The Splat Pack e Il New Horror americano dei 2000

In Cinema, The Splat Pack, Tomàs Avila by Tomas AvilaLeave a Comment

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Questo è il primo articolo di una serie incentrata sull’horror post 2000 nelle sue varie declinazioni e collocazioni geografiche. In questo caso mi concentrerò sui registi dello Splat Pack, dedicando più attenzione a quelli che hanno lavorato negli Stati Uniti. Farò un discorso generale, senza approfondire singoli film e autori, che verranno trattati in articoli successivi.

Indice:
Chi sono i registi dello Splat Pack?
New Horror
9/11/2001
Non solo critica sociale
Cosa resta dello Splat Pack?

 

CHI SONO I REGISTI DELLO SPLAT PACK? 

Se è vero che i film di genere, e in questo caso particolare gli horror, sono sempre stati uno specchio della società che li ha partoriti, a partire dai primissimi casi come Il dottor Caligari, passando per il New Horror degli anni ’70, a cosa si può attribuire l’ondata di violenza estrema che ha investito i cinema dai primi anni dei 2000?

Saw

Saw, James Wan, 2004.

Sono diversi gli horror che hanno innalzato il livello di violenza tollerabile nel circuito mainstream, si pensi ad esempio ai film di punta della New French Extremity, come Martyrs, A l’Intérieur o Frontiers.
In questo articolo non mi concentrerò però sul filone estremo francese ma su un gruppo di registi, per la maggior parte americani, conosciuto come Splat Pack. L’espressione è stata coniata nel 2006 dal critico della rivista Total Film Alan Jones ed è stata ripresa più volte da altri critici nel corso dello stesso anno.
Non è facile individuare con precisione questi registi e in diversi articoli sono stati fatti nomi spesso discordanti.
Jones indicò inizialmente Eli Roth, Rob Zombie, Alexandre Aja, Neil Marshall e Greg McLean, la critica Rebecca Winters Keegan, del Time, escluse dal gruppo McLean, aggiungendo invece James Wan, Leight Whannel e Darren Lynn Bousman (le menti che stanno dietro alla saga di Saw).
In seguito ai primi articoli riguardo allo Splat Pack, i nomi presi in considerazione divennero bene o male gli stessi, ovvero tutti quelli appena citati a esclusione dell’australiano Greg McLean. Sette registi quindi, due dei quali, Aja e Mashall, hanno cominciato a lavorare al di fuori del panorama statunitense, rispettivamente in Francia e Inghilterra.

cabin fever

Cabin Fever, Eli Roth, 2002.

Alcuni di questi registi hanno avuto un ruolo più importante a livello mediatico, in particolare Eli Roth: se si volesse individuare un leader dello Splat Pack, sicuramente la scelta ricadrebbe su di lui, sia perché il suo film d’esordio Cabin Fever, del 2002, può essere considerato il primo lungometraggio del gruppo, insieme a Dog Soldiers di Marshall, sia perché, tra i sette, è quello ad aver rilasciato più interviste, spiegando le motivazioni che spingevano lui e i suoi compagni a realizzare pellicole così violente.
È fondamentale sottolineare il fatto che questi registi siano amici, tutti cinefili appassionati del cinema horror del passato, e che spesso si sono aiutati tra di loro per riuscire ad eludere i limiti imposti dalla censura. Un gruppo coeso quindi, con interessi comuni e soprattutto degli scopi condivisi: “riportare dei film veramente violenti e orrorifici”[1], come ha detto Eli Roth.
Proprio a causa della violenza estrema, ai film dello Splat Pack sono state affibbiate diverse definizioni e per catalogarli sono stati creati dei neologismi quali torture porn e gorno (da “gore” e “porno”).Se la prima espressione può andare bene solo per alcuni film, come Saw e Hostel, mentre sta stretta a pellicole come The Descent e Wolf Creek, la seconda sembra più adattabile ai vari casi.

Wolf Creek

Wolf Creek, Greg McLean, 2005.

