Abbiamo deciso di trattare Blade Runner 2049 in un modo un po’ diverso dal solito. Prima ci occuperemo dei tre cortometraggi che ne hanno anticipato l’uscita e poi del film vero e proprio.
Indice:
1 I CORTOMETRAGGI
1.1 2036: Nexus Dawn
1.2 2048: Nowhere to Run
1.3 Blade Runner: Black Out 2022
2 BLADE RUNNER 2049
2.1 Villeneuve o Scott?
2.2 Il miracolo
2.3 La ricerca dell’identità: tra reale e virtuale
2.4 Conclusioni
2.5 Il capolavoro annunciato?
Come già successo per Alien: Covenant[1], Blade Runner 2049 è stato preceduto da dei cortometraggi che fungono da collegamento tra gli eventi del primo e del secondo film. Questo già fa comprende le intenzioni di Ridley Scott[2], chiaramente interessato ad aprire una nuova saga.
1.1 2036: Nexus Dawn
Regia: Luke Scott.
Sceneggiatura: Hampton Fancher, Michael Green.
Musiche: Blitz//Berlin.
Direttore della fotografia: Pierre Gil.
Produttore: Alcon Entertainment, Columbia Pictures, Scott Free Productions, Thunderbird Entertainment, Warner Bros.
Anno: 2017.
Durata: 6’.
Paese: USA.
Interpreti e personaggi: Jared Leto (Niander Wallace), Benedict Wong (Lawmaker), Ned Dennehy (Magistrato 2), Ade Sapara (Magistrato 3), Ania Marson (Magistrato 4), Set Sjöstrand (Replicante).
Il primo cortometraggio è diretto da Luke Scott[3], figlio di Ridley Scott. Luke aveva già lavorato come regista a un episodio della serie TV The Hunger[4], a un cortometraggio chiamato Loom[5] e a Morgan[6], il suo film d’esordio, uscito nelle sale americane nel 2016 e ovviamente ai tre cortometraggi che hanno preceduto Alien: Covenant.
2036: Nexus Dawn serve ad introdurre il personaggio di Niander Wallace, interpretato da Jared Leto[7].
Ambientato 12 anni prima del film di Villeneuve, questo primo cortometraggio mostra l’ascesa di Wallace, diventato proprietario della Tyrel Corporation, che presenta alla LAPD un nuovo tipo di replicante Nexus.
Già da questi sei minuti si comprendono le intenzioni di Wallace, una sorta di Dio, creatore di vita, intenzionato a utilizzare i replicanti/angeli per far conquistare all’uomo le stelle. Nella visione di Wallace l’uomo è una specie in via d’estinzione e la Terra si sta lentamente spegnendo, l’unico modo per sopravvivere ed evolversi è portare avanti la conquista dello spazio, non limitandosi alle sole colonie già esistenti.
È interessante inoltre notare che nella stanza in cui è ambientato il cortometraggio, dall’arredamento spoglio e decadente, alle spalle dei magistrati si può notare una libreria, che rende bene l’idea del ritorno al cartaceo in seguito al blackout di cui si parla nel film.
Per vedere 2036: Nexus Dawn:
Regia: Luke Scott.
Sceneggiatura: Hampton Fancher, Michael Green, Luke Scott.
Direttore della fotografia: Pierre Gill.
Produttore: Alcon Entertainment, Columbia Pictures, Scott Free Productions, Thunderbird Entertainment, Warner Bros.
Anno: 2017.
Durata: 5’.
Paese: USA.
Interpreti e personaggi: Dave Bautista (Sapper Morton), Gerald Miller (Salt), Orion Ben (Madre), Gaia Ottman (Ella).
Il secondo cortometraggio, sempre diretto da Luke Scott, è ambientato un anno prima del film di Villeneuve e introduce Sapper Morton, il personaggio interpretato da Dave Bautista[8]. A posteriori si capisce che il film inizia praticamente dove finisce 2048: Nowhere to Run. Sapper Morton è andato a Los Angeles per vendere i vermi che alleva nella sua casa lontano dalla città. A causa di un inconveniente viene denunciato alla polizia come replicante.
