Regia: David Leitch.
Soggetto: Antony Johnston, Sam Hart.
Sceneggiatura: Kurt Johnstad.
Musiche: Tyler Bates.
Direttore della fotografia: Jonathan Sela.
Montaggio: Elìsabet Ronaldsdóttir.
Produttore: 87Eleven, Closed on Mondays Entertainment, Denver and Delilah Productions, Film i Väst, Sierra/ Affinity, T.G.I.M. Films.
Anno: 2017.
Durata: 115’.
Paese: USA, Svezia, Germania.
Interpreti e personaggi: Charlize Theron (Lorraine Broughton), James McAvoy (David Percival), Eddie Marsan (Spyglass), John Goodman (Emmet Kurzfeld), Toby Jones (Eric Gray), Sofia Boutella (Delphine Lasalle).
Indice:
–Leitch e Stahelski
–Tra Corea del Sud e Stati Uniti
–L’amore per il cinema
1989. Lorraine Broughton, agente dell’MI6 britannico, con lividi ed ecchimosi evidenti, viene interrogata dal suo diretto superiore e da un rappresentante della CIA a proposito della sua recente missione in una Berlino ante caduta del Muro. Un agente sotto copertura era stato assassinato e gli era stata sottratta una lista contenente i nomi e i compiti di tutti gli agenti occidentali in azione. A Lorraine era stato affidato il compito di scoprire in quali mani era finita e di recuperarla prima che quanto in essa contenuto desse il via alla terza guerra mondiale. (da Mymovies)
David Leitch e Chad Stahelski hanno ufficialmente preso due strade diverse. Abbiamo già avuto modo di parlare di John Wick 2, uscito quest’anno e diretto da Stahelski che, dopo aver girato il primo episodio della saga nel 2014 insieme al suo amico Leitch, porterà avanti in solitaria il personaggio interpretato da Keanu Reeves con un terzo film previsto per il 2019.
Questo 2017 segna la divisione dei due registi che, con buona probabilità, diventeranno sempre più noti nei prossimi anni, specialmente in ambito action. È facile capire il perché: sono entrambi entrati a far parte, a tutti gli effetti, della grande macchina hollywoodiana. Stahelski, oltre alla saga di John Wick, dirigerà il remake di Highlander, mentre Leitch è già stato preso dalla Marvel, catapultato al secondo film da regista (se si esclude il primo John Wick) nel mondo dei cinecomics.
Insomma i due ex stuntman, visto il clamoroso successo commerciale del loro film d’esordio come registi, sono stati considerati immediatamente da Hollywood come delle promesse per il futuro. E come si può essere in disaccordo?
Ho già speso molte parole per John Wick 2, un film come se ne vedono pochi negli Stati Uniti, si può dire quindi che Stahelski abbia passato la prova a pieni voti. Vediamo ora se vale lo stesso per Atomica Bionda di Leitch.
Per cominciare va sottolineato il fatto che Leitch sembra aver voluto sperimentare con i cinecomic prima di lavorare per la Marvel. Atomica Bionda è tratto infatti da una graphic novel del 2012 di Antony Johnston e Sam Hart, intitolata “The Coldest City”. Già dal titolo viene sottolineato il ruolo centrale che ha la città in cui è ambientata la storia: Berlino, o meglio, la Berlino del 1989, poco prima della caduta del muro.
Un’ambientazione e un periodo storico perfetti per mettere in scena una storia di spionaggio, tra CIA, MI6, russi, doppiogiochisti e talpe. Questa è una prima fondamentale differenza rispetto a John Wick 2. Stahelski ha cercato di rendere tutto abbastanza facile e lineare, senza rinunciare però a un’ottima caratterizzazione del protagonista e del mondo che lo circonda, in particolare per quanto riguarda la società degli assassini.
Leitch ha invece optato per una storia molto intricata, da seguire con attenzione per non perdersi tra i vari colpi di scena. Una storia complicata a partire dalla struttura narrativa a flashback che ricostruisce tassello per tassello la vicenda, spesso smentendo nel giro di poco tempo ciò che si dava per assodato cinque minuti prima.
È quindi molto importante la componente da spy story, specchio del caos politico che caratterizzava la città tedesca durante la guerra fredda, che forse sta addirittura sopra a quella action.
Stilisticamente la scelta è ricaduta su un’atmosfera fumettistica, molto lontana dal realismo, dominata dalle luci al neon (sulle quali si reincontrano i lavori dei due registi che rimandano all’estetica di Refn). Sono stati inseriti molti elementi caratteristici dell’epoca, dai programmi televisivi alla rappresentazione delle sottoculture del periodo, come quella hip-hop. Ovviamente è tutto molto stilizzato ma sarebbe scorretto pretendere qualcosa di diverso da un film di questo tipo.
Nel complesso possiamo dire perciò che l’ambientazione e l’atmosfera che domina il film è convincente. Ogni tanto viene lanciato qualche spunto che potrebbe portare a discorsi più seri -sul caos politico, riguardo a quale, tra le tante parti coinvolte, sia quella giusta e quale quella dei “cattivi”- ma si capisce che non è negli interessi del regista sviluppare queste tematiche. La cosa che conta maggiormente per Leitch è il puro intrattenimento, fatto come si deve.
