Indice:
–Introduzione
–Che cos’è lo split diopter shot
–La profondità di campo nella storia del cinema
–Storia dello split diopter shot
–L’avvento del digitale
–Esempi di split diopter shot
Uno dei cavalli di battaglia di molte pubblicità di smartphone di ultima generazione e di videocamere digitali è la capacità di questi apparecchi di mettere a fuoco un soggetto, mantenendo lo sfondo sfocato. È il cosiddetto effetto Bokeh (Im. 1), tanto apprezzato e tanto ricercato dai videomaker amatoriali.
Questo perché il bokeh viene identificato come una delle caratteristiche peculiari dell’estetica cinematografica.
E in effetti è tipico del linguaggio cinematografico, dividere in questo modo i vari piani all’interno di un’inquadratura, permettendo così di narrare attraverso l’immagine.
Un’inquadratura di un primo piano con lo sfondo sfocato cerca, inequivocabilmente, di indirizzare l’attenzione dello spettatore verso il volto dell’attore. Viceversa se vediamo in primo piano un personaggio fuori fuoco e lo sfondo a fuoco, vuol dire che il regista sta cercando di veicolare la nostra attenzione sul paesaggio e su ciò che probabilmente accadrà sullo sfondo.
Questo effetto è diventato un po’ più problematico da ottenere col digitale, specialmente nei primi anni del suo utilizzo. Caratteristica intrinseca del video digitale è infatti quella di permettere una profondità di campo molto maggiore rispetto a quella che si poteva ottenere con la pellicola, effetto che da molti è stato considerato anti-cinematografico, perché più legato all’ambito del video, e che invece ha ispirato le sperimentazioni estetiche di autori come Michael Mann.
Molti appassionati del bokeh si dimenticano che era impossibile ottenere con la pellicola ciò che ha permesso di fare il digitale e che, nel corso del ‘900, c’è stata una continua ricerca della profondità di campo, in principio totalmente impossibile da ottenere e in seguito in parte raggiungibile, grazie a nuovi tipi di pellicola più sensibili alla luce e a strumenti come la stampante ottica, che permettevano di dividere il fotogramma in parti diverse e di fare una specie di collage (compositing[1]) di due fotogrammi con differenti messe a fuoco.
Indubbiamente, parlando di profondità di campo, il caposaldo imprescindibile è Orson Welles e il suo capolavoro Quarto potere, un vero e proprio manuale di gran parte delle tecniche cinematografiche che ormai siamo abituati a vedere in ogni film.
In Quarto potere troviamo tutto: la profondità di campo estrema, le inquadrature realizzate con la stampante ottica e pure una sorta di progenitore della tecnica sulla quale si concentra questo articolo: lo split diopter shot.
CHE COS’È LO SPLIT DIOPTER SHOT
Veniamo subito al dunque, lo split diopter shot è un tipo di inquadratura molto particolare, già utilizzato negli anni ’60 ma che spopolò tra gli anni ’70 e ’80 grazie a diversi autori, su tutti Brian de Palma, che ne fece uno dei tratti distintivi della sua estetica.
Lo split diopter shot si ottiene con una particolare lente, chiamata appunto split diopter, che ha la peculiare caratteristica di non essere intera ma di essere a metà (Im. 2).
La lente, posta davanti all’obiettivo della macchina da presa (Im. 3), permette di far variare la profondità di campo di metà inquadratura, riuscendo a mettere a fuoco in una metà un soggetto molto distante e nell’altra un soggetto molto vicino (Im. 4).
Un risultato che potrebbe sembrare vicino a quello ottenuto da Welles con la stampante ottica ma che in realtà è caratterizzato dal fatto di rendere l’inquadratura visibilmente divisa in due parti con un effetto disorientante che rende lo sfondo sfocato nella parte dell’inquadratura modificata dalla (metà) lente e a fuoco nella parte vuota.
Il vantaggio di usare lenti split diopter era quello di riuscire a ottenere un effetto simile alla profondità di campo con una necessità di luce molto inferiore. Gli svantaggi erano diversi, tra i quali la difficoltà di cambiare la messa a fuoco all’interno della stessa inquadratura e di compiere dei movimenti di macchina.
Nonostante oggi non sia più necessario, continuiamo a vedere questo tipo di inquadratura in diversi film, cerchiamo di capire il perché.
Prima però è necessario ripercorrere brevemente la storia della profondità di campo e dello split diopter.