A differenza del primo cortometraggio, Scott qui è meno interessato all’approfondimento del personaggio, che viene semplicemente mostrato come un replicante in fuga dalla polizia. Scott mostra l’umanità di Sapper Morton ma è chiaramente più interessato a dare un assaggio delle ambientazioni di Blade Runner 2049. A differenza del primo cortometraggio, questo è ambientato all’aperto, in una specie di mercato che ricalca e omaggia chiaramente il film del 1982.
Niente di imprescindibile, più che altro un assaggio delle atmosfere del film di Villeneuve.
Dal punto di vista stilistico c’è poco da dire riguardo ad entrambi i cortometraggi, fanno il loro dovere senza spingersi oltre.
Per vedere 2048: Nowhere to Run:
1.3 Blade Runner: Black Out 2022
Regia: Shinichirô Watanabe.
Sceneggiatura: Shinichirô Watanabe.
Musiche: Flying Lotus.
Direttore della fotografia: Shinichiro Eto.
Montaggio: Kiyoshi Hirose.
Produttore: Alcon Entertainment, Cygames.
Anno: 2017.
Durata: 15’.
Paese: USA.
Interpreti e personaggi: Jovan Jackson (Iggy), Luci Christian (Trixie), Bryson Baugus (Ren), Edward James Olmos (Gaff).
Il terzo cortometraggio si differenzia notevolmente dai primi due. Innanzitutto perché è animato e non in live action, in secondo luogo perché è diretto da Shinichirô Watanabe[9], regista, tra le tante cose, della serie Cowboy Bebop[10] e di due segmenti di Animatrix[11]. Un nome importante quindi, non un quasi esordiente come Luke Scott. Anche la durata aumenta, passando dai 5/6 minuti dei primi due cortometraggi a circa 15 minuti.
Dal punto di vista narrativo è senza dubbio il più importante dei tre, in quanto non presenta un personaggio ma racconta un evento chiave che verrà più volte citato nel corso del film. È ambientato nel 2022 ed è incentrato su una sorta di attentato terroristico, realizzato da due replicanti e un umano, volto a scatenare un blackout totale nella città di Los Angeles e a cancellare i database contenenti le informazioni sui replicanti, al fine di liberare tutti i replicanti e renderli finalmente indistinguibili dall’uomo.
Viene introdotto così un altro tema portante del film, quello della ribellione dei replicanti che ormai hanno preso coscienza della propria condizione.
È significativo che uno dei responsabili del blackout sia proprio un umano, resosi conto che i replicanti non sono dei semplici automi. Interessante è anche il fatto che Iggy abbia preso coscienza dopo aver combattuto una guerra e aver scoperto che su entrambi i fronti combattevano dei replicanti, per conto degli umani. Vengono insomma anticipati diversi dei temi principali di Blade Runner 2049.
Dei tre cortometraggi, Blade Runner: Black Out 2022 è quello più citazionistico. Torna Gaff, uno dei personaggi del film del 1982, che comparirà brevemente anche nel film di Villeneuve. Trixie è una sorta di ibrido tra due replicanti del film di Scott: Priss, per il modo di muoversi e di combattere, e Zhora, per come muore in mezzo ai vetri. Ren ricorda invece Sebastian, essendo un umano che comprende e parteggia per i replicanti. Anche visivamente, Watanabe cerca in sostanza di regalarci una versione animata delle ambientazioni del film di Scott, introducendo però anche la zona desertica che sarà centrale in Blade Runner 2049.
Dal punto di vista stilistico è stata un’ottima scelta quella dell’animazione giapponese, visti i capolavori cyberpunk di animazione che il Giappone ha sfornato: da Akira[12] a Ghost in the Shell[13], passando per Serial Experiments Lain[14], giusto per dirne qualcuno. Sembra quasi un tentativo, da parte di Scott e Villeneuve, di omaggiare queste grandissime opere, che sicuramente hanno preso molto dal Blade Runner[15] del 1982.
Watanabe ricorre a diversi stili visivi, passando dalle atmosfere cyberpunk-noir tipiche di Blade Runner al bianco e nero, fino ad arrivare a una parte in cui i disegni si fanno più sporchi e confusi, prediligendo l’arancione e il rosso del deserto.
Watanabe ha firmato quello che senza ombra di dubbio è il migliore dei tre cortometraggi, nonché una piccola perla che conferma, come se ce ne fosse ancora bisogno, quanto l’animazione si presti bene alle atmosfere cyberpunk, tipiche dei film già citati.
