Analisi Hereditary

In Analisi film, Ludovica G., Tomàs Avila by Tomas AvilaLeave a Comment

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Regia: Ari Aster.
Soggetto: Ari Aster.
Sceneggiatura
: Ari Aster.
Colonna sonora: Colin Stetson.
Direttore della fotografia: Pawel Pogorzelski.
Montaggio: Lucian Johnston, Jennifer Lame.
Produttore: ParlmStar Media.
Anno: 2018.
Durata: 127’.
Paese: USA.
Interpreti e personaggi: Alex Wolff (Peter), Gabriel Byrne (Steve), Toni Collette (Annie), Milly Shapiro (Charlie).

Ellen Graham muore insieme ai suoi misteri. Mentre la figlia Anne elabora il lutto di una complicata figura materna, nella casa dei Graham avvengono strani episodi, che sembrano presagire un epilogo tragico. (da Mymovies)

Indice:

Introduzione
Miniature: la tragedia greca
Ereditarietà
L’horror contemporaneo
Tipizzazione e Kitsch– di Ludovica G.
Conclusioni

INTRODUZIONE 

Tutti gli appassionati di horror sanno che non bisogna quasi mai fidarsi delle campagne pubblicitarie troppo esuberanti. Quante volte abbiamo letto sulle locandine “Il film più spaventoso di sempre” o visto nei trailer didascalie come “il film che ha spaventato Stephen King”?
Ecco, la maggior parte delle volte, ovviamente, si tratta di delusioni clamorose e di campagne pubblicitarie volte a creare un’aura di mistero intorno al film, meglio ancora se accompagnate da articoli riguardanti svenimenti di spettatori durante le anteprime.
Senza voler fare la storia delle campagne di marketing degli horror, ricordiamo solamente l’ultima volta, prima di Hereditary, che un film ci era stato presentato come incredibilmente scioccante, rivelandosi poi una mezza delusione e soprattutto non così estremo quanto si diceva: si tratta di Raw- Una cruda verità, distribuito da noi appena l’anno passato, giusto per fare capire quante volte ci siamo imbattuti in pubblicità del genere.

I dettagli disseminati da Ari Aster: i simboli del culto.

Hereditary è stato presentato in un modo simile, basta vedere le frasi riportate sulle locandine italiane: “L’Esorcista di questa generazione”, “L’horror più folle degli ultimi anni”, “Tormenterà il pubblico per monto tempo”. A ciò vanno aggiunte tutte le recensioni estremamente positive arrivate dall’America che sembravano confermare la cosa. In più il nome della casa di produzione A24 (in questo caso solo distributrice), da molti vista ormai come garanzia di qualità, cosa assolutamente sbagliata, ha aumentato ulteriormente le aspettative.

Tutto bene se non che, quando finalmente è arrivata l’anteprima italiana, sono arrivate pesantissime stroncature. Con l’uscita nelle sale del film, i pareri negativi sono aumentati sempre di più e si è creata una spaccatura netta sia nella critica che nel pubblico.

Quindi, con il nostro consueto ritardo, non potevamo non dire la nostra.

Per prima cosa bisogna rispondere a una domanda: chi è il regista di Hereditary?
Ari Aster, classe 1986/1987 (non si sa esattamente quale sia la data di nascita), nato a New York e qui al suo debutto cinematografico. Sembra uscito dal nulla, il che lascia sbigottiti se si pensa all’abilità tecnica dimostrata con il film, ma in realtà ha alle spalle una serie di cortometraggi abbastanza conosciuti e di cui sicuramente parleremo più avanti perché sono molto interessanti e già prefigurano il talento che poi è esploso con Hereditary.
Il film nasce, a quanto pare, da un periodo molto difficile dal punto di vista familiare vissuto dal regista[1].
Che la famiglia sia uno dei temi che più interessano ad Aster già lo si capiva dai cortometraggi ma qui viene affrontata in modo ancora più cupo e orrorifico.

