Monografia di Jeong-beom Lee

In Cinema, Il Cinema della Corea del Sud, Jeong-beom Lee, Monografie, Tomàs Avila by Tomas AvilaLeave a Comment

Condividi:
Share

Prima di cominciare avviso i lettori che, come in tutte le altre monografie del sito, sono presenti molti spoiler, necessari per analizzare al meglio i film presi in considerazione.

                                                          BIOGRAFIA

Lee Jeong-Beom nasce il 21 settembre 1971 nella Corea del Sud. Dopo essersi laureato alla Korea National University of Arts ha iniziato la sua carriera con una serie di cortometraggi da lui scritti e diretti, per passare poi nel 2006 al suo lungometraggio di esordio.  È con il suo secondo film però che si guadagna l’attenzione del pubblico, nazionale ed internazionale: “The man from nowhere” è stato infatti un successo al botteghino, diventando il campione di incassi del 2010 in Corea del Sud ed espandendo la fama del regista all’estero. Lee Jeong Beom ha rinnovato il panorama cinematografico coreano, specialmente il genere action. Sicuramente il suo secondo lungometraggio ha contribuito ad alzare il livello dei combattimenti, sia dal punto registico che coreografico e ad aumentare il tasso di violenza nei film coreani di genere.

 

                                                                                                         FILMOGRAFIA

-Gwihyu, 2001 (cortometraggio)
-The Last Night, 2002 (cortometraggio)
-Goodbye Day, 2003 (cortometraggio)
Cruel Winter Blues, 2006 The Man from Nowhere, 2010  -Hoya, 2011 (attore)
No Tears for the Dead, 2014 

 

                                                                                                             CRUEL WINTER BLUES 



Regia: Jeong-beom Lee.
Soggetto: Jeong-beom Lee.
Sceneggiatura: Jeong-beom Lee.
Musiche: Jun-seok Kim.
Direttore della fotografia: Dong-cheon Kim.
Produttore: Seoung-Jae Cha, Mi-hee Kim, Sang-o Yoon.
Anno: 2006.
Durata: 118′.
Paese: Corea del Sud.
Interpreti e personaggi: Kyung-gu Sol, Han-seon Jo, Mun-hee Na, Hie-bong Jo, Jin-ah Kim, Jun-bae Kim, Sang-sik Kim.

Jae-moon è un malavitoso cinico e strafottente a cui viene affidato l’incarico di uccidere Dae Sik, l’assassino del suo migliore amico, anch’esso un gangster. Per svolgere questo compito viene inviato in un piccolo paesino rurale, affiancato da una giovane e inesperta recluta. Jae-moon va spesso a mangiare al ristorante della madre di Dae Sik ma gli eventi prenderanno una piega imprevista quando si affezionerà alla vecchia donna; il gangster infatti inizierà a cambiare il suo carattere e a intraprendere un percorso di redenzione che però porterà ad una conclusione tragica.

Jeong-beom LeeIl film d’esordio di  Jeong-Beom Lee è un gangster movie atipico che sorprende ancora di più se si pensa ai successivi lavori del regista. In questa pellicola l’azione è completamente assente se non in due scene che servono ad introdurre e a concludere la vicenda. Già questo è di per sé sorprendente visto che sia “The man from nowhere” che “No tears for the dead” sono incentrati soprattutto sull’azione. In particolare il primo, come vedremo in seguito, è diventato un cult proprio per i suoi pirotecnici combattimenti.
Se dal punto di vista dell’azione il film d’esordio del regista è diverso dai successivi, per quanto riguarda i temi affrontati invece i tre sono molto simili.

