Analisi Mute

In Analisi film, Cinema, Tomàs Avila by Tomas AvilaLeave a Comment

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Regia: Duncan Jones.
Soggetto: Duncan Jones.
Sceneggiatura: Duncan Jones, Michael Robert Johnson.
Colonna sonora: Clint Mansell.
Direttore della fotografia: Gary Shaw.
Montaggio: Barrett Heathcote, Laura Jennings.
Produttore: Liberty Films UK, Studio Babelsberg.
Anno: 2018.
Durata: 126’.
Paese: UK, Germania.
Interpreti e personaggi: Alexander Skarsgård (Leo Beiler), Paul Rudd (Cactus Bill), Justin Theroux (Duck Teddington), Seyneb Saleh (Naadirah), Robert Sheehan (Luba).

Dopo aver parlato di Annientamento di Alex Garland, non si poteva non scrivere qualcosa riguardo a Mute, l’attesissimo film di Duncan Jones, prodotto e distribuito da Netflix.

Nel 2046, in una Berlino carica di immigrati e dove si incontrano e si scontrano Oriente e Occidente, come in una sorta di fantascientifica Casablanca, Leo Beiler è un barista muto disperatamente alla ricerca della sua amata. La donna è scomparsa e la ricerca nei bassifondi della città porta Leo in contatto con una coppia di chirurghi americani, che sembrano in qualche modo collegati al caso e di cui lui non sa se può fidarsi o meno. (da Mymovies)

Mute è per Duncan Jones quello che per Terry Gilliam è The Man Who Killed Don Quixote. Si tratta di progetti portati avanti per anni e continuamente rimandati o interrotti per cause di forza maggiore. Nel caso di Mute, Jones lo aveva ideato addirittura prima di Moon; si tratta quindi di un’idea che ha impiegato circa quindici anni a svilupparsi.
Il problema principale, come nel caso di Annientamento, era il fatto che i produttori non credevano nel progetto di Jones che, a causa della sua stravaganza e della pesantezza di certi temi trattati, non sembrava un buon investimento.
A salvare la situazione è arrivato Netflix che ha permesso la realizzazione del film, saltando però il passaggio per le sale cinematografiche. Ho già parlato abbondantemente dell’argomento in riferimento ad Annientamento, quindi rimando all’articolo sull’opera di Garland.

Mute, che sarebbe dovuto essere il primo film di Jones, pensato per avere come protagonista Sam Rockwell (che è rimasto come attore principale in Moon), ha deluso la gran parte della critica e del pubblico, probabilmente a causa delle aspettative molto elevate. Nel giro di pochi giorni dalla sua uscita si sono moltiplicate le recensioni negative.

A mio parere si tratta di un film molto complesso e personale, ricco di spunti di riflessione e realizzato, dal punto di vista estetico, in modo eccellente.
Una delle critiche che più sono state rivolte a Mute è il fatto di aver voluto affrontare fin troppe tematiche, inserendo troppi personaggi e situazioni che poi vengono abbandonate senza un motivo.
E in effetti è vero, i personaggi sono molti e nel corso del film il protagonista cambia più volte; personaggi che sembravano secondari acquistano maggiore importanza e viceversa. Il mondo narrativo di Mute è un mondo caotico, in cui si intrecciano diverse storie e s’incontrano molti personaggi, accomunati quasi tutti dall’appartenere ai bassifondi della Berlino portata in scena, per un motivo o per l’altro.

Ma parliamo quindi delle ambientazioni, togliendoci subito un peso: Jones si è chiaramente ispirato a Blade Runner di Ridley Scott dal punto di vista estetico, cosa che non sorprende in quanto il seminale film del 1982 ha messo le basi per qualsiasi prodotto intenzionato ad avvicinarsi al genere cyberpunk. Blade Runner è uno di quei capisaldi imprescindibili, come possono essere 2001 Odissea nello spazio o Solaris.

Jones dunque realizza una Berlino cyberpunk in cui però soltanto alcune zone sembrano essere futuristiche mentre altre potrebbero benissimo appartenere ai giorni nostri.
Qui si pone una prima questione interessante: quanta importanza ha l’ambientazione futuristica in Mute? Sebbene all’inizio sia molto presente, più il film va avanti più questa passa in secondo piano, fino a quando non ci si dimentica quasi che si tratta di un film sci-fi.
La storia raccontata da Jones non dipende dalla sua collocazione spazio-temporale, è fuori dal tempo; potrebbe essere ambientata nel passato, così come nel presente e nel futuro.
La cosa che rende più importante l’ambientazione futuristica è forse il contrasto tra lo sviluppo tecnologico e lo stile di vita di Leo che, essendo un Amish, rifiuta quasi completamente la tecnologia. Significativo è il fatto che nel suo tempo libero Leo si dedichi alla falegnameria, quanto di più lontano potrebbe esserci da un universo cyberpunk.

