cui opere sono addirittura presenti all’interno della narrazione, visto che la protagonista è un’appassionata del cinema di Hitchcock e guarda molto spesso i suoi film (vengono mostrate scene di Vertigine, Io ti salverò e La fuga).

I riferimenti non si limitano a ciò, ovviamente, visto che la storia è una riproposizione di La finestra sul cortile, uno dei massimi capolavori di Hitchcock, del quale è superfluo ribadire l’importanza, essendo uno dei film più discussi della storia del cinema. Basti dire che è una delle più riuscite rappresentazioni di una delle ossessioni del regista inglese, quella per il voyeurismo, che ritorna in molte delle sue opere ma che vede proprio ne La finestra sul cortile la sua massima espressione.

Probabilmente, insieme a L’occhio che uccide di Michael Powell è il film per eccellenza sul tema e non si contano i rifacimenti, da quelli più diretti a quelli meno espliciti.
Basta citare due casi, Omicidio a luci rosse di Brian de Palma e Disturbia di D.J. Caruso che, con esisti completamente diversi, seppur non dei remake, traggono inequivocabilmente ispirazione da La finestra sul cortile.

Il film di Wright si aggiunge a questa sterminata lista, sostituendo all’immobilità di James Stewart dovuta alla gamba rotta, l’agorafobia di Anna che sortisce nello stesso risultato: il confinamento nella propria casa, la noia e la curiosità verso la vita altrui che sconfina presto nel voyeurismo, portando guai ai personaggi che da spettatori distanti (come il pubblico di un film) diventano protagonisti.

Che il citazionismo sia una pratica sempre in voga è fuori di dubbio, come lo è il fatto che spesso il pubblico cinefilo si diverta a riconoscere tutti i rimandi e i richiami alle opere del passato. E infatti l’operazione di Wright sembra rivolta proprio a quel genere di pubblico, sembra un divertissement cinefilo, senza alcuna pretesa se non quella di omaggiare il cinema di Hitchcock e stuzzicare il pubblico di appassionati, col gioco delle citazioni.

Omaggi hitchockiani

Omaggi hitchockiani

Omaggi hitchockiani

Omaggi hitchockiani

Omaggi hitchockiani

Omaggi hitchockiani

Visto in quest’ottica, il film può anche avere un senso e di certo non lo si può definire di cattiva fattura, se non per qualche effetto digitale che fa storcere il naso (il sangue digitale è sempre difficile da sopportare) e delle sbavature che, nel complesso, non compromettono il prodotto.

I problemi sono principalmente due e sono legati tra loro.
Innanzitutto, come già detto, oltre al gioco citazionistico, con tutto il campionario dello stile Hitchcockiano (tra occhi, spirali e via discorrendo) rimane molto poco. La storia è vista e rivista, i plot twist di una banalità tale che, chiunque abbia visto qualche thriller in vita sua, potrebbe indovinare il finale dai primi dieci minuti di film, l’approfondimento psicologico dei personaggi non esiste, non che ci si aspetti qualcosa di diverso, l’intento non è quello. Anche se, a dire il vero, Wright inserisce qua e là qualche scena onirica e surreale (non a caso, tra i film di Hitchcock scelti, c’è Io ti salverò) che sembrano dei maldestri tentativi di imitare l’esplorazione del mondo onirico di Kaufman e Gondry.

Proiezioni mentali

Proiezioni mentali

Il secondo problema, molto più fastidioso, è che Wright, proponendo un clone de La finestra sul cortile nel 2021, non deve fare i conti solo col modello hitchcockiano ma anche con i cinquanta anni di rielaborazioni del suo cinema che sono seguiti.
Quando si parla di opere così importanti, soprattutto quando iniziano ad avere qualche decennio d’età, è impossibile prescindere dalle opere che a loro volta ne hanno tratto ispirazione, che si legano indissolubilmente ai testi d’origine.

E così è impossibile, vedendo La donna alla finestra, prescindere da Brian De Palma e dalla sua rielaborazione del cinema di Hitchcock. E questo sembra saperlo lo stesso Wright, che ovviamente non si fa mancare le citazioni anche a De Palma, come gli immancabili split diopter shot.

Split diopter shot alla Brian De Palma.

Split diopter shot alla Brian De Palma.

Split diopter shot alla Brian De Palma.

Split diopter shot alla Brian De Palma.

Ma al di là dei decenni di ritardo rispetto a Brian De Palma, Wright non aggiunge niente al testo di partenza, laddove invece l’intento di De Palma era ben chiaro: rifare il cinema di Hitchcock in un contesto storico e produttivo diverso da quello della Hollywood classica, con tutti i limiti imposti dalla censura dell’epoca.

La rielaborazione di De Palma è quella della Nuova Hollywood, figlia della controcultura degli anni ’60, si trattava dunque di mostrare ciò che Hitchcock non poteva esplicitare ma che era sempre presente implicitamente.
L’erotismo, la morbosità, la violenza che in Hitchcock rimanevano sempre sotto traccia, nel cinema di De Palma dirompono senza più freni inibitori.
Non si trattava quindi di un semplice gioco citazionistico. O meglio, c’era senza dubbio anche quello, ma c’era anche molto altro.

La debolezza di Wright sta nel fatto di risultare molti passi indietro sia rispetto a De Palma che rispetto ad Hitchcock.
Mancano infatti l’erotismo, la carnalità e la violenza esplicita dei film di De Palma, ma più in generale dei film di quella magnifica stagione cinematografica che sono stati gli anni ’70, dagli Stati Uniti all’Europa.

Paradossalmente, andando avanti, si sono fatti molti passi indietro in questo senso e non è una cosa che riguarda solo Wright. È sempre più raro vedere qualcosa che si avvicini a quel modo di fare cinema estremamente carnale, come è stato fatto da molti autori tra gli anni ’70 e ’80, da De Palma a Cronenberg, passando per Paul Verhoeven, Nicolas Roeg e il giallo/horror di Dario Argento.
Tutto ciò manca chiaramente nel film di Wright, che non è mai realmente morboso, non è mai realmente violento, né tantomeno erotico.
Si mantiene sempre sotto a una soglia di sicurezza, come di consueto di questi tempi, con il risultato di essere totalmente innocuo.

Inoltre non c’è neanche la minima traccia del talento di Hitchcock nel trattare queste tematiche in modo implicito, nell’aggirare i limiti imposti dalla censura, riuscendo a parlare di ciò di cui non si poteva parlare.

Manca la magia della Hollywood classica e mancano la violenza e la rottura della New Hollywood, resta il citazionismo fine a sé stesso e la sensazione di già visto, innumerevoli volte.

Scritto da: Tomàs Daniel Avila Visintin