Monografia di Kim Jee-woon. Parte 4

In Cinema, Il Cinema della Corea del Sud, Kim Jee-woon, Tomàs Avila by Tomas AvilaLeave a Comment

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FILMOGRAFIA

The Quiet Family, 1998
The Foul King , 2000
Coming Out , 2001 (cortometraggio)
Three  (segmento “Memories”), 2002
Two Sisters, 2003 
A Bittersweet Life, 2005 
The Good, The Bad, The Weird, 2008 
I Saw The Devil, 2010
60 Seconds of Solitude in Year Zero, 2011
-Doomsday Book (segmento “Heaven’s Creation”), 2012
The Last Stand, 2013
-One Perfect Day, 2013 (video short)
The X, 2013 (cortometraggio)
L’impero delle ombre, 2016
Illang- Uomini e lupi, 2018

 

L’IMPERO DELLE OMBRE 

Regia: Kim Jee-woon.
Soggetto: Lee Ji-min, Park Jong-dae.
Sceneggiatura: Kim Jee-woon, Lee Ji-min, Park Jong-dae, Kathy Pilon.
Colonna sonora: Mowg.
Direttore della fotografia: Kim Ji-yong.
Produttore: Warner Bros., Grimm Pictures, Harbin.
Anno: 2016.
Durata: 140′.
Paese: Corea del Sud.
Interpreti e personaggi: Lee Byung-Hun (Jung Chae-San), Yoo Gong (Kim Woo-jin), Kang-ho Song (Lee Jung-Chool), Han Ji-min (Yun Gye-Soon).

Con qualche anno di ritardo parliamo anche noi de L’impero delle ombre, di Kim Jee-woon, regista tra i più importanti del panorama cinematografico contemporaneo della Corea del Sud e a cui, proprio per questo motivo, abbiamo dedicato una monografia.

Alla fine degli anni Venti, un periodo segnato dall’occupazione cinese della Corea, il coreano Lee Jung-chool lavora come ufficiale della polizia giapponese. A lui viene affidata la missione speciale di scoprire la Fratellanza dei Giusti e di monitorare l’operato del suo leader Kim Woo-jin. Ben presto, la Fratellanza scopre che tra le sue fila potrebbe esserci una talpa e per eludere le indagini decide di mettere a punto un viaggio a Shanghai per recuperare degli esplosivi. L’informazione però giunge agli ufficiali giapponesi, che optano per seguire lo stesso esempio. Su un treno di ritorno in Corea carico di esplosivi avverrà lo scontro finale tra le due fazioni, con conseguenze inimmaginabili. (da Filmtv)

Passati tre anni dalla prima esperienza Hollywoodiana del regista, The Last Stand- L’ultima sfida, film purtroppo molto sottovalutato, Kim torna in Corea per girare una pellicola incentrata sulla storia suo paese, sfruttando però i capitali americani messi a disposizione dalla Warner Bros che ne ha curato anche la distribuzione internazionale.
Il progetto venne annunciato dalla casa produttrice nel 2015 e si tratta del primo film in lingua coreana per la Warner, che ci ha investito più di 8 milioni e mezzo di dollari. Fin dall’inizio la regia venne affidata a Kim Jee-woon[1].

È interessante notare come molti dei più celebri registi coreani, dopo l’avventura americana, siano tornati in patria. Si pensi a Bong Joon-ho con Okja o a Park Chan-wook con The Handmaiden.
In particolare sia Park Chan-wook che Kim Jee-woon sono tornati nel 2016 con dei film in costume, ambientanti nel periodo della colonizzazione giapponese della Corea.

Questo fa ben intendere quanto possa essere ancora attuale per i coreani (che tra l’altro, non è mai superfluo ricordarlo, vivono una condizione politica molto particolare, con il paese spaccato in due parti) il periodo storico della dominazione giapponese, una ferita ancora aperta che di frequente ritorna nel cinema della Corea del Sud, spesso trasfigurato attraverso il genere. Un esempio può essere il bellissimo The Wailing di Hong Jin-na, uno dei più grandi talenti registici emersi negli ultimi anni, in cui, nonostante si tratti di un horror, uno dei temi cardine era proprio lo spettro di quegli anni e il risentimento verso i giapponesi.

Kim quindi decide di ambientare il film in un periodo storico molto delicato che, con un azzardo potremmo paragonare al ventennio fascista italiano, a causa del trauma che è rimasto impresso nella memoria collettiva. E proseguendo con il paragone, decide di rendere omaggio con L’impero delle ombre a quelli che potremmo considerare come i nostri partigiani, coloro che hanno lottato e si sono sacrificati per liberare la Corea.