LA PROFONDITÀ DI CAMPO NELLA STORIA DEL CINEMA
La profondità di campo accompagna il cinema dai suoi inizi. Non è raro, nei film muti, imbattersi in inquadrature in cui sono messi a fuoco diversi piani contemporaneamente. Ne vediamo un esempio in Nosferatu di Murnau del 1922 (Im. 5, Im. 6 e Im. 7).
I fattori che principalmente influiscono sulla profondità di campo sono la luminosità delle lenti, una gran quantità di luce artificiale e la sensibilità delle pellicole.
Come ben saprà chi è appassionato di fotografia, per mettere a fuoco tutti gli elementi dell’inquadratura, bisogna chiudere il diaframma, il che riduce la quantità di luce che andrà a imprimere la pellicola.
Con l’avvento del sonoro (che si fa risalvire tradizionalmente al 1927 con Il cantante di jazz), divenne complicato utilizzare molte delle luci impiegate nel periodo del cinema muto, perché producevano un forte rumore che disturbava la registrazione dell’audio.
Nonostante ciò, ci volle poco tempo perché alcuni registi decidessero di riprendere a mettere a fuoco più piani contemporaneamente.
Registi come Jean Renoir e Orson Welles ricorsero a diverse tecniche per dare profondità alle inquadrature.
In particolare ci interessa il caso di Welles e Quarto Potere.
Il regista e il direttore della fotografia Gregg Toland utilizzarono svariate tecniche per dare profondità, dal vero deep focus (Im. 8, Im.9) a inquadrature composte da più parti assemblate con la stampante ottica (Im. 10).
In particolare, un’inqudratura fa al caso nostro, perché potrebbe essere il primo esempio di split diopter shot (Im. 11).
A differenza di inquadrature come questa, in cui ogni elemento della scena è a fuoco, in questo caso possiamo notare che lo sfondo, alle spalle di Welles, è fuori fuoco, ma sul lato destro dell’inquadratura invece è a fuoco.
Che sia un’inquadratura composta o il primo split diopter shot non è certo, tuttavia presenta la caratteristica tipica dello split diopter, ovvero la divisione netta dell’inquadratura in due parti con la differenza di fuoco.
Per comprendere bene la differenza tra lo split diopter shot e il deep focus, può essere utile introdurre un’altra tecnica cinematografica: il racking focus.
Sviluppato dal regista Richard Rush negli anni ’60, il racking focus consiste in un cambio di focale all’interno della stessa inquadratura, in modo da far cambiare il focus attentivo da un elemento in primo piano a uno sullo sfondo, o viceversa.
Sono innumerevoli gli esempi, notevole è l’uso che ne ha fatto Quentin Tarantino in questa scena di The Hateful8:
Il cambio di messa a fuoco e il lento movimento di macchina (una carrellata unita a una panoramica) permettono allo spettatore di adottare il punto di vista del personaggio interpretato da Jennifer Jason Leigh, che tiene d’occhio i movimenti degli altri personaggi sullo sfondo.
Lo split diopter shot, anziché spostare l’attenzione da un soggetto all’altro, mette a fuoco entrambi contemporaneamente, senza però mettere a fuoco ogni elemento della scena. In questo modo l’attenzione si concentra sui due soggetti più che su tutta l’inquadratura, cosa che avviene invece nel caso del deep focus.
Sempre da The Hateful Eight, possiamo vedere questo esempio di split diopter shot(Im. 12):
STORIA DELLO SPLIT DIOPTER SHOT
Torniamo alla storia dello split diopter.
Fatta eccezione per Quarto Potere, del 1941, per vedere al cinema inquadrature di questo tipo bisogna aspettare l’inizio degli anni ’60, con film come Quelle due di William Wyler, Il re dei re di Nicholas Ray, El Cid di Anthony Mann, tutti e tre del 1961.
L’anno seguente è il turno dell’Italia, con Il figlio di Spartacus di Sergio Corbucci.
Una menzione a parte la merita Gli invasati (Im. 13), uno dei capolavori dell’horror, diretto da Robert Wise.
Wise era stato il montatore di Quarto potere di Welles e deve essere rimasto affascinato dal deep focus e gli altri espedienti impiegati dal regista per dare profondità alle immagini. Non a caso Wise, dopo Gli invasati, con il film di fantascienza Andromeda del 1971, realizzerà uno dei film con il maggior numero di split diopter shot[2], a quanto pare 206 in totale. Ne possiamo vedere alcuni in questo video:
Andromeda contiene inoltre dei doppi split diopter shots (Im. 14) che dividono l’inquadratura in tre sezioni con differenti messe a fuoco. Wise ritornerà a utilizzare più volte la tecnica in film come Hindenburg e Star Trek.