La cosa da tenere a mente è che in entrambi i casi è stata utilizzata la parola “porno” non intesa in senso sessuale ma come visione gratuita della violenza, con voyeuristici primi piani e dettagli delle varie mutilazioni, mostrando (quasi) tutto e riducendo l’utilizzo del fuori campo. Insomma, si può parlare di pornografia della violenza.
Senza dubbio non si tratta di qualcosa di nuovo, film shock come Cannibal Holocaust o i vari Guinea Pig hanno esibito una violenza ai limiti del sopportabile con largo anticipo rispetto ai sette registi. Il cambiamento fondamentale è il circuito di distribuzione. Se prima certi film avevano scarsa distribuzione e potevano essere visti solo in certi cinema di nicchia, i torture porn o gorno, insomma i film dello Splat Pack, sono rivolti ad un pubblico di massa e distribuiti quindi in un circuito mainstream. Non solo, come spiegherò meglio in seguito, in molti casi si tratta di pellicole che hanno avuto uno strepitoso successo commerciale a fronte di un budget irrisorio.

 

NEW HORROR 

Fin da subito si possono notare i parallelismi tra lo Splat Pack e il Nuovo Horror degli anni ’70. In primo luogo per il fatto di proporre qualcosa di nuovo in un panorama cinematografico non più in grado di soddisfare a pieno le esigenze del pubblico.

La notte dei morti viventi

La notte dei morti viventi, George A. Romero, 1968.

Nel 1968 uscirono due film che avrebbero cambiato per sempre le sorti del genere horror, sia per quanto riguarda le produzioni delle Major che quelle indipendenti. Si tratta di La notte dei morti viventi, di Romero, e Rosemary’s Baby, di Polanski, film molto diversi ma con un obiettivo comune: portare l’orrore nel presente, nelle città e nella provincia americana. Non più i mostri della Universal e i castelli lontani e isolati, tipici degli horror gotici, ma un orrore più vicino e reale, al passo con i tempi, che avrebbe raggiunto apici di crudeltà e violenza mai toccati prima con capolavori quale The Texas Chainsaw Massacre.
Il contesto in cui si sono introdotti i registi dello Splat Pack era simile: dopo anni e anni di slasher adoloscenziali in stile Venerdì 13, nel 1996 uscì Scream di Wes Craven, uno degli iniziatori del genere con Nightmare. La saga di Scream, in particolare il primo film, è una sorta di pietra tombale del genere slasher, una parodia metacinematografica che riflette sui limiti degli innumerevoli film del filone, fatti con lo stampino, senza guizzi di creatività né l’intenzione di spaventare veramente come erano riusciti a fare i registi del New Horror.
Un periodo di crisi per il cinema horror americano, come dimostrano anche i vari remake di ghost story giapponesi: The Ring, The Grudge, Dark Water, tutti PG-13 per riuscire ad arrivare a un pubblico il più vasto possibile, a scapito ovviamente della violenza e del vero orrore.
Questa era la situazione e si spiega quindi lo scalpore che fecero i registi dello Splat Pack, un vero e proprio fulmine a ciel sereno che sconvolse il panorama cinematografico da più punti di vista.

Rosemary's Baby

Rosemary’s Baby, Roman Polanski, 1968,

In primo luogo va sottolineato il fatto che tutti questi film sono caratterizzati da budget modesti, al di sotto dei 10 milioni di dollari, e che sono stati distribuiti in America dalla Lionsgate, il più grande dei mini-major studios, che ha distribuito alcuni dei grandi successi commerciali degli ultimi anni. L’idea dei registi dello Splat Pack era in sostanza quella di tornare a fare un tipo cinema horror che non fosse più vincolato ai limiti imposti dal PG-13. Il basso budget permetteva di osare e spingersi oltre sia in termini di violenza che di sesso, i due elementi principalmente colpiti dalla censura.
Ovviamente i sette registi ebbero diversi problemi con la MPAA e proprio in questi casi si può notare il loro spirito di collaborazione. Un caso abbastanza noto è quello di Zombie che venne in aiuto a Bousman per Saw III, film che rischiava di essere classificato come NC-17 (nessuno sotto i 17 anni può entrare).
Zombie aveva avuto problemi simili l’anno precedente con il suo La casa del diavolo e consigliò a Bousman di parlare personalmente alla commissione per spiegare il senso delle scene violente.
Come ha spiegato Bousman: “Solo un regista può dire con eloquenza perché qualcuno sta venendo torturato o massacrato. Non è solo sfruttamento per lucrare. Prendi per esempio la scena di una donna nuda che viene torturata. La commissione dei censori vede soltanto tortura e nudità, non vedono la cruda emozione. Io, come regista, posso spiegare questa cosa. Alla fine, hanno accettato”[2].
Bisogna considerare ovviamente che, come successo con la Nuova Hollywood, la distribuzione di questi film è stata dettata soprattutto da ragioni commerciali. Perché rischiare problemi con la censura e articoli di protesta da parte dei critici che non riuscivano a giustificare un’esibizione della violenza considerata pornografica?