Per vedere Blade Runner: Black Out 2022:
Regia: Denis Villeneuve.
Soggetto: Hampton Fancher (basato sui personaggi del romanzo “Gli androidi sognano pecore elettriche?” di Philip K. Dick.
Sceneggiatura: Hampton Fancher, Michael Green.
Musiche: Hans Zimmer, Benjamin Wallfisch.
Direttore della fotografia: Roger Deakins.
Montaggio: Joe Walker.
Produttore: 16:14 Entertainment, Alcon Entertainment, Columbia Pictures, Scott Free Productions, Thunderbird Entertainment, Torridon Films, Warner Bros.
Anno: 2017.
Durata: 164’.
Paese: USA, UK, Canada.
Interpreti e personaggi: Ryan Gosling (K), Dave Bautista (Sapper Morton), Robin Wright (Tenente Joshi), Ana de Armas (Joi), Jared Leto (Niander Wallace), Harrison Ford (Rick Deckard), Sylvia Hoeks (Luv), Mackenzie Davis (Mariette).
È finalmente giunto il momento. Blade Runner 2049 è uscito.
Dopo i pareri entusiastici dei primi critici americani ad averlo visto, che non hanno usato mezzi termini, definendolo in sostanza un capolavoro all’altezza dell’originale, il film è arrivato anche in Italia.
Poco per volta ai primi pareri positivi dei critici americani si sono affiancati quelli dei critici italiani, tra i quali già qualche opinione negativa si vedeva, e in seguito è stato il turno del pubblico.
Il risultato è che, a quanto pare, Blade Runner 2049 sta andando piuttosto male in quanto a incassi, forse per la durata di ben 164’, forse per la lentezza.
Si potrebbe far notare, e qualcuno in effetti lo ha fatto, che anche il film di Scott, nel 1982, non fu un successo economico e che il culto di Blade Runner[16] è cresciuto col passare del tempo.
In realtà è abbastanza inutile fare discorsi di questo tipo, principalmente perché si tratta di periodi molto diversi, in secondo luogo perché secondo me bisognerebbe evitare il più possibile di confrontare i due film.
Paragonare un film di culto con una storia di ormai 35 anni alle spalle e un film appena uscito non è corretto. Quindi lasciamo perdere le definizioni come “capolavoro”, “istant cult” e via dicendo. Se lo è, sarà il tempo a dirlo, sicuramente non qualche giorno.
Fatta questa breve premessa, possiamo dedicarci ora ad analizzare Blade Runner 2049.
Una prima questione interessante è cercare di capire chi sia il vero padre di quest’opera.
Villeneuve, a cui abbiamo dedicato una monografia, è un regista che negli ultimi anni ha fatto molto parlare di sé con film come Prisoners[17] e Sicario[18], fino ad Arrival[19], film di fantascienza uscito questo gennaio.
Bisogna ricordare che Villeneuve viene dal cinema indipendente e che solo negli ultimi anni si è trasferito a Hollywood, riuscendo tra l’altro a sviluppare la sua poetica senza farsi sopraffare dai produttori.
Questa volta però la situazione è un po’ diversa, sia perché il budget nettamente superiore (intorno ai 160 milioni di dollari) sia perché dietro al film c’è Ridley Scott.
Villeneuve ha assicurato in diverse interviste che è riuscito a mantenere un buon margine di libertà creativa, tuttavia bisogna considerare che si tratta di un progetto che Scott cova da tempo, sicuramente dal 2008. Dopo diversi tentativi, nel 2015, finalmente ha iniziato a prendere forma; la regia, com’è noto, è stata assegnata a Villeneuve e la sceneggiatura sarebbe dovuta essere scritta da Hampton Fancher[20] (uno dei due sceneggiatori del Blade Runner originale) e Ridley Scott, anche in veste di produttore.
Scott è stato poi sostituito da Michael Green[21], già sceneggiatore di Alien: Covenant.
Tornando alla domanda iniziale, Blade Runner 2049 per me non va considerato solo come un film di Villeneuve perché l’intervento di Scott è fondamentale e ben evidente.
A livello di sceneggiatura ritroviamo uno dei temi che attraversano gran parte della filmografia di Villeneuve, dai primi film a La donna che canta[22] ed Enemy[23]: la ricerca dell’identità.