Arriviamo così agli anni ’70. Nel decennio della New Hollywood, la tecnica dello split diopter è stata ampiamente utilizzata da diversi registi che poi hanno continuato a impiegarla anche nei decenni successivi. È il caso di Martin Scorsese, Sydney Pollack, Clint Eastwood, Michael Cimino, Roman Polanski, Steven Spielberg (celebre l’utilizzo che ne ha fatto ne Lo squalo, come vedremo più avanti), Alan J. Pakula (sul quale ritorneremo tra poco), John Carpenter, Walter Hill, Franklin J. Schaffner, Richard Fleischer e molti altri.
Tra i registi nominati fino a ora manca ovviamente Brian de Palma, probabilmente il regista ha fatto un uso più assiduo dello split diopter shot, tanto da farlo diventare uno dei tratti caratteristici della sua inconfondibile estetica, contraddistinta da qualsiasi tipo di virtuosismo registico.
Una menzione la merita in particolare Blow Out, in cui troviamo alcuni tra i più bei split diopter shot, che approfondiremo in seguito.
Anche registi delle generazioni successive, quelli che hanno iniziato a fare film tra gli anni ’80 e ’90, hanno utilizzato la tecnica dello split diopter, che sia a fini narrativi o per semplice citazionismo postmoderno dei (ormai) classici degli anni ’60 e ’70.
In particolare ne fa un abbondante utilizzo Quentin Tarantino: quasi in ogni suo film ne troviamo almeno uno (Im. 15, Im. 16, Im. 17, Im. 18, Im. 19, Im. 20 e Im. 21).
Non mancano, nel corso dei 2000, i casi di split diopter in serie televisive, da The West Wing- Tutti gli uomini del presidente a Louie.
Con l’avvento del digitale, i problemi di sensibilità della pellicola sono stati in gran parte superati, e con questi i limiti imposti alla profondità di campo. Registi come Michael Mann, che in passato furono costretti a utilizzare tecnice di compositing per ottenere certe specifiche inquadrature, come questa tratta da Heat- La sfida (Im. 22), realizzata con un green screen posto di fronte agli attori, al quale è poi stato sostituita in post produzione la città che vediamo sullo sfondo.
Grazie alle macchine da presa digitali, inquadrature analoghe sono state rese possibili senza il ricorso al compositing, come vediamo in questi fotogrammi tratti da Collateral (Im. 23) e Miami Vice (Im. 24).
Tuttavia, lo split diopter shot è una delle tecniche che tuttora vediamo impiegate in vari film, nonostante sia nata per superare i limiti intrinseci della pellicola.
Come ho già sottolineato, sicuramente in parte ciò è dovuto al citazionismo dell’estetica tipica degli anni ’70, non è un caso che alcuni dei recenti film in cui sono presenti split diopter shot siano stati girati in pellicola. È il caso dei film di Tarantino o del recentissimo Suspiria di Luca Guadagnino (Im. 25).
Ritroviamo però inquadrature di questo tipo anche in film girati in digitale, come Allegiant, Slow West, fino ad arrivare a due film del 2019: Us di Jordan Peele (Im. 26) e The Perfection, da poco rilasciato su Netflix.
Il motivo dovrebbe già essere chiaro da quanto detto precedentemente: a differenza di casi come quello di Heat- La sfida, in cui il digitale può essere considerato un miglioramento di quanto era possibile fare in precedenza, gli split diopter shot rimangono ancora unici per la loro caratteristica peculiare di dividere in due parti l’inquadratura, concentrando l’attenzione esclusivamente sui due soggetti messi a fuoco, e provocando sullo spettatore un effetto destabilizzante, proprio per la loro innaturalità.
Arrivati al termine di questo breve excursus riguardo allo split diopter, vediamo in particolare alcuni degli esempi più celebri e degni di nota.
–The Perfection, di Richard Shepard, 2018: partiamo con l’esempio più recente. Nonostante il film, a differenza degli altri esempi citati, non sia particolarmente meritevole, nei primi 20 minuti si può notare un interessante utilizzo di split diopter shot (Im. 27, Im. 28, Im. 29 e Im. 30), grazie ai quali il regista cerca di mettere a fuoco entrambe le protagoniste contemporaneamente, come a indicare il forte legame e l’attrazione fisica che sta nascendo tra di loro, il tutto reso ancora più efficace dalla sfocatura dello sfondo, escludendo quindi tutto ciò che le circonda.