Per cominciare già da questa sua prima opera Jeong- Beom Lee si mostra interessato al tema della redenzione in chiave noir ma dei tre sicuramente “Cruel winter blues” è quello che riesce ad andare più a fondo dedicandosi completamente all’approfondimento dei personaggi e alle dinamiche che portano Jae-moon a cambiare radicalmente. I successivi, essendo più incentrati sull’azione, perderanno la profondità dei personaggi messi in scena e il tema della redenzione, mescolato a quello della vendetta, seppur sempre presente, verrà sottomesso alla spettacolarità dei combattimenti.
Per quanto riguarda il modo in cui viene declinata la tematica della redenzione, siamo più vicini al terzo film del regista che a “The man from nowhere”. Anzi, in questo caso la visione è ancora più pessimista e veramente senza speranze poiché Jeong Boom Lee ci dice che non si possono cancellare le azioni che abbiamo compiuto in passato, anche se ce ne pentiamo e se cambiamo i nostri atteggiamenti. Il passato non si cancella mai e torna a galla in continuazione, fino all’inevitabile finale. Sotto questo punto di vista mi è sembrato un film molto vicino ai primi noir di Takeshi Kitano[1], spietati e senza speranza. Per altro, anche l’ambientazione rurale, fuori dagli schemi per il genere che vede solitamente le metropoli come sfondo delle vicende raccontate, può ricordare la scelta dell’ambientazione di “Sonatine”[2] di Kitano.
Il film ricorda “Sonatine” anche da un altro punto di vista: quello della lentissima attesa.
Fin dal principio percepiamo che dovrà esserci uno scontro finale, una risoluzione dei conti lasciati in sospeso e, per tutto il tempo che precede lo scontro finale, i protagonisti vivono in questo paese dove il ritmo della vita scorre lento e ripetitivo con dei toni che a volte passano quasi a quelli della commedia, con delle parti più leggere. Viene messa in scena la vita quotidiana degli abitanti del paese ed è forse anche questo mondo lontano dalle metropoli dominate dalla mafia a indurre il cambiamento del protagonista che forse troverà anche l’amore.
Jae-moon lentamente inizia a compiere buone azioni e diventa sempre più legato alla madre di Dae Sik, accompagnandola a fare shopping per il suo secondogenito scomparso. La figura della donna, splendidamente interpretata da Mun-hee Na [3], è rappresentata come molto malinconica: ha due figli della quale uno è l’obiettivo che il protagonista deve assassinare mentre l’altro è scomparso da tempo ma la donna non vuole rassegnarsi e continua a sperare che prima o poi ritornerà, anche se in realtà sa che è impossibile.
Jae-moon finirà col diventare come un figlio per la donna, regredendo a comportarsi quasi da bambino. La cosa drammatica però è che anche questo “figlio acquisito” è invischiato con la mafia: il destino della donna quindi non cambia, anzi dovrà soffrire ancora di più per la perdita di un’altra persona cara.

Un altro personaggio molto importante è quello della recluta, si tratta di un giovane ragazzo che non sembra avere molto a che fare con il mondo della mafia, tuttavia sembra cavarsela molto bene e si guadagna fin da subito le simpatie del boss mafioso che poi gli chiederà di uccidere il protagonista. È molto bello il modo in cui viene descritto il rapporto tra la recluta e Jae-moon che per lui è come un maestro di vita: quello che gli insegna Jae-moon è che gli ordini che ci vengono dati dall’alto devono sempre essere rispettati, anche se non ne capiamo il senso. Ironicamente i due personaggi prenderanno due vie opposte quando Jae moon si renderà conto del male che ha fatto e deciderà di cambiare, rifiutandosi di uccidere Dae Sik, il cui omicidio era stato fino ad allora la sua principale ragione di vita.
Al contrario la recluta apprenderà fin troppo bene gli insegnamenti del maestro ed eseguirà l’ordine dato dal Jeong-beom Leeboss mafioso, ovvero quello di uccidere Jae-moon.
Abbiamo quindi due percorsi opposti: da un lato la riconquista dell’umanità da parte di un cinico e spietato gangster, dall’altra la perdita dei valori e dell’umanità da parte di una giovane (e forse ancora innocente) recluta.

In tutto ciò chi dovrà pagare maggiormente le conseguenze di tutta la vicenda è la madre di Dae Sik.
Infatti il protagonista era condannato fin dal principio, così come la giovane recluta, tuttavia l’unica ad essere estranea alla vicenda era proprio la donna che si era illusa di avere in un certo senso ritrovato un figlio: Jae moon morirà davanti a lei e la donna perderà ancora una volta un “figlio”.

In conclusione “Cruel Winter Blues” è il film più profondo e intimista  del regista coreano, molto lontano dalle sue successive produzioni in cui l’azione prenderà il sopravvento. In parte è un peccato perché ha dimostrato con questo esordio di essere in grado di approfondire le psicologie dei personaggi e raccontare una vicenda spietata e struggente.
Anche stilisticamente è distante dai lavori successivi del regista: infatti inizialmente la fotografia non è patinata come sarà in seguito e la regia, a parte il lungo piano sequenza all’inizio, evita la spettacolarità dando la precedenza all’approfondimento dei rapporti tra i personaggi.
Si tratta però di un esordio che in pochi, in occidente, conoscono.