Scream

Scream, Wes Craven, 1996.

Perché, come già detto, molti di questi film si sono rivelati delle miniere d’oro. I primi due Hostel o la saga di Saw, che non a caso è stata riavviata proprio quest’anno, hanno incassato delle cifre enormi se paragonate ai costi di produzione. I guadagni sono stati incrementati ulteriormente dal mercato home video che in quegli anni stava prendendo sempre più piede. Vennero spesso rilasciate più edizioni dello stesso film, a distanza di poco tempo l’una dall’altra, contenenti diversi contenuti speciali come interviste al regista, commenti audio al film, making of e via dicendo.
Questi conenuti extra divennero di fondamentale importanza, soprattutto perché i registi riuscivano a spiegare al pubblico le loro intenzioni e i sottotesti politico-sociali che avevano tentato di inserire nei film.
Si può dire che, grazie soprattutto alle varie dichiarazioni di Eli Roth e Alexandre Aja, si venne a creare un’immagine ben precisa di questi registi, visti come dei ribelli verso il sistema hollywoodiano, una nuova generazione di ragazzacci che prendevano ispirazione proprio dai (ormai non più) ragazzacci della Nuova Hollywood.
Tornò ad essere fondamentale il ruolo del regista, del creatore del film, non più un mestierante ma un autore, la vera star che andava ad oscurare gli attori.
Una nuova generazione di registi contro che se ne fregavano della censura e facevano ciò che volevano.

Questa l’immagine pubblica del gruppo, le cose però, in realtà, non sono così semplici.
Se la volontà dello Splat Pack di commentare i propri tempi è palese, è anche vero che si tratta di registi che hanno operato all’interno del sistema cinematografico Hollywoodiano. Spesso con produzioni indipendenti e una distribuzione affidata alla Lionsgate, quindi al di fuori delle major, con varie eccezioni come Le colline hanno gli occhi distribuito dalla Fox, Dead Silence distribuito dalla Universal e via dicendo, ma sempre in un contesto mainstream.

The RIng

The Ring, Gore Verbinski, 2002.

Ancora una volta torna alla mente la Nuova Hollywood: le grandi case produttrici si accorsero dei cambiamenti dei gusti del pubblico che si era stancato di vedere sempre gli stessi film realizzati in studio e che era attratto da produzioni molto meno costose e più vicine al realismo del cinema verite, come per esempio Easy Rider. Quella che può essere intesa soltanto come una rivoluzione in campo cinematografico, come un ribellarsi al cinema dei propri padri, in realtà deve essere inquadrato in un’ottica che non può tralasciare la componente economica. Il cinema è prima di tutto un’industria e lo scopo di un film è incassare.
Allo stesso modo, lo scossone che lo Splat Pack diede al cinema horror è stato assecondato dalle case distributrici per via delle richieste del pubblico. In parole povere: se i vari Saw e Hostel fossero stati dei fallimenti al botteghino, non sarebbe stata data tutta questa importanza allo Splat Pack e i sette registi non avrebbero avuto modo di continuare a realizzare film di quel genere.

Come ho spiegato, i film dello Splat Pack hanno saputo rispondere a delle esigenze di mercato ben precise.
La domanda che sorge spontanea a questo punto è: perché il pubblico era interessato a un’esibizione voyeuristica della violenza, a vedere efferate torture che, col passare del tempo, divennero il principale interesse di diversi film?