TRA COREA DEL SUD E STATI UNITI
Andiamo quindi a parlare della cosa migliore del film: i combattimenti. Il regista riesce decisamente a tenere testa a Leitch con dei combattimenti violenti, molto fisici e coreografati in modo incredibile.
Di recente ho parlato di The Villainess, un film coreano che ha molto in comune con Atomica Bionda: dalla protagonista femminile alla spy story, passando per i virtuosismi registici che caratterizzano le scene di combattimento.
In entrambi abbiamo dei finti piani sequenza lunghi quasi dieci minuti e quindi un’idea di continuità dell’azione, che porta a privilegiare i movimenti di macchina, che pedina costantemente i personaggi, a discapito del montaggio. Trattandosi di finti piani sequenza, in realtà, il montaggio è presente ma viene reso invisibile, sfruttando vari espedienti, esattamente come ha insegnato a fare il Maestro Alfred Hitchcock nel 1948 con Rope- Nodo alla gola.
Tra i due film però, con mia grande sorpresa, quello che convince di più è Atomica Bionda. Questo sia sul fronte narrativo, il vero punto debole di The Villainess, sia su quello dei combattimenti.
Jung Byung-gil non riesce ad evitare, in alcuni dei suoi virtuosismi registici, di rendere fin troppo caotici i combattimenti, che per altro sono estremamente pulp, con fontane di sangue al limite del parossistico, e proprio per questo meno incisivi.
I combattimenti di Atomica bionda invece sono comprensibili in ogni dettaglio, non si perde un fotogramma e inoltre, nonostante l’atmosfera fumettistica di cui ho parlato, sono estremamente brutali. I colpi ricevuti dai personaggi fanno male veramente e i corpi, nel corso del film, sono sempre più distrutti. Una fisicità che si avvicina di più a quella di The Raid, senza tuttavia raggiungere quei livelli.
Un altro punto di contatto tra i due film è il fatto che in entrambi i casi una donna sia la protagonista. Due personaggi femminili che riescono a tenere testa a orde di nemici, per lo più uomini.
La cosa interessante è la diversità dello sguardo di Leitch e quello di Byung-gil sul corpo femminile.
Il regista coreano, nonostante abbia scelto un’attrice che, oltre ad essere un’esperta di arti marziali, è stata scoperta atrtaverso un concorso di bellezza, non adotta mai uno sguardo voyeuristico sul suo corpo. Non viene mai presentata come un oggetto del desiderio, le scene di sesso sono completamente assenti e inoltre è sempre sottomessa da altri personaggi, mai completamente libera e indipendente.
Diverso è il caso di Atomica Bionda, film che è dominato dall’inizio alla fine dalla fisicità della protagonista, Charlize Theron, un personaggio che condivide con la Sook-hee di The Villainess esclusivamente la capacità di fare a botte. L’agente segreto della Theron è un personaggio determinato, consapevole della propria sensualità e che anzi spesso la sfrutta per ottenere ciò che vuole. A ciò contribuisce anche il regista che per buona parte del film è interessato ad esibire il corpo dell’attrice, inserendo anche una scena di sesso lesbo che, per quanto non sia assolutamente spinta, si parla comunque di un film che in Italia non è stato vietato neanche ai minori di 14 anni, rende abbastanza chiare le intenzioni del film.
Charlize Theron si riconferma come un’attrice particolarmente portata per film d’azione, a due anni di distanza dalla sua Furiosa di Mad Max: Fury Road.
Per concludere voglio soffermarmi su una scena di combattimento che si svolge in un cinema con alle spalle dei protagonisti uno schermo su cui viene proiettato Stalker di Andrei Tarkovsky.
A parte il fatto che visivamente la scena richiama il combattimento della Sposa contro gli 88 folli in Kill Bill vol. 1, è interessante il tentativo di Leitch di omaggiare il cinema di serie A attraverso quello di serie B, se ancora si vogliono fare distinzioni di questo tipo.
Il regista mostra il suo amore verso il cinema esattamente come ha fatto Stahelski nella scena iniziale di John Wick 2, omaggiando addirittura il cinema delle attrazioni e le doti fisiche degli attori del passato come Charlie Chaplin e Buster Keaton.
Insomma, nonostante i due registi abbiano intrapreso strade differenti, sembrano avere entrambi un’idea ben chiara di cinema come forma d’intrattenimento di qualità, in contrapposizione alla marea di prodotti americani d’azione realizzati con lo stampino, senza che ci sia un vero interesse da parte dei registi.
Leitch e Stahelski stanno alzando il livello e nonostante si possano trovare vari difetti nei loro film, una cosa è certa: ci mettono la passione che manca a molti, perché amano ciò che fanno.
E in questo periodo in cui riscuotono molto successo gli universi cinematografici condivisi, da quello pionieristico della Marvel ai tentativi della DC, fino a quello di M. Night Shyamalan, chissà se ai due verrà in mente di unire in qualche modo i due mondi.
Scritto da: Tomàs Avila.