Tuttavia Jeong Boom Lee diventerà noto in occidente soprattutto per il suo secondo lungometraggio: “The Man From Nowhere”.

 

                                                                        THE MAN FROM NOWHERE 

 

Jeong-beom Lee
Regia: Jeong-beom Lee.
Soggetto: Jeong-beom Lee.
Sceneggiatura: Jeong-beom Lee.
Musiche: Hyun-jung Shim
Direttore della fotografia: Tae-yoon Lee.
Produttore: Katharine Kim, Tae-hun Lee.
Anno: 2010.
Durata: 119′.
Paese: Corea del Sud.
Interpreti e personaggi: Bin Won (Cha Tae-Sik), Sae-ron Kim (Jeong So-mi), Tae-hoon Kim (Man-seok), Hee-won Kim (Man-seok), Seong-oh Kim (Jeong-seok), Jeong-pil Lee (Detective No), Thanayong Wongtrakul (Ramrowan).

 

Cha Tae-sik gestisce un banco dei pegni in un piccolo quartiere. Conduce una vita tranquilla e isolata; l’unica persona con cui parla ogni tanto e che lo lega al resto della società è una bambina, la vicina di casa So-mee. Quest’ultima è orfana, affidata a Hyo-jeong, una drogata di eroina, perciò la bambina si vede costretta a rubare.
La storia ha inizio quando Hyo-jeong sottrae dell’eroina a dei trafficanti di droga e la nasconde al banco dei pegni, all’interno di una fotocamera.
Ignaro del contenuto dell’oggetto, Cha Tae-sik l’accetta. Quando la malfamata organizzazione la scopre, Hyo-jeong e sua figlia vengono sequestrate, Cha Tae-sik, senza farsi intimidire, restituisce la droga, in cambio del rilascio delle due vicine di casa.
Ma Man-sik e Jong-sik, leaders dell’organizzazione, incuriositi dal carattere di Cha Tae-sik, iniziano un gioco crudele, dove faranno emergere la disperazione e la speranza di Cha Tae-sik nel trovare sia la piccola So-mee Jeong-beom Leenonché i ricordi di una vita ormai finita, la sua. (Da Wikipedia)

A quattro anni di distanza dal suo film d’esordio, Jeong Boom Lee torna con un thriller-noir appartenente al filone di thriller coreani degli ultimi anni.

Nonostante non sia trai suoi migliori, ha diversi punti a suo favore.
Per prima cosa servendosi di una regia spettacolare, specialmente nelle scene d’azione, che si impone come modello per molti film a seguire, il regista crea incedibili scene di combattimento, in particolare quella finale è diventata una scena cult.

Tra i vari e complicati movimenti di macchina, una scena che indubbiamente si è rivelata decisamente d’impatto è stata quella in cui il protagonista, circondato dai nemici dentro ad un edificio, salta dalla finestra rompendo il vetro, tutto ripreso in long take, senza stacchi.

Scena molto particolare che verrà poi ripresa dal connazionale “Cold Eyes” [4](qui il link alla nostra recensione) del 2013.

Un altro punto di forza sono alcuni dei personaggi: la storia non è molto originale eppure la caratterizzazione del protagonista e degli antagonisti è notevole. In particolar modo i due fratelli Man-sik e Jong-sik sono trai più spietati villain che si siano visti in un film del genere, arrivando addirittura a lucrare sul traffico di organi di bambini rapiti senza mai mostrare un minimo di umanità. I due non sono approfonditi psicologicamente, come del resto il protagonista (del quale però si capisce di più) ma rimangono dei personaggi molto fumettistici e la loro ironia cinica smorza un po’ la pesantezza dei temi trattati e della loro violenza.
Il film parte sottotono e inizialmente non convince tanto forse a causa di un esordio che introduce il rapporto tra la bambina e il protagonista, fase forse che il regista si dilunga troppo a mostrare.

L’attesa dello spettatore viene però ripagata della seconda parte del film in cui sono concentrati quasi tutti i combattimenti: man mano che si procede il film si fa sempre più violento e il combattimento finale è un vero e proprio bagno di sangue, tanto che lo stesso Lee Jeong- beom ci ricorda come il film sia stato da una parte accolto favorevolmente e dall’altra contestato duramente per la sua violenza[5].