 

9/11/2001 

Ho già avuto modo di scrivere qualcosa riguardo alle conseguenze, in campo cinematografico, dell’11 settembre, nell’articolo su Cloverfield.
Anche lo Splat Pack può e deve essere inteso come una conseguenza dell’attentato alle torri gemelle ma anche una reazione ad altri avvenimenti degli anni Duemila.

cloverfield

In alto un fotogramma di Cloverfield, in basso una delle immagini dell’11 Settembre.

Continuando il parallelo tra New Horror e Splat Pack, se negli anni ’70 molti horror cercarono di riflettere, in modo più o meno diretto, sulla guerra in Vietnam, uno spettacolo visibile in bianco e nero sulle televisioni degli americani, nei 2000 è il conflitto in Iraq a segnare profondamente l’immaginario collettivo, insieme ovviamente allo spettro del terrorismo, ovvero la paura di un nemico invisibile che potrebbe nascondersi ovunque, potrebbe essere il vicino di casa o una persona che nella vita quotidiana appare normalissima.
Le immagini digitali dell’abbattimento delle Twin Towers si sono impresse nella mente delle persone, per via della loro spettacolarità che nessun disaster movie americano era mai riuscito a raggiungere, influenzando pesantemente il cinema di genere, portando a mockumentary/found footage come Cloverfield, tentativi di esorcizzare il trauma collettivo attraverso il genere, sostituendo l’attacco terroristico con un’invasione aliena. Per quanto riguarda i mockumentary, l’influenza dei video dell’attentato è riscontrabile anche a livello estetico, in vari espedienti come la telecamera mossa, la grana delle immagini digitali, l’esibizione del dispositivo di ripresa e via dicendo.

Sono diversi i film horror che, senza riprendere l’estetica digitale dei video amatoriali, hanno cercato di riflettere sul clima di tensione che si è venuto a creare dopo l’attentato. In modo meno diretto rispetto a Cloverfield hanno rielaborato il presente, riflettendone il clima di paura.
Anche i registi della Nuova Hollywood hanno detto la loro a riguardo, l’esempio emblematico è La terra dei morti viventi di Romero, quarto capitolo della saga degli zombi, iniziata nel 1968 con La notte dei morti viventi e continuata nel corso degli anni ’70 e ’80 con Zombi e Day of the Dead. Gli zombi di Romero sono sempre stati metafora del presente e nel caso di La terra dei morti viventi, la città in cui si sono barricati gli umani rimasti, circondata dai morti viventi pronti all’assedio, riflette il clima di terrore, la paura di un attacco del nemico che assedia l’America.
Non è stato l’unico, Wes Craven con Red Eye, che non è un horror ma un thriller, è andato a toccare la paura di volare nel post 11 settembre, Joe Dante con l’episodio Homecoming della serie Masters of Horror ha fatto tornare i soldati morti in Iraq come zombi (situazione molto simile a quella di La morte dietro la porta, dove però la guerra in questione era quella in Vietnam).

Homecoming

Homecoming, Joe Dante, 2005.

In questo contesto, tra il 2004 e il 2005 escono Saw, Hostel e Saw II, i film che hanno avviato il genere torture porn. Nonostante la definizione sia stata coniata dal critico David Edelstein in riferimento a Hostel, può essere applicata retroattivamente anche al film di James Wan, uscito l’anno precedente.
Entra in gioco un altro degli elementi chiave del conflitto in Iraq e della lotta contro al terrorismo: la tortura. Da una parte le videodecapitazioni di Al-Qaeda, dall’altra lo scandalo di Abu Ghraib del 2004, che portò alla diffusione di immagini rappresentati le torture perpetrate dai soldati americani sui prigionieri della prigione di Abu Ghraib, o il caso del campo di prigionia di Guantánamo.
Insomma la tortura diventa un argomento molto dibattuto, promossa come mezzo per ottenere informazioni fondamentali per la sicurezza nazionale, in prodotti come la serie tv 24, denunciata da film e documentari come Taxi to the dark side, Camp X-Ray e via dicendo.