Per quanto azzardato, questo paragone non è fine a sé stesso. Infatti se si considerano i vari film italiani sul tema, si nota come il modo in cui il regista ha trattato una vicenda storica molto importante e delicata, sia lontanissimo dall’approccio a cui siamo abituati il più delle volte.
Anche questa volta Kim non riesce a distaccarsi dalla logica di genere e realizza un’opera che è un miscuglio di noir, action, war movie, con addirittura degli inserti più leggeri da commedia.

Questo comporta per esempio che, seppur non siano il centro de L’impero delle ombre, tantissima attenzione sia stata rivolta alle scene d’azione, alle varie sparatorie e agli inseguimenti, girati con l’inconfondibile stile del regista che realizza, come sempre, dei complicatissimi e virtuosistici movimenti di macchina, mai superflui ma sempre legati alla narrazione e allo svolgimento dell’azione.

Sono diverse le sequenze memorabili: l’inseguimento sui tetti, lo scontro in stazione, la caccia all’uomo e la sparatoria sul treno (simbolo del progresso ma allo stesso tempo della dominazione giapponese, sotto la quale si sviluppò il sistema ferroviario coreano, prima quasi inesistente[2]).

Si percepisce chiaramente l’amore del regista per i film d’azione e di spionaggio del passato e anche lo stile registico varia in continuazione in base al genere che sta affrontando: dal dinamismo delle scene d’azione, sempre comprensibili e ottimamente coreografate, alle scene d’inseguimento e di pedinamento in cui la telecamera sembra quasi un personaggio in scena che cerca di nascondersi alla vista degli altri.

Tutto può essere riassunto in quella che è sempre stato uno dei principali punti di forza del regista. Kim non rinuncia mai all’intrattenimento, anche quando tratta tematiche di un certo spessore. Ha sempre realizzato film di genere e non ha mai nascosto la sua propensione verso questo tipo di cinema, in cerca di un qualche riconoscimento di autorialità.

È probabilmente, dei registi coreani più noti, quello più vicino alla concezione di blockbuster americano, di film d’intrattenimento per il grande pubblico, senza mai però rinunciare a quelle caratteristiche tipiche del cinema coreano contemporaneo e in particolare del suo stile sviluppatosi opera dopo opera: la violenza mai nascosta, l’umorismo grottesco, la (fin troppo esagerata) prolissità e l’ambizione.

Senza dubbio si comprendono le critiche di chi non apprezza il cinema di Kim Jee-woon ma è innegabile che con il passare degli anni abbia sviluppato un suo stile ben distinguibile anche all’interno del panorama coreano.

E ancora una volta si ritorna a dire che forse è proprio questo che servirebbe in Italia, il coraggio di ritornare al genere, anche per raccontare delle storie non necessariamente ad esso connesse, anche per raccontare, come in questo caso, la Storia della propria nazione.

 

 

ILLANG- UOMINI E LUPI 

Regia: Kim Jee-woon.
Soggetto: dal film animato Jin-Roh: Uomini e lupi di Hiroyuki Okiura.
Sceneggiatura: Kim Jee-woon.
Colonna sonora: Mowg.
Direttore della fotografia: Lee mo-gae.
Montaggio: Yang Jin-mo.
Produttore: Lewis Pictures.
Anno: 2018.
Durata: 139′.
Paese: Corea del Sud.
Interpreti e personaggi: Gang Dong-won (Joong-kyung), Han Hyo-joo (Lee Yoon-hee), Jung Woo-sung (Jang Jin-tae), Kim Mu-yeol (Han Sang-woo).

Torna Kim Jee-woon, regista di film di culto come I Saw the Devil e A Bittersweet Life, questa volta con un film distribuito in Italia direttamente su Netflix: Illang- Uomini e Lupi.

Nel 2029, dopo che i governi della Corea del Nord e della Corea del Sud hanno annunciato un piano quinquennale per la riunificazione del paese, forti sanzioni da parte delle nazioni più potenti del mondo hanno paralizzato l’economia e portato a un periodo di caos infernale. Con la comparsa di un gruppo terroristico armato che, chiamato “la Setta”, si oppone alla riunificazione, il Presidente crea una nuova divisione di polizia denominata Unità Speciale, che con il tempo accumula un significativo potere politico. Tuttavia, il servizio di Intelligence di Pubblica Sicurezza, che vede diminuire la propria influenza, pianifica un complotto per annientare l’Unità Speciale. In mezzo alla sanguinosa faida tra le due potentissime istituzioni, si diffonde la notizia della creazione di una brigata, formatasi in segreto all’interno dell’Unità Speciale, i cui componenti – vere e proprie armi umane – sono chiamati Lupi. (da Filmtv)