–Tutti gli uomini del presidente, di Alan J. Pakula, 1976: nel film sono presenti diversi split diopter shot, uno in particolare merita di essere approfondito perché è probabilmente tra i migliori di sempre, nonché tra i più virtuosistici e complicati da realizzare. In questo piano sequenza di 7 minuti partiamo da un piano medio in cui sulla destra dell’inquadratura il personaggio interpretato da Robert Redford parla a telefono, mentre sulla sinistra vediamo l’ufficio sullo sfondo, messo a fuoco.
L’inquadratura appare chiaramente divisa in due parti, come tipico dello split diopter, ma lentamente questa si stringe su un primissimo piano del protagonista, andando via via a rimuovere la sezione sinistra.
Senza quasi rendercene conto lo split diopter scompare gradualmente fino al punto in cui l’inquadratura diventa un normale primo piano con una sola messa a fuoco.
Abbiamo quindi un piano sequenza con un progressivo cambio di focale e uno split diopter. Come detto all’inizio, il fatto di avere una lente split diopter messa di fronte all’obiettivo della macchina da presa, rende difficilissimo il cambio di messa a fuoco e quindi anche movimenti di macchina come carrellate e zoomate.
Inoltre in questo caso, l’avvicinamento al protagonista, accompagnato dalla progressiva esclusione del resto dell’ufficio, rispecchia il suo crescente interesse nella conversazione telefonica (che costituirà un momento chiave a livello narrativo) che lo porta a concentrare la sua attenzione esclusivamente su di essa, cancellando per un momento tutto ciò che ha attorno a sé.
Un perfetto esempio di virtuosismo registico non fine a sé stesso ma asservito alla narrazione.
–Blow Out, di Brian de Palma, 1981: in questo film De Palma da il meglio di sé in quanto a split diopter, in particolare in una nota sequenza in cui il protagonista, interpretato da John Travolta, registra con un microfono dei suoni ambientali come il gracchiare di una rana (Im. 31) e il verso di un gufo (Im. 32, Im. 33 e Im. 34).
Attraverso lo split diopter, e giocando con il sonoro, il regista avvicina gli animali e il protagonista, nonostante la loro distanza fisica, facendoceli comparire affiancati e a fuoco all’interno della stessa inquadratura.
–Lo squalo, di Steven Spielberg, 1975: un altro esempio molto celebre è quello in cui il personaggio interpretato da Roy Scheider sta parlando con un uomo sulla spiaggia (Im. 35) e improvvisamente sente delle grida provenire dal mare.
In una prima inquadratura vediamo la testa del protagonista spuntare sulla destra, da dietro alla spalla dell’uomo con cui sta dialogando. Lo sguardo del protagonista è rivolto verso il mare (Im. 36).
Segue uno split diopter shot (Im. 37) che è quasi una soggettiva del protagonista: sulla destra l’uomo che continua a parlare e sulla sinistra una donna in mare che urla, a sottolineare il fatto che l’attenzione del nostro personaggio è divisa tra le due cose.
In questo video possiamo vedere come sarebbe stato Lo squalo se, al posto degli split diopter shot, Spielberg avesse usato il rack focus.
–La cosa, di John Carpenter, 1982/ Blow Out: ritorna il film di De Palma, affiancato da un capolavoro dell’horror firmato da John Carpenter. In entrambi i casi abbiamo un utilizzo Hitchcockiano dello split diopter. In che senso?
In entrambe le inquadrature abbiamo un personaggio sulla destra ignaro di ciò che sta succedendo sulla sinistra. In Blow Out uno spuntone per rompere il ghiaccio, impugnato dall’assassino (Im. 38), ne La cosa un bisturi pronto per essere usato contro al protagonista (Im. 39).
È classico esempio di costruzione della suspense come la intendeva Hitchcock, rendendo noto allo spettatore un fatto che al protagonista è ancora oscuro e quindi creando un dislivello tra ciò che sappiamo noi e ciò che sa lui. Uno splendido esempio di come si possa narrare attraverso le immagini, senza bisogno di spiegoni.
Spero di essere stato esaustivo e di aver fatto capire come mai una tecnica come lo split diopter shot sia ancora impiegata, anche se molto meno di frequente rispetto al passato.
Gli esempi degni di nota sarebbero molti altri ma credo che quelli analizzati fino ad ora bastino per dare un’idea di quanto una tecnica come questa possa essere utilizzata a scopi diversi, non solo per vezzo estetico ma ai fini della narrazione.
Per una vasta raccolta di split diopter shot, consiglio di andare su questo sito.
Scritto da: Tomàs Avila.
Note:
[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Compositing
[2] http://vashivisuals.com/the-split-diopter-shots-in-the-andromeda-strain/