“Se da un lato l’organizzazione terroristica più feroce ed efficiente del momento ha già sottratto a Hollywood il primato del kolossal catastrofico più tragico e spettacolare di tutti i tempi (l’attacco alle due Torri dell’11 settembre 2001), dall’altro, con le videodecapitazioni è riuscita a realizzare letteralmente ‘la più sanguinosa cosa mai successa di fronte a una cinepresa’, andando a intaccare un altro fortunato e storico genere hollywoodiano come l’horror, ampiamente superato, quanto a efficacia narrativa ed estetica, dalla cruda essenzialità del modello Al Qaeda”[3].
Alle videodecapitazioni, come già specificato, aggiungerei gli scandali che hanno coinvolto l’esercito americano, dando vita a una situazione molto particolare: l’eliminazione della linea di confine tra bene e male, tra vittima e carnefice. I carnefici stanno da entrambe le parti, i torturatori possono essere i soldati di AL Qaeda come quelli americani.

Abu Ghraib

Una delle più celebri foto fatte ad Abu Ghraib.

Tutto ciò lo si ritrova nei torture porn citati in precedenza. Che l’indole voyeuristica dello spettatore sia naturalmente attratta dagli spettacoli violenti è cosa nota e assodata, già nel 1903 Le bourreau turc di Méliès mostrava la macabra decapitazione di alcuni prigionieri, la violenza stessa dell’atto del riprendere con una macchina da presa sta al centro del capolavoro di Michael Powell L’occhio che uccide. Se si guarda poi agli anni ’70-’80, il tasso di violenza è cresciuto notevolmente, accompagnato dall’attrazione verso quei prodotti pubblicizzati non come film di finzione ma come riprese di fatti reali, da Slaughter- Snuff, da cui arriva il termine utilizzato per descrivere quei leggendari film in cui le persone vengono uccise veramente, a Cannibal Holocaust, arrivando poi ai Guinea Pig e molti altri. Perché però con lo Splat Pack la richiesta di scene violente si è espansa al pubblico di massa, portando nei multiplex scene di tortura estreme, prima relegate al circuito undergrond o comunque a cinema di nicchia?

Si ritorna alle videodecapitazioni, alle immagini di guerra, alle foto dei prigionieri di Abu Ghraib.
Il pubblico di massa è stato sottoposto, attraverso la televisione, i telegiornali e internet a delle immagini così violente da far sembrare la solita formula dello slasher dei ’90 e i remake PG-13 delle ghost story giapponesi dei film della Disney.
Dopo aver visto le immagini delle esecuzioni di Al Qaeda, come possono spaventare i film come Scream, che pure tra i tanti di quegli anni è uno dei migliori?
“Quelle specie di storie di fantasmi che erano popolari nei tardi ’90 – non è più abbastanza. Hanno bisogno di qualcosa di più pesante” ha detto Roth, “vogliono essere spinti al limite in cui stanno sentendo qualcosa, e stanno urlando”[4]. Gli spettatori di massa sono ormai assuefatti alla violenza, datagli in pasto quotidianamente dai media. Il regista ha spiegato come i suoi film, e quelli dei suoi amici, sono una risposta all’11 settembre, alla guerra in Iraq e all’accessibilità delle immagini violente.

Nick Berg

La videoesecuzione di Nick Berg, in seguito allo scandalo di Abu Ghraib.

