Italian Horror Story: Dario Argento. Parte 1.

In Cinema, Dario Argento, Italian Horror Story, Martina Meschini by Martina MeschiniLeave a Comment

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INTRODUZIONE

Il 1968 è considerato un anno chiave per l’horror: il genere abbandona infatti i costumi ottocenteschi, le trame derivate dai classici della letteratura gotica, le ricostruzioni in studio e i mostri tipicamente hammeriani per lasciare spazio ad un’invasione repentina di psicopatici, serial killer e demoni che cambiano così il modo di rappresentare la paura.

Pellicole di peculiare importanza in questo periodo sono opere come Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York che segnano l’ingresso ufficiale dell’horror nelle produzioni di serie A, spingendo un pubblico sempre più ampio ad interessarsi a un genere di film che fino a quel momento era rimasto limitato a settori specifici di spettatori; qualche anno più tardi L’esorcista porterà il pubblico a doversi confrontare con lo shock dei nuovi effetti speciali, visti ormai come elemento di grande attrattiva mainstream.

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Rosemary’s Baby, Roman Polanski, 1968.

Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York ma soprattutto La notte dei morti viventi segnano una frattura radicale che vede i vecchi mostri hammeriani esautorati dalla loro centralità mitologica: da questo momento la mostruosità inizia ad incarnarsi all’interno del nucleo famigliare, nelle case delle persone e nella società stessa; l’horror diventa pervasivo e sfugge dalle categorie in cui era stato rinchiuso, contaminando altri generi e prodotti.

Nel corso del decennio le piccole produzioni horror indipendenti sono inoltre il veicolo che permette l’irruzione sulla scena di una serie di nuovi autori che si propongono di dare uno sfondo politico alle proprie vicende orrorifiche come Wes Craven, Tobe Hopper, John Carpenter e Joe Dante; questo succede soprattutto perché è diventato chiaro che il genere, quando non è solo motivo di commercio, è un’utile metafora per leggere la realtà sociale di un paese.

L’industria hollywoodiana, al contempo, si propone di inglobare l’horror con produzioni commercialmente più ambiziose che traggono i propri natali dal cinema di serie B, accogliendo il genere tra i prodotti rivolti al pubblico giovanile: emblematico il caso de Lo squalo.

Nel corso degli anni Settanta è però l’Italia ad essere una delle cinematografie di maggior innovazione, complice il successo di thriller-horror, noti all’estero come gialli, molto più realistici e cruenti negli aspetti visivi che in passato. Di peculiare importanza è stata l’opera di Dario Argento che pone in evidenza il problema dell’immagine e dello sguardo e della rappresentazione filmica; infine, l’incursione del regista nell’horror con Suspiria lo consacra definitivamente all’estero a maestro del genere.

L’importanza dell’horror italiano si spinge sino agli inizi degli anni Ottanta, quando ormai il cinema di genere in Italia, inaugurato in parte da Mario Bava, sta per giungere ormai al termine con il filone cannibalistico di Ruggero Deodato e Umberto Lenzi e il cinema estremo e splatter di Lucio Fulci.

suspiria

Suspiria, 1977.

Gli elementi che si sono cristallizzati nel corso della cinematografia horror nostrana, hanno influenzato molti aspetti del New Horror anni Settanta.
Purtroppo esiste tuttora l’esistenza di un luogo comune secondo il quale la gran parte dei film dell’orrore realizzati in Italia siano soltanto mere imitazioni di pellicole di successo statunitensi: questa semplicistica considerazione vale per alcuni precisi filoni del cinema horror come l’esorcistico o quello dedicato agli zombie.

