Elogio dell’imperfezione

In AlexD., Musica by scheggedivetroLeave a Comment

Condividi:
Share

Succedeva, nel gennaio di ventitré anni fa, che una certa band inglese pressoché sconosciuta firmava per una Creation Records ormai sul lastrico. Succedeva, nel marzo di ventidue anni fa, che la stessa band esordiva in patria con un certo disco che otteneva poco più che magri riconoscimenti. Succedeva, nel settembre dell’anno successivo, che la medesima band pubblicava il proprio secondo nonché ultimo Lp, uscendo silenziosamente di scena dopo un’avventura durata due anni scarsi. Fine.

Chi si aspetta proselitismi, venerazioni e fenomeni di culto nati postumi ha sbagliato indirizzo. La storia degli Adorable è di quelle senza finale riconciliante, che lascia in bocca il sapore del caffè col sale.

Il “rock” inglese (“musica leggera”, meglio) di fine ’80-inizio ’90 vede uno stallo creativo, una situazione di immobilità artistica, ferma in un’imitazione del passato ai limiti del pedissequo. Se da un lato l’elettronica si ritaglia uno spazio sempre più consistente (Dio benedica i Massive Attack), dall’altro le elucubrazioni sonore dello shoegaze hanno poco di significativo nella sostanza, e rischiano di perdersi in percorsi inconsistenti dietro ad un’indagine formale sfiancante (si salvano, oltre ai seminali Spacemen 3 e My Bloody Valentine, i primi lavori di Telescopes e Ride). La stampa britannica si affanna alla ricerca della “next big thing” e di nuove e futili mode su cui lucrare (la “gioventù frustrata” diventa IL cliché degli anni ’90) e l’industria discografica, profittando della ferita aperta dagli anni Ottanta, propone un ritorno a sonorità più leggere e commerciali.