K è un personaggio che cerca di capire chi e cosa realmente sia, cerca uno scopo nella sua esistenza.
Certo, va detto che si tratta di uno dei temi principali del primo Blade Runner e di diversi film cyberpunk, basti pensare al terribile remake di Ghost in the Shell[24] uscito quest’anno.
Nonostante ciò tuttavia Villeneuve riesce a farlo suo, proprio perché è un tema assolutamente nelle sue corde.
Anche la struttura narrativa che accentua la componente thriller molto più rispetto all’originale rientra nello stile del regista canadese. Quasi tutti i suoi film, al di là del genere a cui sono ascrivibili, si rifanno in qualche modo al thriller.
Passando al versante tecnico, lo stile di Villeneuve è assolutamente riconoscibile, in particolar modo saltano all’occhio le lente riprese aeree (specialmente quelle in cui la macchina da presa è perpendicolare al suolo), l’uso del sonoro in certe scene, il ritmo lento, ovvero tutte cose che ritroviamo nei precedenti film, in particolare in Sicario e Arrival. È interessante inoltre il fatto che l’uso delle luci in certe inquadrature ricordi molto i film di Refn. Va ricordato che fu proprio il primo Blade Runner a imprimere nell’immaginario fantascientifico l’idea della città dominata dalle luci al neon.
Quando però si iniziano ad analizzare i riferimenti religiosi, il ruolo dei replicanti e di personaggi come quello di Leto, ci si rende immediatamente conto dell’influenza di Scott.
Che il regista fosse interessato a tutti i temi collegati e ai robot/replicanti era chiaro fin dall’Alien[25] del 1979.
In questi ultimi anni sono sempre meno i suoi film degni di nota ma fanno eccezione Prometheus[26] e Alien: Covenant, due pellicole strettamente legate a Blade Runner 2049. Come abbiamo sottolineato nella recensione di Alien: Covenant, in questi ultimi due capitoli della saga di Alien, gli xenomorfi sono passati sempre di più in secondo piano, lasciando spazio alla figura di David/Walter, insomma agli androidi. Anche in queste pellicole sono molto importanti inoltre i riferimenti religiosi.
Insomma Scott sembra veramente interessato a sviluppare queste tematiche e in effetti per me i due film sono tra le opere di fantascienza più interessanti degli ultimi anni, alle quali si aggiunge ora il nuovo Blade Runner.
Per rispondere alla domanda: Blade Runner 2049 è la perfetta sintesi tra Scott e Villeneuve, sono presenti entrambi in giusta misura, senza che uno prevalga sull’altro.
2.2 Il miracolo
Come dicevamo, i riferimenti religiosi sono svariati, come lo erano nel primo.
Anche qui ritorna il tema dell’occhio e della vista, elemento fondamentale nel film del 1982, fin dalla scena d’apertura.
L’occhio è collegato al tema del ricordo e della memoria, concetti che attraversano la pellicola dall’inizio alla fine, in tutte le varie declinazioni.
Da una parte l’occhio è inteso come sguardo onnisciente, opprimente e dispotico, ovvero quello di Tyrell e di Wallace: l’occhio di Dio insomma.
Dall’altra l’occhio è un mezzo per accedere all’anima, al “ghost” come lo chiamerebbe Mamoru Oshii[27], quella degli uomini come quella dei replicanti, che non a caso vengono identificati proprio attraverso gli occhi.
Vedere e il ricordo di ciò che si è visto, rievocato dall’indimenticabile frase di Roy Batty “ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare” e anche vedere come condizione necessaria per poter dire di essere vivi.
Lo stesso mondo di Blade Runner, ovvero quello che è diventato il prototipo dell’ambientazione cyberpunk, è dominato dal senso della vista. La città è cosparsa di schermi che moltiplicano la visione, nonostante questa sia in un certo senso impedita dalla coltre di inquinamento che pervade la metropoli.
L’importanza data alla vista è tale che la punizione più terribile che Roy Batty, una sorta di angelo che si ribella al creatore, infligge a Tyrell è infatti l’accecamento, la privazione dello sguardo onnisciente.
Ancora più significativo è il fatto che Wallace, interpretato da Jared Leto, sia cieco e che riesca a vedere solo attraverso delle specie di piccole telecamere collegate al suo cervello che gli offrono diversi punti di vista. Il suo sguardo è paradossalmente quello più oggettivo, violento e privo di umanità.