Molti hanno azzardato paragoni con dei classici dell’orrore, come L’esorcista e Rosemary’s Baby, e in effetti i punti in comune sono molti ed è chiaro l’intento del regista di rifarsi a quei capolavori.
Rielaborando però le varie influenze, Aster ha dato vita a un horror molto personale, di difficile categorizzazione, che proprio per la sua originalità ha spiazzato il pubblico che, per la maggior parte, non ha cercato di andare a fondo e di capire cosa il regista volesse comunicarci.

 

MINIATURE: LA TRAGEDIA GRECA 

Hereditary

Inquadrature frontali.

Il film si apre con un movimento di macchina che ci porta, dalla casa dei protagonisti, dentro a uno dei plastici costruiti da Annie che improvvisamente prende vita tornando a essere la casa dei protagonisti.
Questo incipit racchiude in gran parte il senso del film, in cui l’espediente dei plastici ritorna molte volte.

Abbondano le riprese frontali a macchina fissa che sembrano far diventare le ambientazioni un palco scenico o uno dei modellini di Annie. Inoltre c’è un continuo rapporto tra il mondo reale e i plastici che sembrano essere il modo in cui la protagonista interpreta la realtà che la circonda o addirittura con cui sfoga le sue frustrazioni.

Quello che potrebbe sembrare un elemento secondario, introdotto e poi abbandonato a sé stesso, è in realtà centrale nell’interpretazione di Hereditary che, per certi versi, è molto vicino all’ultima opera di Yorgos Lanthimos, Il sacrificio del cervo sacro.
Lanthimos ha voluto rileggere la tragedia greca, con un occhio di riguardo per il mito di Ifigenia, e simile è la volontà di Aster. Non a caso in Hereditary vengono citati in più occasioni i miti greci e in particolare proprio quello di Ifigenia.

Aster costella il film di dettagli, impossibili da cogliere tutti alla prima visione, che servono a dare l’idea di come il destino dei personaggi sia già segnato.
Il palo della luce che decapita Charlie ha impresso il simbolo del culto pagano, Annie viene forzata in più occasioni ad andare alla sedute spiritiche di una medium che dovrebbe consegnarle una formula magica da leggere, in grado di far entrare il demone Paimon dentro al corpo del figlio e si potrebbero citare molti altri esempi.

Riguardando Hereditary con più attenzione ci si rende conto che tutti, intorno alla famiglia dei protagonisti, operano affinché avvenga il passaggio di corpo del demone.
Quest’idea del complotto, chiaramente ispirata a Rosemary’s Baby di Polanski, ci fa comprendere che i protagonisti non possono sfuggire al loro destino che è già scritto. Sono manovrati da forze più grandi di loro, alle quali non possono opporsi, come i personaggi di una tragedia che devono sempre sottostare a delle leggi divine.
È qui che ci si ricollega alle miniature di Annie e a molte delle scelte estetiche di Aster che rende i personaggi delle specie di marionette i cui fili vengono mossi da forze maggiori.

 

EREDITARIETÀ 

Centrale è inoltre uno dei temi cardine della tragedia greca: l’ereditarietà della colpa, che dà anche il nome al film. “È un’eredità tragica che si tramanda di padre in figlio, e ha l’aspetto di una Necessità ineluttabile”[2].

Hereditary

I dettagli disseminati da Ari Aster: i membri del culto.

Come dicevo in precedenza, sia nei cortometraggi di Aster che in questo suo esordio cinematografico, la famiglia ha un ruolo fondamentale.
Nelle sue opere si tratta sempre di famiglie estremamente disfunzionali ed Hereditary non fa differenza.
A cosa però allude il titolo del film?
Come The Babadook, ma molto meno esplicitamente che nella pellicola di Jennifer Kent, l’irruzione del paranormale nel mondo reale e nei veri drammi familiari può essere vista come una metafora di una sofferenza così grande da adattarsi perfettamente all’horror.