adorable

Nati a Coventry nel ’90 dalle ceneri dei Candy Thieves, gli Adorable si compongono di Pete Fijalkowski a decantar versi (e, all’occorrenza, anche alla chitarra ritmica), Robert Dillam alla sei corde, Stephen Williams al basso e Kevin Gritton dietro le pelli.
La leggenda narra che i quattro conobbero Alan McGee in un pub di Coventry nel gennaio del ’92, e che quest’ultimo, sedotto dalle sventagliate agrodolci di una Sunshine Smile ancora primitiva, avrebbe proposto ai Nostri di firmare con la Creation, occasione che la band non esitò a cogliere.
La situazione in casa Creation, ad ogni modo, era tutt’altro che favorevole: i deliri onirici di Kevin Shield avevano mandato la compagnia sull’orlo della bancarotta e un nuovo gusto estetico, figlio dell’appetito melodico dei Sixties e della lezione delle compagini mancuniane degli Ottanta, andava progressivamente a depredare l’etichetta di molti dei suoi seguaci, decretando l’inesorabile tramonto del mito degli shoegazers.
Dopo aver fatto da spalla al tour inglese dei Curve, nel maggio del ’92 gli Adorable rilasciano il loro primo singolo targato Creation: Sunshine Smile. Il brano è un manifesto programmatico dello stile sonoro del gruppo, dove le chitarre danzano tra momenti di stasi melodica, raffiche taglienti e muri compatti di suoni (l’influenza, seppur indiretta, di Shield e dei MBV è indiscussa) e la sezione ritmica avanza solida, ora incalzando, ora rallentando la marcia. Il singolo viene premiato come “NME single of the week” e staziona per tre settimane nella top 100 nazionale. Sulla scia di questa modesta conquista, gli Adorable rilasciano, nell’ordine, I’ll be your saint, Homeboy e Sistine Chapel Ceiling (quest’ultima, ancora una volta, gode del plauso del NME), attenendosi così alla tradizione tipica della Britannia dell’epoca, che prevedeva l’uscita di numerosi singoli in attesa di un Lp che, di fatto, li antologizzasse semplicemente o poco più.
La gravidanza giunge al termine nel marzo ’93 con Against Perfection, un disco che, suo malgrado, è un po’ il ponte di collegamento tra le esperienze rumorose di Slowdive e soci, indirizzate ormai sul viale del tramonto, e la nascente infatuazione per il nuovo (brit)pop degli Suede. Il titolo (terza declinazione di Against Nature, prima, e Against Creation, dopo) è niente meno che un’esplicita dichiarazione d’intenti, e la copertina, un fiore la cui corona di petali è in fiamme, sottoscrive evidentemente lo spirito di “celebrazione dell’imperfetto”. adorable-against-perfectionDefinire Against Perfection una rilettura in chiave pop delle trascorse esperienze shoegaze sarebbe impreciso e, aggiungerei, limitativo. La soluzione è da ricercarsi nelle parti vocali di Fijalkowski, le quali sono assai lontane dall’essere un mero accessorio melodico del brano, come da tradizione ormai assodata da Cocteau Twins e discendenti più o meno apocrifi. Fijalkowski sceglie bensì una strada atipica, ignora le convenzioni che impongono di ricercare le parole sulla base di regole metriche e melodiche, così da non contrastare le atmosfere di placida sonnolenza, e decide invece, guidato dalla passione, di lasciarsi andare all’irruenza, anche a costo di suonare sgraziato alle orecchie distratte dei kids (*coff, celebrazione dell’Imperfetto, *coff). E badate che quanto appena detto non vuole essere un invito, da parte mia, a provare compassione per l’imprudenza di un ragazzo avventato di ventiquattro anni, al contrario, vuol essere una lode alla genuinità (seppur grezza) di uno degli ultimi veri poeti impressionisti della musica britannica.
Questa attitudine vocale giunge ad uno dei suoi apici di emozione in Glorious, esaltazione di una giovinezza esuberante, arrogante, colma di speranze ed eccitazione. “There’s a whole world outside that I didn’t know about, I don’t need it, I don’t need you to share your knowledge out, and the feeling is glorious”.
Young, Loud & Snotty, insomma. Tuttavia è in Homeboy che la tensione emotiva raggiunge il suo zenit. Riscrittura in chiave spiccatamente brit di Gigantic dei Pixies, mutua da quest’ultima la struttura tipicamente “indie” del quiet-loud-quiet-loud, spingendo il concetto di impeto passionale sino a vette siderali. Le strofe sono immerse in un vortice tribaleggiante basso-batteria, con la chitarra a sporcare di note qua e là il tappeto e la voce sommessa ad intonare versi ossessivi e criptici. Il feedback è il segnale di lancio del ritornello: la miccia si accende, il razzo (o qualsiasi cosa sia) spicca rapido il volo in un frastuono di ardore giovanile. La concitazione cresce, il fermento nella voce di Fijalkowski è palpabile, il fuocherello innescato prima divampa, fino a diventare un meraviglioso incendio e il brano esplode in una coda che è un trionfo di sentimenti, dove nessuno risparmia le forze per il viaggio di ritorno e dove le corde vocali del frontman si squarciano gloriosamente. Straordinari. Fijalkowski è accusato di incendio doloso, gli altri spirano con onore per lo sforzo immane e noi rimaniamo attoniti e storditi da un tale furore emozionale che fatica a trovar eguali. Lacrime. E chi non si commuove è Noel Gallagher.
In Favourite Fallen Idol i Nostri si azzardano a bussare alla porta dei Jesus & Mary Chain, con un furioso sfrigolio di chitarre che è Psyhocandy puro e una violenza sonora di cui i fratelli Reid si macchiarono a suo tempo. I quattro di Coventry cantano con disillusione (o lucida disperazione, a seconda dei punti di vista) di naufragi ed insuccessi, mostrandosi consci che il baratro in cui si rischia di scivolare non è affatto così distante. Un brano che, a posteriori, assume una connotazione ancora più infausta. A To Fade In nasconde il profumo di Cattle and Cane dei Go-Betweens sotto una fredda anima introspettiva, mentre Crash Sight guarda, senza troppo celarsi, ai Primitives, una sorta di “vicini della porta accanto”. Still Life è delicata e forse fin troppo esile, ma efficace nell’allestire quella situazione distesa che Breathless si appresta a frantumare. Estremo picco passionale del disco, Breathless è una candida e sognante dichiarazione d’amore, dalla struttura minimale e dal testo tanto sintetico, quanto incisivo. Fijalkowski chiede un ultimo nobile sforzo ai suoi polmoni e riesce ad imbastire, languido e struggente come non mai, quest’ultima confessione, in un palpitare tumultuoso, creato dalle trame di Dillam, che scuote le cavità ventricolari con risparmio dei convenevoli. Sembra quasi che a muovere la sagoma prostrata di Fijalkowski non siano tanto le forze corporee residue, quanto la potenza viscerale del sentimento puro ed autentico di cui canta. Suvvia, perlomeno è bello credere che sia così. I’ll be your saint, ballata limpida e ossessiva, chiude il disco, lasciando, a mio parere, una sensazione di posticcio, che non rende affatto giustizia a questi prodi giovini.

L’anno successivo uscirà (sempre per la Creation) Fake, album che approfondisce il discorso introspettivo e che si allontana dagli stilemi brit, prediligendo sonorità più affini alla musica d’oltreoceano. È un lavoro più compatto e coeso del precedente, che però non presenta la stessa carica emotiva e pecca forse di un eccessivo lirismo. Se Against Perfection suonava come un disco di ragazzi appena ventenni che avevano tutta la vita davanti, ed erano pronti e determinati a godersela e coglierne ogni fortuna, Fake suona più insicuro (Vendetta), più fragile (Kangaroo Court), troppo chiuso in se stesso (Radiodays), come se quei ragazzi si sentissero l’ostilità del mondo sulle spalle. Insomma, non giriamoci troppo intorno, i guai finanziari della Creation e gli scarsi riscontri di vendita degli Adorable portarono alla decisione molto poco inaspettata di tagliare il gruppo, che si sciolse di lì a poco, senza troppe smancerie.

Peccato. Gli Adorable avevano offerto al mondo un bouquet di canzoni magari non così rigoglioso, ma sicuramente pregno di sentimenti sinceri. Furono tra gli ultimi a portare avanti un atteggiamento di intrepido titanismo, proprio di chi combatte strenuamente per ciò in cui crede, pur sapendo bene di avere la disfatta in tasca.

A volte alcune sconfitte sono assai più gloriose di certe vittorie.