Non mi dilungo oltre sul tema dello sguardo perché è probabilmente quello che è stato più sviscerato nel corso dei 35 anni di Blade Runner.
In molti avevano interpretato il personaggio di Roy Batty come una sorta di Lucifero, un angelo che si ribella a Dio e in questa pellicola. Wallace continua a rivolgersi agli androidi chiamandoli angeli. Da una parte Wallace è una sorta di Dio, come lo era Tyrell, padre degli “angeli”. Dall’altra però il riferirsi agli androidi con questo termine porta a un secondo significato: Wallace, nonostante le sue apparenti manie di onnipotenza, è consapevole di non essere Dio, anzi il suo sogno è quello di elevare l’uomo a Dio, conquistando le stelle. In quest’ottica gli androidi sono angeli in quanto tramite tra Dio e l’uomo, mezzo attraverso cui raggiungere l’onnipotenza.
In questo panorama fortemente dominato da rimandi alla religione, viene inserito il “miracolo” citato da Sapper Morton all’inizio del film. Chiaramente il pensiero va da una parte alla nascita di Gesù e al suo ruolo di salvatore del popolo d’Israele e dall’altra Mosè e alla sua storia.
Il miracolo è il fatto che un’androide sia potuta rimanere incinta, senza un’apparente spiegazione.
Come dice il tenente Joshi: “The World is built in a wall that separates kind. Tell either side there’s no wall… You bought a war”.
Come distinguere, dopo un avvenimento del genere, uomini da androidi?
Il bambino, o meglio la bambina, non è il salvatore come lo era Neo in Matrix, è più che altro un simbolo che fa prendere coscienza ai replicanti della loro situazione, della loro identità.
Nonostante il film si chiuda lasciando molte porte aperte, tra le quali una possibile rivolta dei replicanti, il finale è comunque soddisfacente: il miracolo è vero e la percezione che lo spettatore ha dei replicanti non può che cambiare. Poco importa come verrà utilizzata da uomini e replicanti la figlia di Deckard e Rachel, se verrà divinizzata o demonizzata, se diventerà una profeta.
Il film si chiude lasciando uno spiraglio di luce per i protagonisti ma allo stesso tempo la sensazione è quella di un’incombente apocalisse. E questo non a causa di una probabile guerra tra umani e androidi, è il mondo rappresentato a dare l’impressione di pre-apocalisse (o, se ci si sposta fuori dalla città, già post-apocalisse). Un mondo che si sta spegnendo poco per volta.
2.3 La ricerca dell’identità: tra reale e virtuale
Una delle cose più affascinanti del primo Blade Runner era il dubbio che il protagonista stesso potesse essere un androide, creato apposta per dare la caccia ad altri androidi.
Nel 1982 Scott affrontava una questione fondamentale: col diffondersi e lo sviluppo sempre più veloce del digitale, come riuscire a distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è? Al di là del fatto che gli androidi di Scott fossero in grado di provare dei sentimenti e che fossero coscienti, la domanda fondamentale era quella sull’identità. Visto che il mondo creato dal digitale è sempre più vicino a quello reale, potremmo scoprire di essere noi stessi degli “virtuali”?
Una domanda che nel 1982 sembrava spiazzante ma che, dopo anni e anni di film e riflessioni di questo tipo, ha perso in parte la sua forza.
Le Wachowski[28] con Matrix[29], ma molti prima di loro, hanno esteso la questione a tutta la realtà circostante. Non più una questione identitaria perciò ma riguardante la società intera, il mondo in cui viviamo.
La cosa che, leggendo diverse recensioni, non è stata notata, o a cui non è stata data abbastanza importanza, è il ribaltamento della questione dell’identità operato da Blade Runner 2049.
Siamo nel 2017, ormai chiedersi se sia tutto una finzione non ha più la forza che poteva avere nel 1982 o anche nel 1999 (anno di Matrix).
Viviamo in un mondo in cui il virtuale (nell’accezione di prodotto di tecnologie digitali) è sempre più preponderante, in ogni ambito della nostra vita. Villeneuve lo ha sottolineato quando ha spiegato la scelta del blackout informatico descritto nel cortometraggio Blade Runner 2022.