In entrambi i casi tutto prende avvio dalla morte di un familiare e dal vuoto che la sua scomparsa lascia all’interno del resto della famiglia.
Sia in The Babadook che in Hereditary inoltre è fondamentale il rapporto tra i genitori e i figli, in particolare tra le due madri e i loro figli. Annie, come l’Amelia di The Babadook, prova un rancore verso il suo primogenito, che cerca sempre di celare, dovuto al fatto che in realtà non voleva avere figli e ha cercato addirittura di abortire. Questa tensione tra i due personaggi, che si respira fin dall’inizio, esplode nel corso del film e si viene a conoscenza di fatti sconcertanti accaduti nel loro passato: Annie, in preda a uno dei suoi attacchi di sonnambulismo, aveva quasi dato fuoco ai figli mentre dormivano, cospargendoli di acqua ragia. Fortunatamente era tornata in sé prima di ucciderli ma da questo fatto, come da altri, emerge chiaramente il rifiuto di una maternità mai desiderata realmente ma costretta dalla madre di Annie, per i suoi scopi.

È palese perciò che Annie soffra di qualche disturbo mentale, così come suo fratello, a cui si accenna solo una volta nel corso del film, scoprendo che era schizofrenico.
Non sono i soli: anche la madre di Annie era affetta da qualche disturbo di personalità e allo stesso modo Charlie non sembra fare eccezione.

La malattia mentale, la depressione, così come ogni tipo di disgrazia, sembra tormentare la famiglia dei protagonisti, tanto che sembrano essere perseguitati da una maledizione.
Aster cerca sempre di tenersi a metà strada tra il reale e il paranormale, che esplode dirompente nell’ultima parte del film, sembrando non lasciare spazio ad altre interpretazioni.

I dettagli disseminati da Ari Aster: follia o paranormale?

Tuttavia c’è un dettaglio che rende plausibile sia una spiegazione realistica che una soprannaturale.
Il momento in cui irrompe il paranormale è quando muore il padre di famiglia, unico appiglio restante alla razionalità e alla realtà.
Steve, per tutto il corso della storia, assiste impotente al susseguirsi di avvenimenti sempre più drammatici che portano al delirio degli altri membri della famiglia.
La scena della sua morte merita un approfondimento. È stata da molti contestata perché il personaggio prende fuoco senza un apparente motivo, quando Annie cerca di bruciare il quaderno dei disegni di Charlie, oggetto che fa da tramite col mondo dei demoni.
Aster inserisce abilmente dei dettagli che portano a pensare a una duplice interpretazione della scena.
Se da una parte può sembrare la definitiva irruzione del paranormale, dall’altra invece può essere interpretata come il definitivo distacco di Annie dalla realtà, come il momento in cui la sua già fragile mente, cede definitivamente.
Si può notare infatti che Annie ha in mano una tanica di acqua ragia, esattamente come nell’episodio di sonnambulismo in cui ha dato fuoco ai figli. Se nella sua mente sta bruciando il quaderno di Charlie, nella realtà sta uccidendo il marito, simbolo dell’ultimo spiraglio di razionalità rimastole.
È da quel momento che comincia la discesa negli inferi di Annie e Peter, che si conclude inevitabilmente con la loro morte.

Alla luce di queste considerazioni, il titolo risulta più chiaro da entrambi i punti di vista, che si scelga l’interpretazione realistica (quindi l’ereditarietà della malattia mentale) o quella sovrannaturale (e quindi una vera e propria maledizione).

 

L’HORROR CONTEMPORANEO

Si sa che l’horror è sempre stato interprete delle paure dei tempi in cui viene concepito. Ovviamente questo discorso non si può estendere a tutti i film, o meglio, la maggior parte degli horror contemporanei hanno uno scopo di puro intrattenimento, di fuga dalla realtà.
In questo marasma di pellicole, delle quali poche sono degne di nota, da qualche anno a questa parte sembra essere in atto un ritorno a una tipologia di orrore molto diversa.

