Prima di cominciare avviso i lettori che, come in tutte le altre monografie del sito, sono presenti molti spoiler, necessari per analizzare al meglio i film presi in considerazione.
BIOGRAFIA
Hong-jin Na è nato a Seul nel 1974. Dopo aver frequentato l’università di Han Yang, ha studiato cinema all’università coreana Nazionale delle Arti. La carriera di questo giovane regista è partita col botto. Dopo una serie di cortometraggi e una prova attoriale, nel 2008 ha girato “The Chaser”, un piccolo caso nazionale (ma non solo). Grazie all’inaspettato successo ottenuto con il lungometraggio d’esordio, la Fox Internation Productions si è interessata al suo secondo progetto. È stato il primo caso di una Major americana che produce un film coreano. È nato così “The Yellow Sea”, del 2010.
Dopo sei anni è finalmente arrivato il suo terzo lungometraggio: “The Wailing”, film del 2016 che rappresenta l’apice della breve carriera di Hong-jin Na.
La sua filmografia parla chiaro, tre film tra i più belli che ci siano arrivati dalla Corea del sud negli ultimi anni, e lo rende forse il più interessante tra i giovani registi connazionali.
FILMOGRAFIA DA REGISTA
-5 minutes, 2003 (cortometraggio)
–A Perfect Red Snapper Dish, 2005 (cortometraggio)
-Sweat, 2007 (cortometraggio)
–The Chaser, 2008
–The Yellow Sea, 2010
–The Wailing, 2016
Un cuoco deve preparare un piatto a base di pesce ma la cosa si rivelerà più difficile del previsto.
Ogni volta, quando ha quasi finito di preparare il piatto, sbaglia qualcosa ed è costretto a cominciare da capo. In poco tempo la situazione degenera e diventa sempre più grottesca in un crescendo di violenza, fino ad arrivare all’inquietante finale.
Già da questo lavoro si nota la commistione tra horror-thriller e comicità che il regista porterà avanti in ogni suo lavoro. Siamo però ancora lontani dai livelli dei suoi lungometraggi, anche se A Perfect Red Snapper Dish strappa qualche risata e lascia una sensazione di inquietudine.
Qui il cortometraggio completo:
Regia: Hong-jin Na.
Soggetto: Hong-jin Na.
Sceneggiatura: Hong-jin Na, Won-Chan Hong, Shinho Lee.
Musiche: Yong-rock Choi, Jun-seok Kim.
Direttore della fotografia: Sung-je Lee.
Produttore: Eui-Seok Cheong, Hee-Moon Chin, Il-hyung Cho, Moon-su Choi, Min-ho Jae, Seung-koo Jhung, Tak-Young Kang, Su-jin Kim, Sun-Yonh Kim, Woo-Taek Kim, Jae-se Park, Joon-tae Park, In-beom Yoon.
Anno: 2008.
Durata:125′.
Paese: Corea del Sud.
Interpreti e personaggi: Yun-seok Kim (Joong-ho Eom), Jung-woo Ha (Young-min Jee), Yeong-hie Seo (Mi-jin Kim), In-gi Jeoong (detective Lee).
L’ex poliziotto e attuale lenone Jung-ho si insospettisce dopo che un po’ delle sue ragazze scompaiono nel nulla. Temendo una fuga o peggio un acquisto sottobanco da parte di terzi, decide di indagare per conto suo sul mistero, finendo così per scoprire un orrore ben più profondo. (Da Mymovies)
Va subito detto che The Chaser è non solo uno dei migliori thriller (coreani e non) degli ultimi anni ma anche una delle opere più grandi arrivate dalla Corea del sud post 2000. È un titolo imprescindibile per chiunque volesse avvicinarsi alla cinematografia di questo paese. Un titolo da affiancare a film come Memories of Murder, Old Boy, I Saw The Devil e via dicendo.
La cosa che colpisce in particolare di questo film del 2008 è che si tratta dell’opera d’esordio di Hong-jin Na, regista che attualmente ha all’attivo tre lungometraggi, l’ultimo uscito da pochissimo tempo.
The Chaser è stato un caso nazionale: a fronte di un budget misero ha incassato intorno ai 35 milioni di dollari in patria, lanciando il regista, il cui nome è ormai abbastanza conosciuto.
Quando si parla di film coreani sui serial killer, si pensa inevitabilmente a Memories of Murder di Bong Joon-ho , capolavoro del 2003 con cui si sono dovuti confrontare tutti i thriller connazionali usciti da allora.