Roth non è certo uno che da poche spiegazioni, ci tiene a passare non per un semplice macellaio ma per un autore che utilizza il genere per fare critica sociale, come i Maestri che lo hanno sempre ispirato. Lo Splat Pack ha dato ciò che la gente voleva e così, Hostel, nonostante le polemiche, anzi anche grazie a quelle, ha incassato più di 80 milioni di dollari a fronte di un budget di 3,8 milioni.
Tornando alla questione della tortura: sommiamo il fatto che gli spettatori siano attratti dalle immagini violente all’offuscamento della linea di confine tra carnefice e vittima, tra torturatore e torturato; il risultato sono i seminali Saw e Hostel che, in modo diverso l’uno dall’altro, hanno messo le basi e codificato le regole del torture porn. Lo spettatore è spaventato e disgustato dalle scene di tortura ma allo stesso tempo ne è affascinato e i creatori di Saw lo hanno capito, dando via via più importanza alle varie torture, sempre più macchinose e splatter. La cosa più interessante inoltre è che in Saw le torture sono “a fin di bene”, l’enigmista attraverso la violenza fisica e psicologica cerca di far apprezzare il dono della vita a tutti coloro che ne avevano dimenticato il valore. Il torturatore è quindi un semplice psicopatico o un giustiziere che non ha paura di sporcarsi le mani?
In Hostel i ricchi e i potenti possono permettersi di torturare e uccidere la gente comune, pagando fior di soldi e si intuisce che dietro alle maschere dei torturatori può esserci chiunque, gente che nella vita di tutti i giorni ha un lavoro e una famiglia normale e che quindi può si può ricollegare al concetto di nemico invisibile nascosto tra di noi.

Ora, posto il fatto che questi film sono i prodotti di un certo periodo storico, di un clima di tensione e terrore, cosa che non si può negare, bisogna chiedersi quanto siano realmente sovversivi, come li ha definiti Roth, e quanto invece siano reazionari e conservatori.

Hostel

Hostel, Eli Roth, 2005.

Come qualcuno ha fatto notare, Hostel mostra la paura dell’America verso l’altro da sé. I protagonisti che vengono rapiti e torturati sono americani bianchi e ad addescarli sono autoctoni del luogo. Cosa vera in parte, visto che le vittime non sono esclusivamente americane e che i torturatori sono di tutte le nazionalità. È vero tuttavia che tutto avviene al di fuori del territorio statunitense e che perciò la minaccia è esterna. La paura dell’altro porta a una chiusura in sé stessi, reazione in linea con il periodo di tensione post 11 Settembre.
In Saw, l’enigmista tortura seguendo dei principi etici e morali. È stanco della società in cui vive, che ha smarrito i valori a lui cari, e quindi pensa bene di arrogarsi il diritto di giudicare le persone e “aiutarle”, punendo ad esempio i tossicodipendenti, i ladri, gli approfittatori e via dicendo. La sua è una visione completamente reazionaria che può ricordare, in chiave laica, il piano del killer/fanatico religioso di Seven: punire i peccatori per ripristinare dei valori andati perduti.
Da Seven (che a sua volta molto s’ispirava a Blade Runner), e dalle immagini reali come quelle di Abu Ghraib, vengono riprese inoltre le ambientazioni degradate e fatiscenti in cui sono ambientate le storie che contribuiscono ad appesantire ulteriormente questi film, rendendoli più sporchi.

 

NON SOLO CRITICA SOCIALE 

Detto ciò, non tutti i film dello Splat Pack devono essere visti come delle metafore del periodo storico in cui sono stati girati. Certo, l’alto tasso di violenza, come abbiamo visto, è direttamente influenzato dai vari fattori evidenziati, però in molti casi non ci sono dei veri e propri tentativi di riflessione e critica sociale.
Rob Zombie ad esempio è più interessato ad omaggiare gli horror del passato e a proporre il suo circo di freaks più umani degli umani. Non vuol dire che siano film privi di profondità ma che molto probabilmente il regista era interessato ad altre cose.

La casa dei 1000 corpi

La casa dei 1000 corpi, Rob Zombie, 2003.

Quando aiutò Bousman con Saw III gli disse: “Spiega perché la violenza estrema è necessaria per raccontare la storia in un modo più socialmente responsabile”[5]. In seguito però ammise di non essere interessato ad essere “socialmente responsabile”, ma ad ottenere ciò che voleva, a fare il suo film come gli sembrava giusto. Quando riuscirò ad approfondire singolarmente questi registi, potrò spiegare meglio i loro diversi interessi.