Hereditary

L’orrore nascosto nell’ombra.

Solo quest’anno abbiamo potuto vedere Ghostland di Pascal Laugier, Apostolo di Gareth Evans ed Hereditary: tre horror di altissimo livello, diversi tra loro ma con alcune caratteristiche in comune.
A questi se ne possono aggiungere molti altri ormai, come Bone Tomahawk di  S. Craig Zahler, The VVitch di Robert Eggers, Tusk di Kevin Smith, The Babadook di Jennifer Kent, Gongksung, La presenza del Diavolo di Na Hong-jin, 31 di Rob Zombie, Madre! Di Darren Aronofsky, Get Out- Scappa di Jordan Peele e via dicendo, la lista ormai è lunga.
Tutti titoli degli ultimi cinque anni che propongono un tipo di orrore diverso, lontano dagli stereotipi del cinema demoniaco/ di possessioni, che va comunque ancora alla grande, così come dai cliché dello slasher, che dopo Scream si può dire morto.
Nel 2012 Drew Goddard con Quella casa nel bosco aveva fatto il punto della situazione su cosa l’horror era stato ed era diventato, riflettendo intelligentemente sulle dinamiche a cui ormai siamo abituati a vedere e che in fondo non ci spaventano più.
Sembra quasi che da allora si sia cercato di fuoriuscire da questi stereotipi, proponendo qualcosa di diverso.

Possiamo trovare dei punti in comune tra queste pellicole.
In primo luogo un ritorno del weird, della stranezza. Ed è questo forse uno dei motivi per cui molti di questi film hanno diviso il pubblico. Dalle situazioni grottesche al limite del comico di Hereditary (e chi dice che non sono volute dovrebbe assolutamente vedere i corti del regista per comprendere meglio il suo stile) o il surrealismo di Madre!, dall’umorismo nero di Get Out- Scappa al delirante finale di Bone Tomahawk.

Interessante è inoltre notare come molti di questi film ruotino intorno a culti pagani o a temi religiosi, altro elemento interessante che permette di trattarli come un gruppo di opere, seppure eterogenee, molto vicine, quasi un filone a se stante, un nuovo new horror.

Arrivati a una saturazione di certi espedienti che ormai non spaventano più nessuno, si stanno cercando altre vie, andando a toccare altre paure dell’uomo. E gli amanti dell’horror non potrebbero essere più contenti.

 

TIPIZZAZIONE E KITSCH– di Ludovica G.

Il cinema classico ha avuto nella tipizzazione binaria, bene versus male, la sua armatura portante, gradualmente corrosa dalle pellicole (rivoluzionarie) della New Hollywood.
Tra queste proprio l’Esorcista, menzionato ad inizio analisi.
La grandezza de L’esorcista, però, in cosa risiede? Primo horror destinato al grande pubblico, ha esercitato una profonda influenza sul successivo sviluppo del genere e sulla sua ricezione.

L'esorcista

Locandina de “L’esorcista”, di William Friedkin, 1973.

