Regia: Stefano Sollima.
Soggetto: Taylor Sheridan.
Sceneggiatura: Taylor Sheridan.
Colonna sonora: Hildur Guðnadóttir.
Direttore della fotografia: Darius Wolski.
Montaggio: Dev Singh.
Produttore: Black Label Media, Rai Cinema, Thunder Road Pictures.
Anno: 2018.
Durata: 122’.
Paese: USA, Italia.
Interpreti e personaggi: Benicio Del Toro (Alejandro), Josh Brolin (Matt Graver), Isabela Moner (Isabel Reyes), Jeffrey Donovan (Steve Forsing), Catherine Keener (Cynthia Foards), Elijah Rodriguez (Miguel Hernandez).
A tre anni di distanza dallo splendido Sicario di Denis Villeneuve, che resta il suo film migliore, arriva il tanto atteso seguito: Soldado.
Atteso perché è il secondo capitolo di quella che probabilmente diventerà una trilogia; atteso perché la sceneggiatura è firmata anche questa volta da Taylor Sheridan, di cui parleremo meglio in seguito; ma soprattutto atteso perché la regia è stata affidata al nostro Stefano Sollima, che è riuscito a farsi conoscere e apprezzare all’estero grazie alle serie TV Romanzo criminale e Gomorra e al notevole Suburra, distribuito da Netflix al di fuori dell’Italia.
Nella guerra alla droga non ci sono regole. Mentre i cartelli messicani hanno iniziato a trafficare terroristi attraverso il confine statunitense, l’agente federale Matt Graver chiama il misterioso Alejandro, la cui famiglia è stata annientata da un boss del narcotraffico, per intensificare in maniera pesante l’attacco contro i malavitosi. Alejandro rapisce allora la figlia del boss per infiammare il conflitto. Quando la ragazza verrà però considerata come un danno collaterale, il suo destino si intrometterà tra i due uomini, che metteranno in dubbio tutto ciò per cui stanno combattendo. (da Filmtv)
Soldado è un film molto importante che merita il giusto approfondimento.
Era difficile bissare il successo e la qualità dell’opera di Villeneuve, uno dei migliori thriller-action contemporanei, nonché uno dei più spietati nel mostrare i meccanismi che regolano la guerra al narcotraffico e il marcio che c’è dietro alla gestione di queste operazioni da parte degli Stati Uniti, ma Sollima ci è (in parte) riuscito.
Indice:
–Taylor Sheridan: Racconti di frontiera
–Contrabbando di droga o di persone
–Non esistono mezze misure
–Le vere vittime
–Cinema e serialità
–Il talento di Sollima
–Conclusione
TAYLOR SHERIDAN: RACCONTI DI FRONTIERA
Quella di Sicario è stata la prima sceneggiatura per il cinema di Taylor Sheridan, che si era già fatto conoscere con degli episodi di serie come Walker Texas Ranger, CSI: NY, CSI- Scena del crimine, Veronica Mars, Sonso of Anarchy e NCIS: Los Angeles.
Nonostante il background televisivo di Sheridan, Sicario era un film compiuto in sé stesso, con un finale perfetto che non necessitava un seguito. Tuttavia, visto il grande successo di critica e di pubblico, si è optato per la serializzazione di Sicario, pensando a una trilogia[1].
Nel frattempo, dal 2015 a oggi, Sheridan ha avuto modo di farsi apprezzare sempre di più, firmando le sceneggiature di Hell or High Water, che ha ricevuto 4 candidature agli oscar, tra le quali quella per la miglior sceneggiatura originale, e di I segreti di Wind River, che ha segnato il suo esordio alla regia, riconosciutogli a Cannes nel 2017 col premio alla miglior regia per la sezione “Un Certain Regard”.
Inoltre, dal 20 giugno 2018, è in trasmissione Yellowstone, una serie TV con Kevin Costner, diretta e sceneggiata da Sheridan.
Nel giro di pochi anni, Sheridan ha raccolto un gran numero di riconoscimenti ed è diventato uno dei più importanti narratori della frontiera. Erede di un cinema tipicamente americano, lo sceneggiatore ha saputo abilmente reinterpretare il mito della frontiera, decostruendolo, e portandolo ai giorni nostri, realizzando delle opere che potremmo definire dei neo-wstern, nonostante le influenze di altri generi cinematografici come l’action e il thriller.