Il discorso può essere esteso all’immagine cinematografica stessa, ormai in prevalenza digitale e per questo da alcuni ritenuta non più collegata alla realtà.
In questo contesto l’idea più interessante del film è quella di ribaltare le domande poste dal film del 1982.
Il protagonista viene da subito presentato come un androide. Ormai è dato per scontato, non è più una sorpresa. La finzione ormai è la normalità, scoprire di essere reali invece è la cosa sconvolgente.
Non si tratta più di scoprire che l’umano è diventato virtuale ma di trovare una possibile umanità del digitale.
Scott ovviamente già nel 1982 si era occupato anche di questo, facendo mutare la nostra percezione degli androidi nel corso del film, da macchine a qualcosa di più umano dell’uomo stesso.
Il modo in cui la questione viene posta dal film di Villeneuve però è assolutamente al passo con i tempi ed è stata una scelta vincente quella di non replicare i dubbi esistenziali di Deckard, o meglio di capovolgerli.
In questo contesto va inserita chiaramente anche la rivolta degli androidi, una sorta di ribaltamento della rivolta degli uomini in Matrix. È il digitale che vuole sia riconosciuta la sua umanità, il suo legame col reale, come il David di Prometheus e Covenant.
In questo contesto si inserisce anche la storia d’amore tra K e Joi, che ricorda molto il bellissimo Her[30] di Spike Jonze[31]. Questa sottotrama raggiunge l’apice nella scena di sesso a tre in cui un’intelligenza artificiale immateriale si unisce a un corpo fisico che è al contempo la somma di entrambi ma anche qualcosa di altro.
Anche nel caso di Joi, Villeneuve e compagnia hanno cercato di rendere l’intelligenza artificiale il più possibile umana, come per gli androidi.
Tutto il film, volendo ben vedere, è incentrato su K e sulla sua ricerca di uno scopo nella vita. È sempre stato l’androide perfetto, svolgendo i compiti assegnati senza problemi e superando ogni test.
Entrerà in crisi proprio nel momento in cui gli verrà il dubbio sulla sua natura: probabilmente i ricordi che ha sempre ritenuto degli innesti sono veri e quindi è nato, non è stato creato.
Ho apprezzato la scelta di non fare di K il figlio di Deckard; K è soltanto uno dei tanti ingranaggi che fanno muovere la macchina degli eventi e che porteranno presumibilmente alla rivolta degli androidi.
Nonostante le sue aspettative e i suoi desideri di essere speciale vengano infranti, K trova comunque uno scopo e in questo senso Blade Runner 2049 si può dire autoconclusivo. IL protagonista trova la sua, inaspettata, fine in mezzo alla neve purificatrice.
2.4 Conclusioni
Insisto dicendo che è troppo presto per dare un giudizio a Blade Runner 2049. È un film che necessita più visioni e del tempo per metabolizzarlo.
Non è esente da difetti, uno su tutti il voler per forza lasciare aperte delle strade per eventuali sequel. È vero, anche il primo Blade Runner aveva un finale aperto ma totalmente autoconclusivo. La sensazione che lascia il finale del film di Villeneuve, che comunque per molti versi, come abbiamo visto, è conclusivo, è quella di voler creare un franchise. E in effetti le intenzioni di Scott sarebbero proprio queste: creare un universo espanso a partire dal film del 1982. Lo dimostrano, tra le altre cose, i tre cortometraggi usciti prima del film, pratica a cui Scott già ci aveva abituati con la saga di Alien.
Nonostante ciò Villeneve è riuscito a fare un ottimo lavoro, dando vita a un seguito degno del nome che porta, nonché uno dei film di fantascienza più interessanti e stratificati degli ultimi anni.
Il ritmo è giustamente lento, l’azione è ridotta ai minimi termini e già questo per un prodotto costato così tanto è qualcosa di notevole e uno dei probabili motivi dell’insuccesso del film, insieme al fatto di non essere riusciti a creare un “evento cinematografico” attorno all’uscita di Blade Runner 2049 come è stato invece fatto, ad esempio, per il nuovo IT, un grandissimo successo commerciale.
