Greg Gaines è un adolescente all’ultimo anno di liceo, incerto sul suo futuro e schivo dalle relazioni sociali – perfino il suo migliore amico Earl, con la quale condivide una cinefilia maniacale e si diverte a creare divertentissimi cortometraggi parodistici sui classici del cinema (da Kubrick a Truffaut a Bergman) viene da lui stesso rinominato “collega” – sopravvivendo solo tramite una maschera di cinismo e ironia, evitando ogni rapporto con i suoi coetanei. Coetanei che ha imparato a categorizzare e con la quale intrattiene “il minimo rapporto necessario” per poter convivere nella giungla che vuole essere il liceo, il più serenamente possibile. Earl questo lo sa bene e non si tira indietro nell’assecondarlo condividendo le pause pranzo con lui e il loro affezionato professore di storia, alla quale fa sfondo la visione di film di Herzog, regista vate dei due giovani amici. Ma quando sua madre lo costringerà a passare parte del suo tempo con Rachel, una compagna di scuola affetta da leucemia, i piani di Greg prenderanno una piega decisamente inaspettata.
“Non so che farmene della tua stupida compassione”
“No, ci deve essere un equivoco, non sono qui perchè mi fai pena, in realtà è stata mia madre che mi ha obbligato”
“Non so cos’è peggio”
“Dillo a me.”
Attirata dalla parrucca rosa della protagonista che mi ha immediatamente riportato alla mente una dolcissima Alice di Closer, ho deciso di dare una chance a questo piccolo film di produzione indipendente, nato originariamente dalla penna di Jesse Andrews.
Per quanto dire che si tratta di una pellicola in “pieno stile Sundace” risulterebbe approssimativo ma non del tutto errato – siano in ogni caso al cospetto del vincitore dell’ultimo Sundance Film Festival – è necessario precisare quanto seppur rischiando di cadere in alcuni cliché tipici del Sundance movie, quest’etichetta la definisca in parte: senza incanalarsi banalmente nel filone del teen movie (quindi non come vuole sviarci il titolo italiano ma prometto, per questa volta, di non soffermarmi a commentare le aberranti scelte della distribuzione) o del cancer movie, Me and Earl and the Dying girl non vuole rinunciare a commuovere, pur trattando un tema già ampiamente affrontato come quello del cambiamento e della crescita personale, risultando una pellicola eccentrica e sognante.
Forse anche perché il film, affrontando apertamente il rischio di una scontata retorica sulla malattia con conseguente commozione affabile non ha nessuna pretesa d’essere un cancer movie, (ricordate tutti il recente ‘Colpa delle stelle’? Ecco, dimenticatevelo) o di prendersi il merito di creare manipolazioni strappalacrime.
Motivo per cui Greg fin da subito infrange il patto segretamente stipulato con lo spettatore, condisce qualsiasi situazione con ironia e monologhi surreali e Rachel – la ‘diyng girl’ del titolo originale- non è da meno ad assecondarlo, creando un’alchimia dove lo spettatore non può far altro che osservare e toccare con mano la genesi di un rapporto – non d’amore, è il caso di specificarlo e Greg ci tiene particolarmente- costruito da un Alfonso Gomez-Rejon, veterano assistente di Martin Scorsese, che indovina meticolosamente colori e toni ed equilibri, grazie anche all’accurata fotografia di Chung Chung-hoon, prediletto da Park Chan-wook.
Il merito è anche di due interpreti giovanissimi ma di straordinaria bravura quali Thomas Mann (una curiosa e promettente omonimia) e Olivia Cooke.
Inoltre si tratta, anche questo è il caso di specificarlo, di un chiaro omaggio dal tratto amatoriale, al cinema in tutto e per tutto: lo scorgiamo dalla parrucca rosa di Rachel (appunto ‘Closer‘ di Mike Nichols), tramite le inquadrature perfettamente simmetriche e andersoniane, la divisione in capitoli dai titoli di dubbia sobrietà spesso adottata da Tarantino, siparietti animati in stop motion, adorabili corti parodistici quali “A sockwork orange”, “Eyes Wide Butt” o “The 400 bros” e altri, scaturiti dalla sconfinata immaginazione di Greg e Earl e apprezzabili e quotidiani spezzoni di film di Werner Herzog disseminati nella pellicola.
Ed è proprio grazie al cinema, in particolare grazie ai corti nosense di Greg e Earl, che Rachel troverà un po’ di sollievo durante il suo calvario. Da una parte si può definire questo piccolo film una vera e propria dichiarazione d’amore alla settima arte, una pellicola che sprizza cinefilia da ogni frame dove gli omaggi si sprecano e non hanno pretese intellettualistiche.
Lo snodo sostanziale della film è anche che non si tratta, come ho già detto, di una pellicola sul cancro: la malattia vuole solo essere un mezzo di passaggio, non l’apice e nemmeno l’arrivo. Senza ombra di dubbio, Me and Earl and the Dying Girl arriva tardi (e ne è marcatamente consapevole) riducendosi a chiudi-fila di tutta una serie di film su una tematica così delicata e facilmente volta alla lacrima facile dove il rischio di portare in scena semplicemente una retorica del dramma è prepotentemente in agguato. Ne ricordiamo i numerosi casi come ‘L’amore che resta’ di Gus Van Sant, la rivisitazione in commedia ’50 e 50’, ‘La custode di mia sorella’ (uno dei film più strazianti e retorici mai prodotti sul tema) e il freschissimo già citato cancer movie adolescenziale ‘Colpa delle Stelle’.
Me and Earl and the Dying girl parla di un percorso di formazione e della ricerca di un senso alle cose, del filo minuscolo che lega ancora Rachel alla sua esistenza, di un futuro imprevedibile di cui Greg sa poco e niente. Parla di un talento, quello di Greg che non nasconde ma non riesce a far emergere e quello di Rachel, che emergerà quando sarà ormai tardi.
Un percorso malinconico, toccante ma attraversato da sentimenti veri, dove tramite accorgimenti che possono far storcere il naso ai più avversi a certi vezzi tipicamente indie, riesce agilmente a far commuovere – anche costoro – senza mai scadere nel mediocre. Delicatissimi e per nulla scontati a questo proposito, i brani inseriti sul finale della pellicola “Remember me as a time of day” del gruppo post-rock strumentale Explosion in the Sky o la colonna sonora che fa sfondo al capolavoro visivo che è il film per Rachel, “The big ship” di Brian Eno.
Scritto da: Molly