Sono film ambientati in territori limite, di confine e in cui i paesaggi assumono un ruolo di primaria importanza, come è sempre stato nel western.
Proprio per questo è curioso che le sue sceneggiature siano state affidate solo a registi non americani: il canadese Denis Villeneuve, l’inglese David Mackenzie e infine l’italiano Sollima.
Un cinema profondamente americano, interpretato da autori provenienti da altri paesi, ognuno con la propria visione.
Se con Sicario l’esperimento si può dire riuscito, Hell or High Water ha convinto meno, nonostante il grande successo di critica.
Arriviamo a Soldado.
CONTRABBANDO DI DROGA O DI PERSONE
Fin dall’inizio si capisce che con Soldado Sheridan cambia il bersaglio rispetto a Sicario. Restano al centro gli ambigui personaggi interpretati da Josh Brolin e Benicio Del Toro, così come i vari Cartelli messicani.
Tuttavia lo sceneggiatore non si concentra più sul contrabbando di stupefacenti, tema centrale nel primo film, ma su un business che, come sottolinea Graver, è ancora più redditizio: il contrabbando di persone, la gestione dei flussi migratori.
Sheridan inizia questo secondo capitolo introducendo un tema estremamente interessante e attuale, ricollegandosi agli attentati terroristici di matrice islamica che periodicamente sconvolgono tutto il mondo.
Le organizzazioni terroristiche possono sfruttare questi flussi migratori per far varcare il confine statunitense a degli attentatori e i cartelli gestiscono questi flussi.
Il tema, già di per sé molto scottante, lo diventa ancora di più se si pensa che a dirigere il film è un italiano.
Il parallelismo tra due nazioni che hanno un problema simile, quello di un’immigrazione di difficilissima gestione, connesso a quello del terrorismo era un’ottima base di partenza che avrebbe meritato uno sviluppo maggiore nel corso della pellicola.
Purtroppo però quello che sembrava essere il tema portante, si rivela una sorta di MacGuffin che serve più che altro a dare il via alla serie di eventi che avverranno in seguito.
Del terrorismo non se ne parla più, così come del contrabbando di persone, per concentrarsi maggiormente sui due personaggi principali (tre, visto che si aggiunge la figlia del boss di un cartello messicano) e sulle dinamiche tipiche del genere.
Come avevamo già sottolineato nello speciale dedicato a La notte del giudizio, dal 2015 a oggi sono cambiate molte cose ma soprattutto una ha influenzato profondamente il cinema hollywoodiano: le presidenziali del 2016 e la vittoria di Trump.
Con il governo del nuovo presidente, le tematiche di Sicario sono tornate al centro dell’attenzione e Sheridan è stato bravo a interpretare i cambiamenti politico-sociali della sua nazione.
Se già nel primo film il personaggio di Graver era molto ambiguo e si muoveva sul confine tra legalità e illegalità, tra bene e male, in Soldado diventa ancora più sottile questa linea di demarcazione.
Graver ci viene presentato a Camp Lemonnier, una base americana in Africa, mentre sta torchiando un prigioniero per farsi dare delle informazioni e subito viene chiarito che non siamo più nell’epoca di Obama, facendo tornare alla mente il doloroso ricordo dei vari Guantanamo e Abu Grahib. Il prigioniero nota delle taniche d’acqua sul pavimento e Graver gli dice: “You think i’m gonna waterboard you, Bashiir? Waterboarding is when we can’t torture. This is Africa i can do whaterver the fuck i want here”[2]
Viene anche fatto esplicitamente riferimento al muro tra USA e Messico, uno dei cavalli di battaglia di Trump. È sempre Graver a far notare che erigere delle barriere e isolarsi è un’occasione per fare ottimi profitti per chi non ha paura di sporcarsi le mani, ponendo una domanda retorica: “What happened to the price of cocaine after 9/11, Ken?”[3]
L’11 settembre continua a essere una ferita aperta e a tornare nel cinema americano specie in questo caso in cui si parla di attentatori islamici.
Sarà addirittura il Segretario della Difesa a rivolgersi a Graver, dandogli il permesso di sporcarsi le mani, a patto però, nel caso le cose dovessero andare male, di non essere collegato alla sua operazione.