Infine va sottolineato che, nonostante spesso lo Splat Pack sia stato limitato a questi sette registi, ce ne sono altri molto interessanti che hanno trattato tematiche sociali, ricorrendo anche alla violenza estrema: Lucky McKee, specialmente con lo splendido The Woman, James Gunn, uscito dalla Troma e finito alla Marvel, volendo Robert Rodriguez con Planet Terror.
La definizione di Splat Pack è molto variabile, a seconda delle caratteristiche che vengono considerate come fondamentali per farvi parte.
C’è chi addirittura ha considerato come requisito fondamentale la serietà dei film, in contrasto con l’alta dose di ironia degli horror post Screem. Anche in questo caso è difficile riuscire ad estendere a tutte le pellicole dei sette registi questa caratteristica. Eli Roth ha sempre infarcitole sue opere di umorismo nero e di comicità demenziale, l’umorismo (nerissimo) non manca neanche in quelle di Rob Zombie,  di Alexandre Aja e in certi capitoli della saga di Saw.

 

COSA RESTA DELLO SPLAT PACK? 

Arrivati nel 2017, si possono iniziare a tirare le somme, cercando di capire cosa sia diventato lo Splat Pack nel corso degli anni.
Anche in questo caso, è difficile fare un discorso unitario, dal momento che ogni regista ha avuto il suo percorso e che i punti di arrivo sono notevolmente distanti.

31

31, Rob Zombie, 2016.

Sicuramente si può dire che, tra tutti, Rob Zombie è stato quello con il percorso più coerente e lineare. Dopo i due, ormai cult, La casa dei mille corpi e La casa del diavolo si è dedicato al remake di Halloween di Carpenter e poi al suo seguito. Allontanatosi dalla Lionsgate, Zombie ha omaggiato uno dei maestri dell’horror, nonché uno dei principali ispiratori dello Splat Pack in generale, con due film che non sono dei semplici remake, ma delle rivisitazioni in cui Zombie ha infuso la sua poetica, realizzando delle opere in perfetta continuità con i suoi primi lavori. Con Le streghe di Salem, nel 2012, ha scatenato la sua fantasia visionaria, dando ala luce a uno dei pochi degni figli di Rosemary’s Baby. Se nei due Halloween la componente splatter era ancora molto forte, con Le streghe di Salem il regista si è concentrato su un altro tipo di orrore, più psicologico. Infine con 31 è ritornato alle atmosfere sporche e violente dei primi due film, autofinanziandosi con una campagna di crowdfunding.

James Wan è riuscito a costruire un impero, sfornando due delle saghe horror più remunerative degli ultimi anni: quella di Saw, di cui ha diretto solo il primo film, e quella di L’evocazione, arrivando addirittura a dirigere dei blockbuster come Fast and Furious 7 e Aquaman che con l’horror non hanno niente a che fare.
È interessante fare notare come Wan, con Dead Silence, Insidious e L’evocazione abbia riacceso l’interesse del pubblico verso le storie di esorcismi e fantasmi, allontanandosi dal “realismo” di Saw e dall’efferatezza delle torture che lo hanno reso celebre. Un ritorno quindi delle storie di fantasmi, verso cui il pubblico aveva perso l’interesse nei primi Duemila. Molto più vicino allo Splat Pack è invece il suo Death Sentence (2007), non un horror, bensì un revenge movie, con atmosfere che rievocano quelle dei film di genere dei ’70, e una cattiveria di fondo che resta, insieme a Saw, un’eccezione nella filmografia del regista.

The Conjuring 2

L’evocazione 2, James Wan, 2016.

Leigh Whannell, fidato collaboratore di Wan, ha curato le sceneggiature dei primi tre Saw e del videogioco tratto dalla saga, per poi seguire il suo amico, sceneggiando i vari Insidious e dirigendone il terzo capitolo.
Bousman ha diretto Saw II, II e IV, per poi darsi a una serie di musical horror e a horror soprannaturali come 11-11-11.
La saga di Saw, rilanciata quest’anno da Saw: Legacy, è andata via via perdendo le sue componenti più serie, concentrandosi di più sulle violente torture, sempre meno verosimili e quasi involontariamente comiche, facendo una fine non molto diversa dalla saga di Final Destination, ovvero diventando quasi la parodia dei suoi inizi. Motivo per cui, dal IV capitolo in poi, la saga si è allontanata molto dallo spirito dello Splat Pack.