La pellicola del 2003 aveva messo le basi per il cinema di genere che l’avrebbe seguita. Atmosfere cupe e violente, critica sociale sempre presente e un pessimismo di fondo che raramente si trova nelle produzioni occidentali, quasi sempre volte a raggiungere un pubblico più ampio possibile, alleggerendo i contenuti.
The Chaser riprende questi elementi, spingendosi a volte ancora più in la, ma riesce ad essere completamente diverso dall’opera di Bong Joon-ho.
Per prima cosa cambia l’ambientazione: non siamo più in una cittadina di campagna, bensì in una grande città, trafficata e cosparsa di luci al neon. È una città cupa, piove quasi sempre e molte scene si svolgono di notte o in interni bui. La casa dove vive il serial killer è in un quartiere residenziale distante dal centro trafficato che vediamo in alcune scene. È una zona in collina, quindi tutte le piccole stradine che la attraversano sono in salita. Il regista si è soffermato molto sull’ambientazione, specialmente sulla zona circostante la casa dell’assassino. Infatti proprio lì avvengono due dei più belli inseguimenti del film, tra i vicoli così stretti da essere claustrofobici. Hong-jin Na ha spiegato che non esisteva da nessuna parte un quartiere come quello che vediamo nel film. Tuttavia aveva in mente di girare l’inseguimento in un certo modo e non ha voluto scendere a compromessi, così ha girato le scene in diverse città, facendo poi sembrare il tutto ambientato in un unico luogo. La città, come in molti altri film coreani, è veramente un elemento importante.
In secondo luogo, mentre Memories of Murder era ambientato negli anni ’80, The Chaser si sposta nella contemporaneità, mostrando che i problemi sociali sono tuttora presenti.
Il sottotesto politico-sociale del film è ben evidente. Per quel poco che si vede la popolazione è stremata, come ci dice il manifestante che ha lanciato le sue feci contro al sindaco della città. Ci sono gravi problemi sociali e i politici sembrano più impegnati a difendere la loro reputazione piuttosto che a fare seriamente qualcosa per cambiare la situazione. La polizia è, come al solito, rappresentata come un branco di incompetenti che non sa fare nulla di buono e si limita a seguire gli ordini imposti dall’alto. Arrivano addirittura a rilasciare un serial killer responsabile della morte di 12 persone pur di proteggere la reputazione del sindaco e non far nascere scandali politici. Insomma i politici pensano agli affari propri, la polizia è interessata ad incastrare l’assassino ma lo rilascia a causa degli ordini ricevuti.
Nessuno sembra preoccuparsi della vera vittima di tutta questa storia: Kim Mi-jin, prostituta rapita dal serial killer e forse ancora in vita. Nessuno se ne interessa, eccetto Eom Joong-ho, il protagonista del film.
Eom Joong-ho ci viene presentato come personaggio negativo: è un pappone, ex poliziotto corrotto, senza scrupoli. È violento, non sembra essere minimamente interessato alla condizione delle “sue ragazze”, gli interessa soltanto che lavorino e che portino soldi.
Alcune delle ragazze sono già scomparse ma non è ancora chiaro il motivo. Eom Joong-ho manda Kim Mi-jin (che per giunta è malata) da un cliente che si rivelerà essere l’assassino.
Insomma è un personaggio che non suscita la nostra simpatia, tuttavia questa storia lo cambierà profondamente e sarà l’unico ad interessarsi a Kim Mi-jin, forse perché si sente in colpa per averla inconsapevolmente mandata dal killer. I ruoli si ribaltano e Eom Joong-ho diventa una sorta di antieroe, disposto a tutto pur di salvare la ragazza.
Il cambiamento del protagonista avviene in gran parte grazie alla piccola Eun-ji, figlia della prostituta. In seguito al rapimento della madre, la bambina, che non ha mai conosciuto il padre, si trova completamente sola e Eom Joong-ho deciderà di prendersene cura, portandola con se.
Nel quadro pessimistico della Corea che ci viene mostrato, la bambina è l’unico barlume di luce e di speranza. È ancora pura e non corrotta dal marciume della società. La sua purezza riesce addirittura a far breccia nel cuore del protagonista.
In quest’ottica il finale risulta molto triste e pessimista ma con un barlume di speranza. In tutto il caos a cui abbiamo assistito per due ore, forse Eom Joong- ho ha trovato qualcosa a cui vale la pena interessarsi.
Nel finale torna il tema della città, con un movimento di macchina si passa dal protagonista e la bambina a una vista della città, come a suggerire che ciò a cui abbiamo assistito non è una storia unica ma solo una delle tante.