Mai prima di allora il cinema horror era stato oggetto di un tale battage pubblicitario, di tanti pettegolezzi circa la sua postproduzione o la quantità di gente, di qualsiasi età, disposta ad ore di coda per andare a vedere un film che si diceva provocasse vomito, svenimenti, addirittura psicosi temporanee. L’impatto culturale e sociale di questo film può essere difficilmente sottovalutato: forte di una trama basata su convenzioni narrative ben radicate nel cinema americano, trasgredisce tutte le regole che specificavano cosa potesse essere mostrato sul grande schermo.
Un’ambientazione rassicurante e borghese diventa la cornice entro cui far accadere l’inverosimile, sdoganando persino la blasfemia.
Sintetizzando ulteriormente, la sopracitata tipizzazione binaria viene meno, mentre il rapporto dialettico tra i personaggi diventa fondamentale. Quindi, la netta contrapposizione tra le parti cede il posto al beneficio del dubbio: chi è davvero il cattivo, o meglio chi non lo è? E così, il controllo, rassicurante, che il fruitore poteva in qualche modo esercitare sulla trama, spesso e volentieri non esiste più.
La domanda “e se capitasse anche a me” non è più il primo e più importante quesito a cui dà adito un horror ma gli stessi si moltiplicano (e confondono).
Non ci resta che chiederci, allora, assodata la portata di tanta deliberata distruzione, quali siano però i suoi contro. Un film come Hereditary è sicuramente emblematico per fare questa valutazione.
In molti lavori come questo, la struttura narrativa spesso e volentieri è lapidata a colpi di postproduzione. I personaggi, figli di una scrittura debole, rischiano sul lungo termine di risultare solo delle macchiette. Al contempo, un film come Hereditary è un vero e proprio manuale visivo dell’ars celare artem attraverso espedienti fotografici e montaggio video-audio, con l’intento di regalarci colpi di scena, su colpi di scena…su colpi di scena. Finché gli stessi non rischiano di diventare fini a sé stessi.
Ed è proprio qui che risiede il rischio di scivolare nel kitsch, quando “una creatività che, se ricade su se stessa, diventa stereotipo del nuovo e quindi nulla”[3].
Facendo sì che, come ogni opera kitsch che si possa definire tale, sia consumata, soddisfi, per poi essere dimenticata, senza scuotere né arricchire, secondo un “razionale ricettario per imitazioni”[4].
Ma il rapporto kitsch-innovazione non può essere risolto in maniera così semplicistica: anche il kitsch richiede spesso un’innovazione tecnica di alto livello. Quello che richiede il dato colpo di scena, allora, può essere importante per il rinnovamento degli stessi mezzi espressivi che lo richiedono.

CONCLUSIONI 

Hereditary è un film che, come abbiamo visto, ha diviso e le opinioni negative a riguardo sono innumerevoli. Giudizi sull’opera a parte, la pellicola ha incassato molto bene e Ari Aster è già al lavoro su un altro horror che, per tornare al discorso di prima, ruoterà intorno a un culto pagano.
Come quello di Jordan Peele, il suo è un esordio cinematografico col botto e sicuramente lo vedremo coinvolto in progetti sempre più importanti.

Per quanto riguarda Hereditary, personalmente credo sia un horror in grado di fare realmente paura, come pochi altri recentemente hanno saputo fare. Un film intriso di pessimismo, di tristezza e di crudeltà fatica ad abbandonare la mente di chi lo vede per molto tempo, crescendo lentamente. Un film in cui a far paura non è tanto la componente soprannaturale e demoniaca ma quella umana e relazionale, grazie anche a degli attori assolutamente in parte (su tutti Toni Collette), e in cui l’orrore non è quasi mai esibito con i soliti jumpscare ma è celato nelle zone d’ombra delle inquadrature.
La tensione è palpabile e crescente, non concentrata solo in certe scene, merito di una sceneggiatura che dissemina elementi chiave per tutto il corso del film, che tornano tutti nel finale.
Per essere onesti va sottolineati anche un difetto che si sarebbe potuto facilmente evitare: lo spiegone finale che serve allo spettatore la spiegazione di quanto accaduto durante il corso del film, come se non fosse in grado di arrivarci da solo. Nel complesso però è una pecca che non compromette la qualità dell’opera.

Una menzione di merito va anche alla splendida colonna sonora di Colin Stetson, inquietante ma allo stesso tempo ipnotica.

In conclusione Hereditary è un grande esordio che lascia il segno e che fa ben sperare per i futuri progetti di Aster e per il futuro dell’horror.

 

Scritto da: Tomàs Avila.

 

Note:

[1] https://www.deccanchronicle.com/entertainment/hollywood/180618/hereditary-movie-director-ari-aster.html

[2] http://www.treccani.it/enciclopedia/eschilo/

[3] Mazzocut-Mis, Lineamenti di estetica, p. 149

[4] Broch 1993, pp. 157-158