Eli Roth, in seguito ai due Hostel, ha voluto omaggiare il Cannibal Movie, in particolare Cannibal Holocaust, con The Green Inferno, film violentissimo ma molto ironico e lontano dal vero orrore del film di Deodato.
In seguito ha girato un home invasion, Knock Knock, molto più commedia che horror e a breve uscirà il suo nuovo film, il remake de Il giustiziere della notte. Insomma Roth, per quanto la sua cifra stilistica sia riconoscibile in ognuno dei suoi film, ha alleggerito notevolmente i toni, concentrandosi sull’omaggio al cinema degli anni ’70, senza però rinunciare alla critica sociale a lui tanto cara.

Green Inferno

The Green Inferno, Eli Roth, 2013.

Anche Aja, col passare del tempo, ha moderato sempre di più la violenza, dando più spazio all’elemento comico con film quali Piranha 3D e Horns, lontanissimi dal suo Alta tensione. Si può dire che anche per Aja sia fondamentale l’omaggiare il cinema del passato, cosa che ha fatto con il remake di Le colline hanno gli occhi, del Piranha di Joe Dante e il Maniac di Lustig. Quest’ultimo, del quale Aja è stato soltanto il produttore mentre la regia è di Franck Khalfoun, è tra gli horror più interessanti ed estremi, sempre restando nel mainstream, degli ultimi anni, un ritorno alla violenza dei primi film dello Splat Pack.

Neil Marshall infine, dopo l’esordio Dog Soldiers e The Descent, ha girato Doomsday, un omaggio, più fantascientifico che horror, alle atmosfere carpenteriane di 1997: Fuga da New York, e Centurion, un film storico d’azione. È dal 2010 che non dirige più lungometraggi, dedicandosi invece a girare alcuni episodi per varie serie tv. Il suo prossimo film dovrebbe essere il reboot di Hellboy, qualificandosi come il secondo regista dello Splat Pack passato ai cinecomics, ai quali va aggiunto James Gunn che, come abbiamo visto, non è proprio parte del gruppo.

 

Cosa si può dire quindi riguardo allo Splat Pack? Che a parte poche eccezioni è andato via via a morire o, quantomeno, ad alleggerire i toni. L’esibizione della violenza estrema ha raggiunto degli apici impensabili con film come quelli della trilogia di The Human Centipede, specialmente il secondo capitolo, portando a una sorta di saturazione e a un ritorno agli horror soprannaturali, di fantasmi e possessioni demoniache.
Sono pochi ormai, per quanto riguarda gli Stati Uniti, gli horror mainstream che cercano di spingersi oltre, sia in termini di violenza che di critica sociale. Alcuni dei film americani recenti che si avvicinano a quelli dello Splat Pack sono: Leatherface, dei francesi Bustillo e Maury noti per  A L’intérieur, Scappa- Get Out, un miscuglio efficace di commedia e horror con una forte componente sociale, Man in the Dark e La notte del giudizio.
Molto probabilmente il tipo di horror descritto in questo articolo tornerà nuovamente in voga, quando si ripresenteranno le condizioni necessarie, per ora non resta che considerare i film dello Splat Pack come alcuni delle migliori pellicole d’orrore dello scorso ventennio, pur evidenziandone le contraddizioni.

 

 

Scritto da: Tomàs Avila.

 

Note:

[1] Pamela McClintock, Blood Brothers, in “Variety”, 24 dicembre 2006.

[2] Ibidem.

[3] Christian Uva, Il terrore corre sul video. Estetica della violenza dalle BR ad Al Qaeda, Rubettino,  Catanzaro 2008, p. 49.

[4] Mark de la Vina, Fresh victims for ‘Hostel’: SPLAT PACK LEADER LOVES TO HEAR THE SCREAMS, in “Tribune Business News, 7 giugno 2007.

[5] Rebecca Winsters Keegan, The Splat Pack, in “Time”, 22 ottobre 2006.