A questo va aggiunto il fatto che Villeneuve e compagnia non hanno cercato di vincere facile scadendo in fastidiosi sentimentalismi. Non c’è un vero e proprio crescendo del pathos e lo stesso finale è molto pacato ma a parere mio questo non può essere visto come un difetto ma anzi come uno dei pregi maggiori.
C’è chi ha scomodato i grandi della fantascienza filosofica come Kubrick[32] e Tarkovskij[33]; può sembrare eccessivo e probabilmente Blade Runner 2049 non resterà nella storia del Cinema come i capolavori dei due registi, tuttavia è vero che si sentono gli echi della grande fantascienza del passato, specialmente del Solaris[34] di Tarkovskij.
Parlare di dati oggettivi è ancora impossibile, si possono soltanto dare opinioni personali e questa è la mia: Blade Runner 2049 è un grande film di fantascienza che non si rifà al passato ma è figlio dei nostri tempi, in un periodo in cui il revival degli ’80 va per la maggiore.
È un film difficile che richiede tempo, probabilmente a primo impatto lascerà interdetti perché non rispetta le aspettative.
Basterebbe solo il modo in cui è stata trattata la questione Deckard, la cui natura resta ambigua, per elevare la pellicola rispetto alla media. Un grande tocco di classe l’uso di parole che possono adattarsi a entrambe le possibilità, come “ritirato”, “creato” e via dicendo.
Infine penso sia un film molto personale, sia per Villeneuve che per Scott, non una mera operazione commerciale, è tutto ciò che non è stato il remake di Ghost in the Shell.
Villeneuve conferma di essere uno dei pochi registi ad Hollywood in grado di portare avanti un modo diverso di approcciarsi alle grandi produzioni, senza rinunciare alla propria idea di Cinema, mentre Scott di saper trattare la fantascienza e i temi di cui si è parlato fino ad ora come pochi altri hanno saputo fare negli ultimi anni.
– Tomàs Avila
Quanto può essere difficile parlare di una pellicola che si presenta in quanto sequel di Blade Runner? In molti erano d’accordo fin dal principio con il fatto che un seguito del cult di Scott fosse alla stregua di un’eresia. Diciamolo, poteva andare molto peggio e soprattutto, il progetto poteva essere preso in mano da qualcuno che non fosse Denis Villeneuve.
Se, come abbiamo già detto, Blade Runner 2049 risulta essere una perfetta sintesi fra i due, il sentimentalismo (mai facile, né gratuito, è bene specificarlo) è tutta opera di Villeneuve: dal finale, ai numerosi riferimenti ad Arrival, dal rapporto fra Joi e K, fino a quell’intermezzo meraviglioso in cui Deckard e K decidono di mettere fine al loro conflitto grazie a “Can’t help falling in love with you” di Elvis.
Tuttavia è pur vero che il film presenta anche dei difetti: dalla trama troppo arzigogolata (opera degli stessi sceneggiatori di Prometheus e non c’è altro da aggiungere) alla costruzione del background dei personaggi, per i quali risulta piuttosto difficile affezionarsene a causa di una strana aura di distacco che permea per tutto il film; l’unico rapporto, seppure non particolarmente approfondito, per cui si può provare un minimo di empatia sembra essere quello fra Joi e K.
Le ispirazioni, in questo caso, sono molteplici ma fra tutte pare palese ed esplicito il riferimento ad Her di Spike Jonze: la Samantha in questione, Joi, è infatti un ologramma che incarna la compagna ideale, la dream girl di Total Recall[35], colei che spinge K ad intraprendere la strada per conoscere sè stesso.
Sul finale, la gigantografia della pubblicità in movimento del software chiamato appunto Joi “Everything you want to hear. Everything you want to see.” rende chiaro a K, alias Jon come l’aveva ribattezzato la stessa, che il suo rapporto virtuale era nient’altro che la stessa menzogna crudele che si nascondeva dietro alla voce seducente di Samantha in Her, qualcosa che, seppur si sforzasse di apparire il più reale possibile, si trattava pur sempre di un prodotto di massa che stava probabilmente comunicando simultaneamente con altri 50,000 acquirenti.
Tuttavia, rimane un dubbio.
A differenza di Her, il punto d’incontro fra i due sta nel fatto che questa volta entrambi non sono umani, sono un prodotto dell’uomo, seppur differente, che si dichiarano affetto reciproco.