È da qui che prende avvio la storia raccontata da Sheridan che, come in Sicario, ci mostra la task Force di Graver (ufficiale della CIA) e i metodi molto discutibili e assolutamente illegali utilizzati per far nascere delle guerre tra i cartelli, in modo da poterli controllare.
Tra i vari intrighi e le vendette private, tra i Cartelli, il governo americano e le organizzazioni terroristiche, Sheridan pone la stessa domanda che stava alla base di Sicario: chi sono le vere vittime?
Lo stupendo finale del film di Villeneuve ci faceva capire che a pagare il prezzo di questa guerra sono le persone comuni, chi abita in quei luoghi ed è costretto ad avere a che fare con questa realtà senza avere una scelta.
In particolare le vittime per eccellenza sono i bambini, simbolo dell’innocenza che viene corrotta da un mondo marcio che non ha pietà nemmeno per loro.
In Sicario a farne le spese era una famiglia messicana, poco abbiente, che si ritrovava privata del padre, coinvolto in una storia più grande di lui. La bellissima scena della partita di calcio finale, in cui i bambini si interrompevano un istante dopo aver sentito una sparatoria in lontananza, per poi riprendere a giocare come se niente fosse, era la perfetta raffigurazione della condizione in cui è costretta a vivere la gente del luogo.
Questa volta però Sheridan fa un passo in più e la vera vittima è la figlia del boss del Cartello, Isabel, rapita dalla task force di Graver per far scoppiare una guerra. Continuamente spostata da un luogo all’altro, ogni volta che scappa viene ripresa da persone appartenenti a fronti diversi. Minuto dopo minuto la vediamo, da forte com’era all’inizio, venire distrutta psicologicamente fino ad essere completamente scioccata e privata della sua innocenza. Bravissimo è anche Sollima a inquadrare i volti degli attori, soffermandosi sulle loro espressioni che raccontano molto più di quanto possano fare le parole.
Oltre a Isabel c’è un altro ragazzo, Miguel, appartenente a una famiglia sul confine tra Messico e Stati Uniti che intraprenderà un percorso criminale che lo farà sprofondare in una spirale di violenza, fino ad arrivare alla scena di chiusura in cui si troverà a “parlare del suo futuro” con il redivivo Alejandro.
Il ragazzo è l’ennesimo personaggio ambiguo perché, nonostante sia stato introdotto dal cugino nel mondo criminale, ha una buona parte di responsabilità per ciò che gli accade e questo non viene affatto nascosto.
Se finora ho solo sottolineato gli aspetti positivi di Soldado, che a conti fatti, nonostante sia inferiore al film di Villeneuve, è comunque un ottimo prodotto con una sua identità ben precisa, ora è necessario affrontare il principale lato negativo: la questione della serialità.
Come già sottolineato in precedenza, Sicario era autoconclusivo e il finale era proprio uno dei suoi punti di forza. Nonostante ciò si è deciso di dare vita a una saga che, di per sé, non è un male, dato che di cose da dire riguardo al mondo dei Cartelli messicani, Sheridan sembra averne molte.
Tuttavia infastidisce ritrovare in un prodotto di ottimo livello, le dinamiche tipiche della serialità televisiva e cinematografica, che abbiamo imparato a conoscere molto bene.
Le serie tv stanno raggiungendo un livello qualitativo sempre maggiore mentre, dall’altra parte, la tendenza a creare gli universi condivisi modello Marvel, o comunque di dare vita a prodotti seriali, è ben evidente.
Sia Sheridan che Sollima vengono dal mondo della televisione e chiaramente sanno bene come funziona un prodotto seriale. Se è vero quanto è stato dichiarato nelle interviste, quella di Sicario dovrebbe essere una trilogia, quindi con il prossimo film dovrebbe terminare la storia. Ma non è mai detto in questi casi, se il successo economico dovesse essere soddisfacente potremmo vedere spin-off e prequel vari.
Restando a Soldado, il film viene indebolito da queste esigenze imposte dalla serializzazione. Il finale è completamente aperto ma la cosa che più colpisce è il personaggio di Del Toro.
In uno dei momenti più belli del film viene brutalmente giustiziato Miguel. La scena è di fortissimo impatto ed estremamente coraggiosa perché uno dei due personaggi cardine viene eliminato in modo completamente antieroico e senza pathos, è un’uccisione fredda e spietata, nemmeno lo si vede in viso perché ha un sacco in testa.