Un altro merito di The Chaser è quello di aver in un certo senso alzato l’asticella della violenza nei thriller coreani per le masse. La violenza messa in scena è veramente disturbante ma mai eccessiva o gratuita, perciò non diventa ridicola. In alcuni dei momenti più forti, come l’omicidio di Kim Mi-jin, la violenza (che è sempre esibita) viene resa più sopportabile dalla colonna sonora che rende il tutto quasi poetico.
Anche il fatto che Kim Mi-jin alla fine venga uccisa, inoltre per pura casualità, rende ben chiare le intenzioni del regista-sceneggiatore. Tutte le speranze dello spettatore vengono mandate in frantumi in una sola scena che ci riporta alla triste realtà. Si tratta di una scena veramente crudele che fa crescere nello spettatore la rabbia verso il serial killer e l’immedesimazione in Eom Joong-ho. Questo climax arriva all’apice nello scontro finale tra i due e in particolare nella scena in cui il protagonista si trova con un martello in mano (impossibile non pensare ad Old Boy) a dover scegliere se portare a termine la “vendetta” o se lasciare in vita l’assassino.
Tecnicamente il film è ineccepibile. La fotografia cupa è fantastica, specialmente nelle scene più buie come quella del combattimento finale. Le ambientazioni, come già detto, sono state studiate con grande cura ed il risultato è ottimo. La regia di Hong-jin Na si eleva subito sopra la media. Le scene d’azione sono dinamiche, sempre comprensibili e molto tese. A differenza di connazionali come Kim Jee-woon , Hon-jin Na è meno interessato ai virtuosismi registici e ai complessi movimenti di macchina, sembra più interessato a mantenere sempre costante la tensione e l’attenzione dello spettatore. Se si considera poi il budget ridotto a disposizione si rimane veramente sorpresi dal risultato ottenuto.
Un’altra cosa che sorprende è l’idea di base della pellicola: il fatto di eliminare il meccanismo del whodunit, rendendo da subito nota l’identità del killer, sia allo spettatore che ai personaggi. Nonostante ciò trova sempre il modo di mantenere alta la tensione e infatti il ritmo non cala dall’inizio alla fine, facendo volare via le due ore di durata. È da notare che due anni dopo I Saw The Devil, film di Kim Jee-woon, riproporrà la dinamica dello scontro tra un assassino la cui identità è nota e colui che gli da la caccia, sviluppando però il tema in tutt’altro modo.
Insomma, The Chaser merita di stare nell’olimpo dei film coreani dei ‘2000 per tutte le ragioni elencate. È sicuramente uno degli esordi più folgoranti degli ultimi anni, sia dal punto di vista economico che qualitativo. Fortunatamente anche in Italia è stato distribuito ed è facilmente reperibile.
Regia: Hong-jin Na.
Soggetto: Hong-jin Na.
Sceneggiatura: Hong-jin Na.
Musiche: Young-gyu Jang, Byung-hoon Lee.
Direttore della fotografia: Sung-je Lee.
Produttore: Jong-eun Byun, Dae-hoon Chung, Sung-goo Han, Jung-hoon You.
Anno: 2010.
Durata:157′.
Paese: Corea del Sud.
Interpreti e personaggi: Yun-seok Kim (Joong-ho Eom), Jung-woo Ha (Young-min Jee), Sung-ha Jo.
Dopo il sorprendente successo commerciale di The Chaser Hong-jin Na ha deciso di alzare ancora di più il tiro girando The Yellow Sea, un thriller d’azione a budget decisamente più elevato rispetto al suo film d’esordio.
Gu-nam fa il tassista a Yanji ed è un Joseonjok, ossia un sino-coreano che parla entrambe le lingue, sostanzialmente visto come uno straniero dai primi e come uno schiavo dai secondi. Gu-nam deve infatti ripagare un debito enorme, contratto in seguito all’acquisto di un visto da parte della moglie, tornata in Corea. Approfittando della sua disperazione, il sordido Myun Jung-hak gli propone un modo per riappropriarsi della sua libertà: tornare in Corea per uccidere un uomo. Per Gu-nam si presenta l’occasione duplice di affrancarsi e di ritrovare la moglie. (Da Mymovies)
Va detto per prima cosa che tra i produttori figura anche l’americana Fox Internation Productions.
Questo spiega perché il film sia in parte più vicino ai prodotti d’azione americani, nonostante se ne discosti per certi versi. The Yellow Sea è un film molto più dispendioso del precedente e rivolto anche ad un pubblico non coreano.