Il film quindi è sicuramente da vedere, anche solo per le coreografie dei combattimenti, però oltre a ciò di cui ho già parlato, non resta molto altro. Pur avendo il pregio di restare un film incentrato sulla vendetta senza eccessi di buonismo, anche l’introduzione del rapporto tra la bambina e il protagonista, che in parte può ricordare quello di “Leon”[6] di Luc Besson[7] è stato un espediente molto soddisfacente.Jeong-beom Lee
Nonostante questi lati positivi, parte della narrazione rimane in sospeso. Vengono infatti accennati diversi temi che però saranno poi abbandonati o risolti troppo frettolosamente ma, molto probabilmente, il regista non era proprio intenzionato a trattarli.
Rimane a questo punto spontaneo chiedersi il senso di una parte iniziale così dilungata: forse il tentativo di cercare di approfondire la psicologia del protagonista era necessario per rendere poi centrale un discorso sulla redenzione, tema a cui il regista sembra molto affezionato visto che è centrale in ognuno dei suoi tre lungometraggi. In questo caso, più che un tema portante sembra un elemento che è sempre presente ma non viene mai approfondito adeguatamente dato che, il più delle volte, si risolve con una sorta di happy ending (non eccessivamente felice, considerati i fiume di sangue che lo hanno preceduto) in cui il protagonista troverà la
redenzione nella piccola Jeong So-mi, diventata ormai la sua ragione di vita e l’unica fonte di speranza nel mondo violento e senza regole che viene rappresentato durante il corso del film.

Con ciò non voglio dire che il film sia brutto, si tratta senza dubbio, a parer mio, di una visione piacevole e di gran lunga superiore alla gran parte dei film d’azione made in USA.

Mi stupisce che questo “The man from Nowhere” abbia avuto un tale successo, a differenza di altri film come “I saw the devil[8] che scandalosamente non è ancora stato distribuito in Italia, neanche in home video.
Il merito maggiore forse è quello di aver attirato l’attenzione del pubblico su un certo cinema Coreano che ultimamente è sempre più apprezzato e che sta insegnando come realizzare opere di tale livello anche agli Jeong-beom Leeamericani: ultimamente infatti si vedono diversi titoli del genere anche in Italia, il che è di sicuro un cosa buona.
Bisogna poi riconoscere alla pellicola il merito di aver alzato gli standard per i film d’azione, dal punto di vista delle coreografie e della regia, ispirandosi da una parte ai noir di Hong Kong alla John Woo[9] (ispirazione che diventerà molto più evidente nel terzo film del regista) e dall’altra a quelli di arti marziali.
Dal punto di vista registico e coreografico verrà fatto un ulteriore passo avanti l’anno successivo, il 2011, con “The Raid”[10] di Garreth Evans[11].
Una menzione va anche al protagonista, Bin Won[12], che avevamo già visto ne “La madre”[13] di Joon Ho Bong[14].
Tolti questi meriti, “The man from nowhere” rimane un buon film d’azione, tecnicamente eccelso anche se troppo lento nella parte iniziale. Indubbiamente sono presenti prodotti peggiori ma sicuramente anche di migliore, specialmente se ci affacciamo al panorama cinematografico coreano contemporaneo.

Il film ha avuto un enorme successo di critica e di pubblico, sia nazionale che internazionale, tanto da diventare un vero e proprio cult. I guadagni sono stati sorprendenti, intorno ai 42 milioni di dollari stando a boxofficemojo.com, un successo è stato tale da destare l’interesse di Hollywood e compagnia per questo genere di produzioni coreane.

Jeong-beom Lee
                                                                                 NO TEARS FOR THE DEAD 

 


Regia: Jeong-beom Lee.
Soggetto: Jeong-beom Lee.
Sceneggiatura: Jeong-beom Lee.
Musiche: Yong-rock Choi.
Direttore della fotografia: Mo-gae Lee.
Produttore: Hyun-ik Baek, Gregory Bishop, Brian Chung, Tae-sung Jeong, Sung-woo Kim, Daniel Sollinger.
Anno: 2014.
Durata: 116′.
Paese: Corea del Sud.
Interpreti e personaggi: Dong-gun Jang (Gon), Min-hee Kim (Mo-Kyeong), Brian Tee (Chaoz), Hee-won Kim (Direttore Byeon), Jun Sung Kim (John Lee).