Purtroppo però si scopre poco dopo che Alejandro non è morto ma è stato solo ferito, chiaramente per far sì che il suo personaggio, una delle cose che più sono piaciute del primo film, sia presente anche nel terzo capitolo.
Il fatto che Soldado non sia un film completamente autoconclusivo è un grande punto debole perché impedisce, ad esempio, di eliminare troppo velocemente certi personaggi. Nel caso di Alejandro poi, il modo in cui “torna in vita” è molto poco credibile e sembra quasi un cliffhanger da film di serie b.
Nonostante ciò però, il film riesce a non crollare su sé stesso, arrivando addirittura a un finale che, nonostante necessiti un ulteriore capitolo, è molto efficace e chiude il cerchio di Soldado, aprendo le porte al terzo e ultimo episodio.
Spendo infine qualche parola per Sollima, vero orgoglio italiano. Già da ACAB si era fatto notare, con Suburra aveva confermato il suo talento e con il suo esordio americano dimostra di saper gestire progetti molto più complessi e ambiziosi, meglio di tanti registi americani.
Le sue abilità tecniche sono innegabili e ci regala qui delle stupende sequenze d’azione e dei virtuosismi registici mai fine a sé stessi ma sempre funzionali, uno su tutti il piano sequenza dell’attentato al supermercato.
Le scene d’azione memorabili sono tante: dall’inseguimento in elicottero all’attacco al convoglio dei protagonisti che, oltre a ricordare Mad Max: Fury Road, sembra l’attualizzazione di una situazione tipicamente western: l’assalto alla carovana.
Riprende molto dal film precedente e dallo stile di Villeneuve: le riprese delle operazioni con gli infrarossi, la soggettiva dei droni, le spettacolari riprese aeree.
Forse la regia di Villeneuve era ancora superiore, specie nella gestione delle scene di tensione e nell’utilizzo delle riprese aeree da manuale, che ha confermato di saper sfruttare altrettanto bene in Arrival e Blade Runner 2049, ma Sollima non sfigura davanti al regista canadese.
Un grande merito del regista italiano però è quello di avere un’invidiabile sensibilità nell’inquadrare i volti dei protagonisti e di far trasparire le loro emozioni senza che pronuncino una parola, merito anche delle grandiose interpretazioni di Brolin e Del Toro e della sceneggiatura che fa dei rapporti tra i personaggi uno dei principali punti di forza. Notevoli sono anche i pochi momenti di distensione in cui in mezzo al caos e alla violenza, emergono i lati più umani di Alejandro e Graver.
Si possono trovare anche a livello di sceneggiatura delle tematiche care al regista, una su tutte la sottotrama di Miguel, classica storia di un ragazzo ambizioso che cerca di farsi un nome in un mondo di criminali, cosa già vista in Suburra e Gomorra.
Si sente invece la mancanza di Roger Deakins alla fotografia, che era uno dei punti di forza di Sicario, sostituito qui da Dariusz Wolski, fedele collaboratore di Ridley Scott negli ultimi anni, che non riesce a replicare le splendide luci e i colori del primo film, optando per una fotografia un po’ più fittizia e sicuramente meno efficace.
Tirando le somme, Soldado è un ottimo prodotto, in grado di coniugare intrattenimento di livello e riflessione come pochi altri film di genere americani hanno saputo fare negli ultimi anni.
Le premesse per una chiusura degna dei primi due capitoli ci sono, si spera che non vengano buttate all’aria.
Sarebbe molto interessante far dirigere il terzo film a un regista diverso, che possa dare un suo tocco personale all’opera, come sono stati in grado di fare Villeneuve e Sollima.
Se dovessi azzardare un nome, io ci vedrei perfettamente Garreth Evans, il regista di The Raid e The Raid- Redemption.
Scritto da: Tomàs Avila.
Note:
[1] https://www.hollywoodreporter.com/news/writer-taylor-sheridan-has-master-plan-sicario-trilogy-1123693
[2] “Pensi che userò il waterboarding, Bashir? Il Waterbaoarding è per quando non possiamo torturare. Questa è l’Africa e posso fare quello che voglio qui”
[3] “Cosa è successo al prezzo della cocaina dopo l’11 settembre, Ken?”