Di fatto esiste un altro aspetto che raramente viene preso in esame e che riguarda come sia vero il contrario, ossia come il cinema horror americano abbia in più occasioni ripreso temi, elementi, personaggi, archetipi e talvolta intere sequenze da pellicole di autori italiani: come si è potuto evincere dall’opera baviana e come è ravvisabile in quella dei suoi successori più noti, quali Dario Argento e Lucio Fulci, le pellicole horror nostrane hanno, fin dal 1959, dimostrato e imposto una propria autonomia stilistica e narrativa. La dimensione estrema, lo stile visionario, il gusto del macabro, l’erotismo e l’orrore esasperato, tutti temi preponderanti della cinematografia horror italica, hanno infatti suscitato da sempre incredibile interesse ed ammirazione oltreoceano, come dimostra la grande considerazione con cui il cinema fantastico italiano è seguito da sempre all’estero, compresi i paesi anglosassoni.

Ad avvalorare questa tesi, come già precedentemente accennato, vi sono autori come Tim Burton, Quentin Tarantino e Christophe Gans che, sia nelle loro dichiarazioni che nei loro film, hanno omaggiato più volte il cinema di genere italiano; Joe Dante, in particolare, ha affermato che “lo stato attuale del film horror è uno stato che deriva dal film horror italiano”.

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Dario Argento sul set di Il gatto a nove code.

Al suo esordio nel thriller alla fine degli anni Sessanta, Dario Argento aggiorna la lezione di Mario Bava sul nuovo linguaggio dell’horror e del giallo, modernizzando il panorama cinematografico con le innovazioni tecniche e stilistiche proposte dal regista.

L’irrealismo barocco, il talento visivo e una solida tecnica, elementi tipici delle pellicole argentiane, non sono che l’ennesimo lascito dell’opera di Bava: il regista si propone di cristallizzare e codificare elementi presenti in pellicole come Sei donne per l’assassino e La ragazza che sapeva troppo, inaugurando così il filone che renderà nuovamente celebre la cinematografia horror nostrana ovvero il giallo all’italiana.

La differenza principale fra l’opera di Bava e Argento è che il primo ha dato spazio anche ad altri generi, allo stesso modo del Fulci, mentre Argento è sempre rimasto all’interno dei confini del thriller e dell’horror; questa scelta, unita al voler far coincidere la propria produzione con il suo privato, pone il regista, sin dal principio, come autore e non come semplice tecnico.

Si noti che la formazione e il retroterra di Argento differiscono rispetto a quelli di Bava o di Freda: se questi ultimi appartenevo sin da subito al mondo del cinema, ad esempio Bava si formò come direttore della fotografia, Argento proveniva invece dall’ambiente del giornalismo, in particolare della critica; ne risulta che la componente ideativa del film ha un ruolo maggiore in Argento, il quale si immedesima fin dal principio nel ruolo dell’artista tormentato, facendosi egli stesso manifesto vivente di ciò che mette su schermo. Ciò lo rende più autore che regista di genere: termina con Argento, ad esempio, l’era degli pseudonimi inglesi inaugurata da Riccardo Freda, così come il periodo dell’utilizzo di classici della letteratura trasporti su schermo.

 

INDICE DEI FILM

L’uccello dalle piume di cristallo, 1970
Il gatto a nove code, 1971
4 mosche di velluto grigio, 1971
Profondo Rosso, 1975
Suspiria, 1977
Inferno, 1980
Tenebre, 1982
Opera, 1987
Due occhi diabolici, 1990

 

L’UCCELLO DALLE PIUME DI CRISTALLO 

l'uccello dalle piume di cristalloRegia: Dario Argento.
Soggetto: Dario Argento.
Sceneggiatura: Dario Argento.
Musiche:Ennio Morricone.
Direttore della fotografia: Vittorio Storaro.
Produttore: Central Cinema Company Film, Glazier, Seda Spettacoli.
Anno: 1970.
Durata: 98’.
Paese: Italia.
Interpreti e personaggi: Tony Musante (Sam Dalmas), Suzy Kendall (Julia), Enrico Maria Salerno (ispettore Morosini), Eva Renzi (Monica Ranieri), Renato Romano (Carlo Dover).

 

L’esordio alla regia di Argento avviene nel 1970 con L’uccello dalle piume di cristallo, un giallo ricco di elementi macabri che prevedono elementi come la figura del killer in nero e i delitti fotografati con dovizia di particolari.

