Recensione Apostolo

In Cinema, Recensioni Film, Tomàs Avila by Tomas AvilaLeave a Comment

Condividi:
Share

Regia: Gareth Evans.
Soggetto: Gareth Evans.
Sceneggiatura
: Gareth Evans.
Colonna sonora: Aria Prayogi, Fajar Yuskemal.
Direttore della fotografia: Matt Flannery.
Montaggio: Gareth Evans.
Produttore: One More One Productions, Severn Screen, XYZ Films.
Anno: 2018.
Durata: 130’.
Paese: USA, UK.
Interpreti e personaggi: Dan Stevens (Thomas Richardson), Richard Elfyn (Charles), Paul Higgins (Frank), Michael Sheen (Profeta Malcolm), Lucy Boynton (Andrea), Mark Lewis Jones (Quinn), Kristine Froseth (Ffion).

Ci sono voluti ben quattro anni di attesa per rivedere Gareth Evans all’opera, questa volta con un film che lo ha proiettato completamente al di fuori della sua comfort zone, lontano dai territori dell’action, genere in cui si è affermato come uno dei maestri contemporanei con sole tre pellicole: Merantau, The Raid- Redenzione e The Raid 2: Berandal.
Con Apostolo, il regista si dà al thriller per poi sfociare nell’horror puro, in realtà già esplorato con il segmento Safe Haven del film collettivo V/H/S/2.

1905. Thomas Richardson si reca in una lontana isola per salvare la sorella dopo essere stata rapita da una misteriosa setta religiosa che chiede un riscatto per liberarla. Sarà presto chiaro che la setta si pentirà amaramente di aver sfidato Thomas, in grado di scavare nei segreti più profondi e nelle bugie su cui il culto si è basato per anni. (da filmTV)

Apostolo era la prova del nove per il regista inglese, che doveva dimostrare di non essere solo in grado di dirigere film d’azione ma di saper spaziare anche in altri generi. Si tratta di una produzione anglo-statunitense, la prima che vede Evans fuori dall’Indonesia, nonché la prima collaborazione del regista con Netflix. Inoltre, come nei due The Raid, il regista si è occupato anche della sceneggiatura e del montaggio.

Va detto subito: Apostolo è una grande sorpresa, la conferma del talento di Evans che si dimostra uno dei nomi da tenere d’occhio.
Chiaramente non ci si deve aspettare qualcosa di rivoluzionario per l’horror come lo è stato The Raid per l’action, però appare subito chiaro come il regista sia stato in grado di rielaborare gli elementi tipici di un certo filone di horror, che affonda le radici proprio in Inghilterra, riuscendo a dare una sua personale interpretazione e realizzando un’opera in cui il suo stile è riconoscibile in ogni fotogramma.

Già in Safe Haven era centrale il tema della religione che qui diventa ancora più importante.
Evans, come ho scritto precedentemente, si rifà al filone horror basato sui culti pagani. Ovviamente il punto di riferimento irraggiungibile è sempre il capolavoro The Wicker Man, del 1973, dal quale però il regista riesce abilmente a distanziarsi, dopo un incipit che lo ricorda molto. Tra i più recenti è bene ricordare Kill List di Ben Wheatley, non a caso un altro film anglosassone.

Il primo punto di forza di Apostolo è quello di cambiare continuamente strada, sorprendendo lo spettatore, senza dover utilizzare dei colpi di scena che stravolgono la storia. La narrazione procede lentamente ma incessante nello svelare i misteri che si nascondono dietro alla setta religiosa del profeta Malcolm Howe.
Partendo da un incipit tipicamente da thriller/giallo, si accumulano una serie di elementi sempre più inquietanti e inspiegabili che fanno virare il film verso l’horror, con dei picchi di violenza che faranno piacere agli amanti dello splatter e ai fan del regista abituati all’ultraviolenza dei due The Raid.

Apostolo è sicuramente debitore dell’opera lovecraftiana, nel rappresentare un mondo sommerso, normalmente nascosto agli occhi dell’uomo, popolate da creature ancestrali, delle specie di semidivinità.
La premessa da cui parte Evans è questa: e se Dio fosse catturato dagli uomini e usato come una macchina per controllare la natura?
A sconvolgere questo instabile equilibrio interviene il personaggio di Thomas Richardson, un missionario cristiano che ha perso la fede dopo essere stato torturato a Pechino, dove cercava di portare la parola del suo Dio. Ormai non più credente, è mosso dall’unica cosa che lo tiene in vita: l’amore per sua sorella, che è stata rapita dai membri del culto pagano.

Il suo obiettivo iniziale però lo porterà a indagare sulla comunità del profeta Malcolm e a scoprire cosa si cela dietro all’apparente felicità degli adepti, che si sono lasciati alle spalle la vita passata e l’Inghilterra, per rifugiarsi su un’idilliaca isola, autosufficiente e dominata dalla natura e lontana dal progresso tecnologico e l’industrializzazione.
Evans è interessato a mostrarci, con l’ambiguo finale, la fine di un’era, di una religione, che cede il passo a un nuovo culto e a un nuovo Dio. Sarà lo stesso Thomas, dopo avere perso la fede, a diventare una divinità, il Dio dell’isola, dando inizio a un nuovo ciclo che potrebbe permettere a Malcolm di ricostruire da zero una comunità basata sul fanatismo religioso.
Se da una parte quindi è la ciclicità della storia umana il tema principale, e in particolare il fatto che le brutalità e la violenza si ripetano nel corso della storia senza che l’uomo impari dai suoi errori, dall’altra il regista ci mostra si concentra su come si tenti di sfruttare la natura (nel incarnata dalla Dea imprigionata), schiavizzandola e deturpandola, fino ad arrivare a un inevitabile collasso.

Tecnicamente lo stile di Evans si riconosce immediatamente. L’ampio utilizzo della macchina a mano dà un senso di immediatezza a tutte le scene più movimentate mentre l’utilizzo di elaborati movimenti di macchina e di inquadrature fuori asse riesce alla perfezione a creare un senso di inquietudine e a farci immedesimare nelle menti distorte dei membri della setta.

I fan di The Raid potrebbero rimanere delusi se si aspettano di vedere molti combattimenti, tuttavia i pochi che ci sono bastano per superare quasi tutti gli action usciti di recente, merito della regia che pedina i personaggi, seguendone i movimenti coreografici, e del montaggio perfetto.

Nel complesso, grazie anche alle scenografie e alla bella fotografia di Matt Flannery, collaboratore di Evans in tutte le sue opere, Apostolo è il più cinematografico dei film usciti su Netflix, motivo per cui dispiace enormemente non poterlo vedere al cinema, ma questo discorso lo abbiamo già affrontato abbondantemente in questo articolo.

Concludendo, Apostolo si inserisce nel gruppo dei migliori horror degli ultimi anni, seguendo la scia di opere come Babadook, The VVitch ed Hereditary.
Evans ha felicemente superato la prova e adesso resta solo da vedere se Hollywood si accorgerà del suo talento e se ne approprierà. Speriamo solamente che riesca a mantenere la libertà creativa e che continui a produrre film di genere di questo livello.

 

Scritto da: Tomàs Avila.