Di conseguenza ciò che rimane di reale può essere solo il sentimento: Joi non può fisicamente esistere, tuttavia esprime i propri sentimenti alla stregua di un umano o di un replicante e nemmeno K, per quanto molto più simile all’uomo della stessa Joi, è del tutto umano ma prova del sincero affetto per la sua compagna.
Sostanzialmente la nostra visione del personaggio può assumere molteplici punti vista, dal più cinico al più ottimista: possiamo pensare che esista una versione di Joi, creata appositamente per K, che prova effettivamente un sentimento per lui, che è unico, e probabilmente il provare e il vivere le emozioni la rende umana quanto gli umani stessi oppure che si tratti solo di un amore artificiale che tenta di ricalcare il reale.
Le domande e le questioni che Blade Runner 2049 solleva e porta con s’è sono molteplici e sono talmente vaste che è davvero difficile pretendere di riuscire ad analizzarle tutte; Blade Runner 2049 è riuscito a toccare il suo predecessore senza rovinarlo e non era assolutamente un’impresa semplice, portando all’eccesso la ricerca del reale, trovando qualcosa di nuovo da dire senza cercare solo ed esclusivamente di sfruttare il brand.
Tuttavia la situazione del mondo dei replicanti è solo all’inizio e il finale volutamente aperto che presuppone altri sequel che, personalmente, spero di non vedere mai realizzati.
A parer mio Blade Runner 2049 poteva essere un capolavoro; com’era prevedibile non può esserlo – ma solo per adesso – in quanto figlio di Blade Runner del 1982.
– Molly Jensen
Articolo scritto da: Tomàs Avila e Molly Jensen.
Note:
[1] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt2316204/?ref_=nv_sr_1 .
[2] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0000631/?ref_=tt_ov_dr .
[3] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0779524/?ref_=nv_sr_1 .
[4] Link IMDB della serie TV: http://www.imdb.com/title/tt0118346/?ref_=nm_flmg_dr_10 .
[5] Link IMDB del cortometraggio: http://www.imdb.com/title/tt2379050/?ref_=nm_flmg_dr_9 .
[6] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt4520364/?ref_=nm_flmg_dr_6 .
[7] Link IMDB dell’attore: http://www.imdb.com/name/nm0001467/?ref_=nv_sr_1 .
[8] Link IMDB dell’attore: http://www.imdb.com/name/nm1176985/?ref_=nv_sr_1 .
[9] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0913860/?ref_=nv_sr_3 .
[10] Link IMDB dell’anime: http://www.imdb.com/title/tt0213338/?ref_=nm_flmg_dr_14 .
[11] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0328832/?ref_=nm_knf_i1 .
[12] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0094625/?ref_=nv_sr_2 .
[13] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0113568/?ref_=nv_sr_2 .
[14] Link IMDB dell’anime: http://www.imdb.com/title/tt0500092/?ref_=nv_sr_1 .
[15] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0083658/?ref_=nv_sr_2 .
[16] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0083658/?ref_=nv_sr_2 .
[17] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt1392214/?ref_=nv_sr_1 .
[18] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt3397884/?ref_=nv_sr_1 .
[19] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt2543164/?ref_=nv_sr_1 .
[20] Link IMDB dello sceneggiatore: http://www.imdb.com/name/nm0266684/?ref_=nv_sr_1 .
[21] Link IMDB dello sceneggiatore: http://www.imdb.com/name/nm0338169/?ref_=ttfc_fc_wr4 .
[22] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt1255953/?ref_=nv_sr_1 .
[23] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt2316411/?ref_=nv_sr_1 .
[24] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt1219827/?ref_=nv_sr_1 .
[25] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0078748/?ref_=nv_sr_2 .
[26] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt1446714/?ref_=nv_sr_1 .
[27] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0651900/?ref_=nv_sr_1 .
[28] Link IMDB delle registe: http://www.imdb.com/name/nm0905154/?ref_=tt_ov_dr .
[29] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0133093/?ref_=nv_sr_1 .
[30] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt1798709/?ref_=nm_knf_i1 .
[31] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0005069/?ref_=nv_sr_1 .
[32] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0000040/?ref_=nv_sr_1 .
[33] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0001789/?ref_=tt_ov_dr .
[34] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0069293/?ref_=nv_sr_1 .
[35] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0100802/?ref_=nv_sr_1 .