 

Dopo essere emigrato in America ed essere stato abbandonato dalla madre, Gon cresce e diventa un temibile sicario. Un giorno, durante un lavoro, uccide per sbaglio una ragazzina. Il suo capo gli dice di non farsene un cruccio e gli ordina di uccidere la madre. Il nuovo obiettivo, Mo-Gyeong, lavora come risk manager in una società di investimento, la quale, per dimenticare il lutto, si sta seppellendo di lavoro senza sapere di essere in grave pericolo, finché non incontra un uomo che le rivela la verità dietro la morte della figlia. (da Mymovies)

Dopo l’ormai consueta pausa di quattro anni, Jeong-beom Lee torna alla regia con “No Tears for the Dead”, un film molto simile al precedente “The man from nowhere” di cui però vengono ribaltate le premesse.
Mentre il film del 2010 terminava con il salvataggio e il riavvicinamento della bambina, questa volta si inizia Jeong-beom Leeproprio con la morte di una bambina, come ad eliminare completamente lo spiraglio di luce che si intravvedeva nel finale della sopracitata pellicola.
La situazione in questo caso viene ribaltata perché l’eroe di turno non deve più salvare una bambina a cui è morta la madre, ma una madre a cui sono stati uccisi la figlia e il marito.
Toccherà a Gon proteggere la donna indifesa e ricercata dalla mafia, che si ritrova a essere il classico personaggio del noir di Honk Kong, da “The killer”[15] di Woo in poi. Gon è infatti un assassino legato alla triade cinese, in America, che dopo essere arrivato toccato il fondo (in questo caso con l’omicidio involontario della bambina) intraprende un percorso di redenzione e in un certo senso espia i suoi peccati, come un malvagio che improvvisamente decide di cambiare rotta e di fare del bene.

Niente di nuovo insomma, anche se Gon si differenzia molto dal protagonista del film precedente del regista, essendo un personaggio negativo che si trasforma: non infatti un ex mercenario che vive in solitudine ma un vero e proprio killer mafioso.

Come al solito quindi il tema principale è quello della redenzione che, in questo caso, arriverà solo grazie al sangue e terminerà nel sangue quando Gon si sacrificherà per salvare Mo-Kyeong.
Questo è uno dei motivi per cui, nonostante sia stato da molti criticato, “No tears for the Dead” mi ha convinto più del precedente e più noto film di Jeong-beom Lee.

Dimostrandosi una pellicola intrisa di pessimismo, fin dall’inizio si prefigge di cancellare le speranze date nel lieto fine di “The man from nowhere” per arrivare poi al finale.

Il regista, in questa pellicola, cerca ci dice che la redenzione di questo personaggio può compiersi solo con la sua morte: a parer mio si tratta di un notevole passo avanti rispetto al film del 2010 e rispetto alla maggior parte dei film americani, poiché, in questo caso, non può esserci un happy ending essendo il protagonista un assassino con le mani sporche di sangue. Diventa quindi è impensabile che grazie ad una buona azione viva Jeong-beom Leefelice il resto della sua vita, questa è la componente più noir e pessimista del film.
Un aspetto molto interessante è l’approfondimento della psicologia del personaggio che viene approfondita maggiormente grazie a dei flashback in cui ci viene mostrata parte della sua infanzia. Si tratta di due singoli flashback, uno più o meno a metà film e uno alla fine: nel primo non viene detto chiaramente che si tratta dell’infanzia di Gon ma la vicenda viene raccontata dal protagonista come se appartenesse a qualcun altro e questa digressione ci porta a pensare che la madre di Gon fosse un personaggio negativo, poiché le violenze (psicologiche e fisiche) subite dal bambino sembrano in un certo senso giustificare la strada che poi ha preso; nel secondo flashback, quello finale, ci viene fornito un altro punto di vista dove vengono accennate quelle che potrebbero essere le ragioni della madre, cambiando le carte in tavola, arrivando così ad un finale triste e malinconico, incentrato non sulla donna da salvare ma proprio su Gon.
Da molti il finale è stato fortemente criticato e considerato troppo lungo e sentimentale ma, io personalmente, l’ho trovato uno degli aspetti più convincenti del film.
Infatti oltre che sul tema della redenzione, il finale è anche incentrato su quello dell’amicizia/conflittualità che lega Gon all’antagonista: chi si aspettava un duello all’ultimo sangue rimane in parte deluso perché la conclusione non è quella che ci si poteva aspettare, non trattandosi, fortunatamente, di una fotocopia di “The man from nowhere”.

