call me by your name

Recensione Call Me By Your Name

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Regia: Luca Guadagnino.
Soggetto: André Aciman, Luca Guadagnino, Walter Fasano.
Sceneggiatura: James Ivory.
Colonna sonora: Sufjan Stevens.
Direttore della fotografia:Sayombhu Mukedeeprom.
Montaggio: Walter Fasano.
Produttore: Frenesy Film, La Cinéfacture, RT Features, Water’s End Productions.
Anno: 2017.
Durata: 132’.
Paese: Italia, Francia, Brasile, Stati Uniti D’America.
Interpreti e personaggi: Timothée Chamelet (Elio), Armie Hammer (Oliver), Michael Stuhlbarg (Sig. Perlman), Amira Casar (Annella Perlman), Esther Garrel (Marzia), Victoire Du Bois (Chiara).

Luca Guadagnino chiude la trilogia del desiderio (Io sono l’amore e A Bigger Splash) con Call me by your name (Chiamami col tuo nome), il dolcissimo racconto dell’incontro tra Elio e Oliver nell’estate del 1983, adattamento cinematografico del romanzo omonimo di André Aciman. Guadagnino riesce finalmente a stemperare il compiacimento formale caratteristico della sua regia, ricco di clichés all’italiana e frames da cartolina, in una storia d’amore fresca e coinvolgente.

Icall me by your namen una villa tra Crema e Bergamo Elio e la sua famiglia trascorrono le vacanze insieme ad Oliver, uno studente statunitense che ospitano per sei settimane e che aiuterà il signor Perlman, archeologo, in un progetto di ricerca. I due giovani si pavoneggiano e si incontrano sul terreno di una simile sensibilità intellettuale.

Oliver-Narciso, coltissimo, orgoglioso, scruta Elio-Boccadoro, vivace, brillante musicista, abbarbicato sul suo ramo come un frutto acerbo che muta colore e stimola l’appetito.
La loro storia, singolare, procede per passeggiate e nuotate, si staglia su sfondi ideali e idealizzati tanto da renderla, in parte, universale. Un gioco di liquidi, rive, colazioni sull’erba e frutti che sgocciolano in cui la pulsione erotica non è mai del tutto visibile ma sapientemente nascosta con décadrages.

call me by your nameMa negli interni della villa, microcosmo borghese dei Perlman, la storia baratta parte della sua leggerezza per lasciare che il nostro occhio si perda tra interni eleganti, mobili e cimeli – amatissimi tra i redattori di Domus – ma che ricordano un Des Esseintes che si sollazza annoiato tra cose accumulate entro quattro mura. Il riferimento Viscontiano sembra quasi dichiarato, basti pensare all’amore balneare del suo capolavoro Morte a Venezia (1971). Forse, anche attraverso la scelta di  Violante Visconti, nipote del regista, come set decorator. 

Nonostante le contraddizioni interne al film, candidato a quattro premi Oscar, Guadagnino riesce a mantenere in equilibrio la bilancia. Merito anche della bellissima colonna sonora con tre pezzi originali firmati da Sufjan Stevens.

 

Scritto da: Ludovica G.