Uno scrittore americano, Sam Dalmas (Tony Musante), di passaggio a Roma, assiste casualmente ad un tentativo di omicidio attraverso la vetrata di una galleria d’arte: un uomo sta accoltellando una donna, Monica Ranieri (Eva Renzi). La presenza e l’intervento di Sam mettono in fuga l’individuo ma da quel momento in poi una serie di omicidi iniziano a sconvolgere la città e Sam si ritrova ad essere sospettato dalla polizia per questi orrendi delitti. Non potendo lasciare la città, Sam e la fidanzata Giulia (Suzy Kendall) si improvvisano detective mettendosi sulle tracce del killer.

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Amer, Hélène Cattet e Bruno Forzani, 2009.

Alla fine l’assassino viene smascherato a causa di un raro animale che vive nel Caucaso; fuori dal paese esiste un unico esemplare vivo, presente allo zoo di Roma e, durante le minacciose telefonate effettuate dal killer per raggirare la polizia, i versi dell’animale si udivano in sottofondo. Il misterioso killer si rivela essere la stessa Monica Ranieri, la quale soffre di un’acuta forma di schizofrenia a causa di un orrendo trauma subito da giovane.
Argento dimostra una grande abilità tecnica nell’uso del ralenti e delle soggettive, ponendo al centro della vicenda la figura dell’assassino con impermeabile, cappello e guanti neri facendone un topos narrativo ricorrente. Sia la soggettiva dal punto di vista dell’assassino che l’iconografia del maniaco stesso sono elementi che derivano dall’opera di Bava, così come la costruzione di molte inquadrature ed elementi quali le telefonate anonime da parte del killer, il testimone oculare straniero, la misoginia di fondo e la caratterizzazione macabra di chi uccide in modo efferato usando coltelli e rasoi.

 

In L’uccello dalle piume di cristallo è presente una sequenza in cui una donna sale incautamente le scale di un palazzo e viene uccisa dal maniaco a colpi di rasoio: la suddetta sequenza risulta emblematica in quanto si possono evidenziare numerosi elementi stilistici in debito con una non dissimile presente ne La ragazza che sapeva troppo; il repertorio di soluzione visive messe a punto da Bava avrà forte eco nella costruzione della messa in scena della maggior parte dei delitti del corpus argentiano.

Tenebre

Tenebre, 1982.

Si nota inoltre che Argento trae da La ragazza che sapeva troppo un importante elemento per il suo film d’esordio che rimarrà preponderante in tutte le sue produzioni, la tematica dello sguardo: la pellicola di Bava è un film sul divieto di guardare e sul voyeurismo punito e, allo stesso modo, nell’opera di Argento il senso predominante risulta essere lo sguardo ed è presente il tema del particolare che sfugge; i personaggi dei film di Argento, come la protagonista della pellicola di Bava, spesso assistono agli omicidi ma i particolari salienti per poter risolvere il caso sfuggono alla loro vista, elemento destinato a diventare il fulcro di Profondo rosso.

In Uno squillo per l’ispettore Klute (Klute, Alan J. Pakula, 1971), la soggettiva dell’assassino che spia la vittima sembra derivare direttamente dall’opera di Argento, così come in Doppio taglio (Jagged Edge, 1985), il regista Richard Marquand ne riproduce la medesima modalità della scena sopracitata nel primo omicidio; Jonathan Demme ne Il silenzio degli innocenti (The Silence of the Lambs, 1991) prende in prestito l’idea dell’animale che contribuisce ad arrivare alla scoperta del serial killer mentre in Scream 2 (1997) di Wes Craven si può notare il dettaglio dell’occhio dilatato attraverso il buco della porta. L’assassino incappucciato e vestito di nero viene ripreso da Fernando Di Leo in La bestia uccide a sangue freddo (1971).

 

 

Continua…

 

 

Scritto da: Molly Jensen.