Dal punto di vista tecnico “No tears for the dead” è eccelso, anche superiore al film precedente.
La fotografia patinata, classica ormai di gran parte delle produzioni coreane dopo ad “Old Boy”[16] e “Lady vendetta”[17]  di Chan-wook Park[18], è azzeccata e in alcuni casi molto suggestiva, come nella prima sequenza.
Il punto di forza principale però sono ovviamente le scene d’azione: le coreografie sono spettacolari dove Jeong-beom Leevengono alternate sparatorie a combattimenti corpo a corpo in cui non viene risparmiato niente allo spettatore. Le botte che si danno i personaggi le sentiamo veramente, sembrano vere, complice anche il fiume di sangue che scorre nella seconda ora del film che rende il tutto più veritiero.
La regia di    è come al solito impeccabile, molto frenetica a tratti ma che mai permette di far perdere allo spettatore il filo dell’azione, così come ci hanno abituato fin da sempre gli orientali con il loro cinema.
Molte scene sono veramente da antologia, una su tutte quella della macchina distrutta dal camion, realizzatta con un piano sequenza che lascia a bocca aperta così come la sparatoria nell’appartamento che ricorda molto come ambientazione e dinamica quella di “Time and Tide”[19] di Tsui Hark[20].
Il film di Hark e “The Killer” di Woo sembrano essere le principali fonti di ispirazione: il primo per la sparatoria molto simile e per l’internazionalità dell’opera, data anche dal fatto che vengano parlate più lingue (inglese, coreano, spagnolo) mentre il secondo per tutta la componente più noir e per il protagonista, l’assassino in crisi.
È interessante il fatto che sempre più produzioni coreane non puntino solo al mercato nazionale ma a quello internazionale: è il caso, per esempio, di “The Yellow Sea” di Hong-jin Na, coprodotto dalla Fox, di “Snowpiercer” di Bong Joon-ho e altri ancora, come anche nella lista dei produttori di “No tears for the dead” compaiono nomi inglesi e americani. Una delle compagnie di produzione, la Medusa Productions, è inglese.
Insomma si stanno rendendo tutti conto della potenzialità di questi nuovi registi coreani che stanno dando del filo da torcere ad Hollywood, sempre più interessata a loro.

In conclusione, Jeong-beom Lee si conferma come un ottimo regista di genere che sta crescendo, film dopo film, anche se è molto più interessato alla componente tecnica che a quella narrativa, a differenza di un altro dei giovani registi coreani: Hong- Jin Na[21] (quello di “The Chaser”[22] e “Yellow Sea”[23]), al quale verrà dedicata a breve una monografia.
Se le storie che ci racconta Jeong-beom Lee sono tutto sommato classiche, così come i temi trattati, tipici di questo genere di cinema spiccano senza dubbio regia e le coreografie, sono infatti questi ultimi due aspetti delleJeong-beom Lee sue pellicole a distanziare i suoi film dalla maggior parte dei prodotti di azione che si vedono in giro.

Speriamo dunque che il regista sappia sorprenderci con il suo prossimo lungometraggio, magari cercando di non ricalcare eccessivamente i suoi precedenti lavori e di tornare alla profondità del suo primo film.

 

Scritto da: Tomàs Avila.

 

Note:

[1] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0001429/?ref_=tt_ov_dr .

[2] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0108188/?ref_=fn_al_tt_1 .

[3] Link IMDB dell’attrice: http://www.imdb.com/name/nm0618520/?ref_=ttfc_fc_cl_t3 .

[4] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt2969656/?ref_=fn_al_tt_1 .

[5] Link all’intervista: https://www.youtube.com/watch?v=tLlANQx3Z7g .

[6] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0110413/?ref_=fn_al_tt_1 .

[7] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0000108/?ref_=tt_ov_dr .

[8] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt1588170/?ref_=fn_al_tt_1 .

[9] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0000247/?ref_=fn_al_nm_1 .

[10] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt1899353/?ref_=fn_al_tt_1 .

[11] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm2153088/?ref_=tt_ov_dr .

[12] Link IMDB dell’attore: http://www.imdb.com/name/nm1047193/?ref_=fn_al_nm_1 .

[13] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt1216496/?ref_=nm_knf_i2 .

[14] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0094435/?ref_=tt_ov_dr .

[15] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0097202/?ref_=fn_al_tt_1 .

[16] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0364569/?ref_=fn_al_tt_1 .

[17] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0451094/?ref_=nm_knf_i2 .

[18] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0661791/?ref_=tt_ov_dr .

[19] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0251433/?ref_=fn_al_tt_1 .

[20] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0007139/?ref_=tt_ov_dr .

[21] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm2947553/?ref_=tt_ov_dr .

[22] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt1190539/?ref_=nm_knf_i1 .

[23] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt1230385/?ref_=nm_knf_i2 .