A questo si aggiungono anche i personaggi di Cactus e Duck, ex militari dal passato oscuro ma che presumibilmente hanno fatto in guerra qualcosa che li ha fatti andare via non solo dall’esercito ma anche dagli Stati Uniti. Nonostante all’inizio sembrino più che altro due macchiette, Jones nel corso del film approfondisce notevolmente il loro rapporto che diventa sempre più centrale. Cactus e Duck potrebbero essere dei personaggi usciti da un film di Tarantino o dei fratelli Coen e  non hanno molto a che fare con un immaginario fantascientifico.

Si arriva a quella che è la più grande differenza tra un film come Annientamento e uno come Mute. I due registi approcciano in modo diverso la fantascienza ma più in generale l’arte cinematografica. Se Garland è più interessato alla fantascienza filosofica e quindi a realizzare un film che punti a far sforzare lo spettatore per comprenderlo, Jones mira direttamente ai sentimenti e ci regala un film che, nonostante le imperfezioni, è profondamente umano, perché i suoi personaggi sono sfaccettati, ambigui e dunque estremamente veri. Nonostante la predilezione del regista per la fantascienza, in questo caso possiamo notare come il suo talento trascenda il genere, dopo il deludente Warcraft- L’inizio che aveva fatto venire qualche dubbio a riguardo.

Quale senso può avere però questo grande intreccio di storie e di personaggi? Visto alla luce della didascalia che chiude la pellicola, una dedica al padre David Bowie e alla tata Marion Skene, sembra chiaro che il tema della paternità sia centrale. La sceneggiatura del film è cambiata notevolmente nel corso degli anni, soprattutto a causa di diversi fatti accaduti nella vita privata del regista: dalla morte del padre, al cancro che è stato diagnosticato alla moglie, fino ad arrivare alla nascita del loro primo figlio.
In un modo o nell’altro tutto ci riporta alla responsabilità di essere genitori e a quanto questo possa influenzare la vita di un bambino (una bambina nel caso di Mute).
I vari personaggi non sono altro che i diversi possibili futuri di Josie, la domanda è: chi alla fine sarà suo padre?

In conclusione il film di Jones, nel bene o nel male, spiazza lo spettatore. Tutti ci aspettavamo qualcosa di diverso e si capisce come mai il regista abbia avuto così tante difficoltà a trovare un produttore disposto a finanziare la sua stravagante idea. È un film discontinuo, che passa da un momento all’altro dalla fantascienza al dramma, dalla brutalità alla commedia, mantenendo sempre però un’amarezza di fondo nel descrivere un mondo futuro sempre più cupo, raggiungendo l’apice nella scena della morte di Cactus, talmente terribile da far provare pietà per un personaggio che è tutt’altro che positivo.

Interessante è inoltre la scelta di ambientare Mute nello stesso universo narrativo di Moon, dopo il ritorno del personaggio interpretato da Sam Rockwell sulla Terra, con cui si concludeva il film del 2009. I riferimenti alla Lunar Industries sono diversi e l’intera vicenda avviene proprio durante lo svolgimento del processo alla multinazionale.
Lo ripeto, Mute è un film estremamente personale, si capisce che per Jones era un’esigenza realizzarlo e l’impressione è quella che l’abbia fatto più per sé stesso che per il pubblico. Paradossalmente, nonostante sia molto più lineare e facile (almeno a un livello più superficiale) rispetto a Annientamento, Mute risulta di più difficile comprensione rispetto alla pellicola di Garland, perché troppo legato al vissuto del regista e quindi quasi impossibile da decifrare completamente.

Proprio per questo motivo comprendo le critiche negative che ha ricevuto il film, per quanto io la pensi in modo diverso.
La cosa certa è che ancora una volta Jones ha confermato di non essere un regista qualsiasi (e uno sceneggiatore in questo caso). È dotato di grande talento ed è un autore, come ho già scritto per Garland, di cui si sente il bisogno, per il suo saper osare e proporre qualcosa di diverso da ciò a cui siamo abituati.

Scritto da: Tomàs Avila.