Nonostante ciò, la trama prende il via da un contesto lontanissimo al pubblico occidentale. Il problema dei Joseonjok, un’etnia particolarmente presente nello Yanbian, una prefettura coreana autonoma confinante con la Cina, la Corea del Nord e la Russia. Le didascalie iniziali ci introducono alla realtà degli Joseonjok, mal visti sia dai cinesi che dai coreani. Veniamo introdotti in un mondo in cui la criminalità è dilagante e in cui solo i più forti sopravvivono.
L’aspetto sociale è tuttavia presente quasi solo nella prima parte della pellicola. In seguito all’omicidio dell’uomo, il regista punta tutto sull’azione. È in questa parte che il film sembra avvicinarsi maggiormente ai prodotti americani, mantenendo però tutte le tipiche caratteristiche orientali: i combattimenti si svolgono quasi solo con armi bianche, la violenza è portata all’estremo e niente è lasciato fuori dallo schermo, ci sono i soliti siparietti comici (che riguardano come al solito la polizia, rappresentata come un gruppo di incompetenti) e via dicendo.
Man mano che il film procede la trama diventa sempre più intricata e certi passaggi possono risultare non del tutto chiari, a differenza di The Chaser in cui si seguiva con chiarezza ogni istante. Tuttavia questo non è un aspetto del tutto negativo, perché la confusione che si viene a creare tra i vari gruppi che si danno la caccia a vicenda rispecchia il caos in cui si trova il protagonista.
Probabilmente è questo il punto di contatto più evidente con The Chaser. Anche in questo caso, anzi qui ancora di più, il protagonista è una persona qualunque che si ritrova in qualcosa di molto più grande di lui.
A partire dal mondo in cui vive all’inizio, dominato dalla rabbia, dall’odio e dalla violenza, arrivando poi ad essere inseguito da polizia e criminali. Insomma si ritrova da solo contro tutti. E se nel film precedente c’era un barlume di speranza, rappresentato dalla bambina e dalla redenzione del protagonista, qui manca del tutto. Fin dall’inizio il protagonista è condannato perché in balia a forze che vanno al di là del suo controllo.
Il film non può che concludersi con la morte di Gu-nam, che tra l’altro avviene in un modo lontanissimo da ciò che siamo abituati a vedere nei film americani. La sua morte viene completamente despettacolarizzata, il suo corpo viene gettato nel mare e si intuisce che non è l’unico ad esserci finito.
Nonostante sia passato all’action, Hong-jin Na continua a descrivere un mondo cupo e senza speranza. Il suo sguardo rimane invariato e questi temi, a lui cari, verranno portati avanti anche nel suo terzo lungometraggio.
La regia di Hong-jin Na è sempre notevole e funzionale, in questo caso molto più frenetica e movimentata. Già in The Chaser veniva spesso usata la telecamera a mano, in The Yellow Sea viene utilizzata ancora maggiormente, assieme ad un montaggio velocissimo nelle scene d’azione. Forse le riprese sono fin troppo mosse, rendendo i combattimenti meno spettacolari e soprattutto meno comprensibili rispetto a film come The Raid (ormai diventato un metro di misura per quanto riguarda le sequenza di combattimento). Tuttavia le scene spettacolari non mancano, come dei combattimenti particolarmente riusciti (uno su tutti quello in cui Myun Jung-hak fa una strage) o l’inseguimento in auto.
La fotografia è molto realistica e cupa, non patinata come abbiamo visto in altri casi, si adatta perfettamente a ciò che viene raccontato. Il realismo della fotografia e della regia però contrasta con quello della narrazione. Lo stesso regista ha detto che i vari combattimenti non volevano essere realistici bensì con delle coreografie spettacolari anche se inverosimili.
Gli attori protagonisti sono gli stessi di The Chaser ma, in un certo senso, invertiti di ruolo, anche se in entrambi i film è difficile parlare di buoni e cattivi.
La durata è forse eccessiva, la director’s cut si aggira intorno ai 157 minuti che per un film d’azione non sono affatto pochi. Del resto a Hong-jin Na piace piace osare, visto che anche il suo terzo lungometraggio si aggira
intorno alle due ore e mezza di durata.
Insomma, The Yellow Sea è un grande film anche se non ai livelli di The Chaser, piccolo capolavoro che resta tra i migliori thriller degli ultimi anni.
Anche questo secondo lungometraggio del regista ho ottenuto un ottimo successo commerciale, incassando intorno ai 15 milioni di dollari ed è stato anche presentato (come gli altri suoi due film) a Cannes nel 2011 per la sezione Un Certain Regard.
Scritto da: Tomàs Avila.