data:text/mce-internal,content,%3Cimg%20class%3D%22%20wp-image-4937%20alignright%22%20src%3D%22http%3A//scheggedivetro.org/wp-content/uploads/2018/11/Illang-2--720x300.png%22%20alt%3D%22%22%20width%3D%22480%22%20height%3D%22200%22%20/%3EKim, reduce del grande successo di L’impero delle ombre, che nel 2016 aveva incassato intorno ai 55 milioni di dollari contro a un budget di appena 8 milioni e mezzo, si imbarca in un progetto estremamente ambizioso e complesso: l’adattamento live action di Jin-Roh: The Wolf Brigade, tratto a sua volta dai manga della Kerberos saga, del grande Mamoru Oshii,  che già aveva dato vita a due live action giapponesi, rispettivamente nel 1987 e nel 1991.
Nonostante questa volta alla produzione non sia la Warner, come era stato invece con L’impero delle Ombre, il budget stimato è di circa 17 milioni di dollari, in un’ottica coreana un vero e proprio kolossal.

Kim, qui anche in veste di sceneggiatore, cambia subito la collocazione spaziale e temporale del manga di Oshii, che era ambientato in un ucronico Giappone degli anni ’50 sotto il dominio dei tedeschi.
Illang- Uomini e lupi è invece ambientato in un futuro distopico, nel 2029, in Corea. In particolare in un momento in cui la riunificazione delle due Coree viene interrotta da un gruppo terroristico.

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Da questo punto di vista acquista più significato il finale del film in cui, dopo aver sentito da un notiziario che è ricominciato il processo di riunificazione delle due Coree, viene mostrato un cartellone che riporta una citazione dello storico polacco Lewis Namier: “immagina il passato e ricorda il futuro”.

Chiusa questa breve parentesi, dispiace dover dire che quest’ultima opera di Kim Jee-woon si è rivelata una delusione, una grande occasione sprecata, come si può anche intendere dal clamoroso flop domestico e apparentemente anche estero.
Kim ha voluto osare ma il risultato è un film che non riesce ad andare da nessuna parte, continuando ad offrire degli spunti interessanti che però restano sempre sullo sfondo o vengono abbandonati.
Viene ripresa ad esempio la favola di Cappuccetto Rosso, in relazione all’unità speciale dei Lupi, come del resto avveniva anche nell’opera di Oshii. Tuttavia qui sembra un riferimento inserito a forza, citato anche apertamente da uno dei personaggi e motivato più da un punto di vista estetico (la ragazza vestita di rosso in contrasto con tutti i manifestanti vestiti di nero) che narrativo.

illang- uomini e lupiDopo un incipit convincente che faceva ben presagire, con delle ambientazioni sci-fi di altissimo livello, la fantascienza cede il passo al thriller di spionaggio e all’action, generi prediletti del regista.
Si moltiplicano i personaggi e gli intrighi, tra doppiogiochisti e colpi di scena che ribaltano continuamente la situazione, portandoci a non poterci fidare di nessuno.

Nonostante ciò il film procede molto lentamente, anche a causa dei 139 minuti di durata, riprendendosi soltanto nelle scene d’azione.
Va infatti dato il merito a Kim di aver girato, come sempre, delle scene d’azione notevoli e questa volta, con più soldi a disposizione, si nota un impegno ancora maggiore nella loro realizzazione. In particolare tutta la sequenza del combattimento sulla Seoul Tower, che cita anche Die Hard di John McTiernan, è veramente memorabile.

Si capisce quanto il regista sia adatto a questo genere di film, non a caso la sua unica opera completamente statunitense, The Last Stand- L’ultima sfida, era un action.
illang- uomini e lupiKim si ispira all’impianto del blockbuster americano ed è forse per eccellenza, dei registi coreani della sua generazione, quello che si avvicina a questo modo di fare cinema “in grande”, con le dovute differenze.
Su tutte la violenza tipica del regista, qui più contenuta rispetta a film come I Saw the Devil ma comunque molto più presente ed esibita che nei blockbuster americani.

Le tematiche più serie come il cameratismo tra i Lupi, i giochi di potere tra politici, polizia e squadre speciali, la redenzione e via dicendo passano tutte in secondo piano, il che non sarebbe un male se tutto il film si fosse mantenuto sul livello delle ottime scene d’azione.
E dispiace anche che il film non funzioni nonostante il comparto tecnico di grandissima qualità: dalla fotografia di Lee Mo-gae, al montaggio di Yang Jin-mo, arrivando ovviamente alla regia di Kim Jee-woon.

Una grande occasione sprecata che fa rimpiangere le altre opere di Kim. Speriamo che riesca a regalarci in futuro delle altre perle e che non si perda in prodotti mediocri come questo Illang- Uomini e Lupi.

 

Scritto da: Tomàs Avila.

 

 

Note:

[1] https://en.wikipedia.org/wiki/The_Age_of_Shadows#cite_note-Aug2015Variety-11

[2] https://en.wikipedia.org/wiki/File:Railway_in_Korea_under_Japanese_rule.svg