The Purge: una saga americana- La notte del giudizio (2013)

In Cinema, The Purge: una saga americana, Tomàs Avila by Tomas AvilaLeave a Comment

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Regia: James DeMonaco.
Sceneggiatura: James DeMonaco.
Soggetto: James DeMonaco.
Colonna sonora: Nathan Whitehead.
Direttore della fotografia: Jaques Jouffret.
Montaggio: Peter Gvozdas.
Produttore: Blumhouse Productions, Universal Pictures, Platinum Dunes, Why Not Productions, Overlord Productions.
Anno: 2013.
Durata: 85’.
Paese: Francia, USA.
Interpreti e personaggi: Ethan Hawke (James Sandin), Lena Headey (Mary Sandin), Max Burkholder (Charlie Sandin), Adelaide Kane (Zoey Sandin), Rhys Wakefield (Polite Leader), Edwin Hodge (Bloody Stranger).

In un’America devastata dalla criminalità e dal sovraffollamento delle carceri, il governo ha sancito un periodo all’anno di dodici ore durante il quale ogni crimine o reato commesso non viene punito. Nell’arco delle 12 ore, la polizia non può essere chiamata, gli ospedali sospendono ogni forma di aiuto e la cittadinanza è costretta ad autoregolamentarsi senza pensare troppo alle conseguenze. Quando un intruso irrompe durante le ore di “libertà” in casa Sandin dando inizio a una sequenza di eventi minacciosi, James (Ethan Hawke), la moglie Mary (Lena Headey) e i loro figli vedranno messi alla prova i loro limiti per proteggersi senza trasformarsi nei mostri da cui stanno cercando di nascondersi. (da FilmTv)

È nel 2013 che James deMonaco girò The Purge, il film che lo fece esplodere, nonostante avesse già realizzato nel 2009 il meno noto Staten Island. DeMonaco inoltre lavorava nel mondo del cinema già da più di dieci anni come sceneggiatore. Si era occupato della sceneggiatura di film come Jack, di Francis Ford Coppola, Il negoziatore, di F. Gary Gray, e soprattutto Assault on Precinct 13, di Jean-Francois Richet che ci fa già capire la vicinanza del suo cinema a quello di Carpenter.

Dopo anni da sceneggiatore e con un film da regista alle spalle, DeMonaco girò quindi The Purge, prodotto da quel genio di Jason Blum, lungimirante proprietario della Blumhouse, la casa di produzione che sta dietro ad alcuni degli horror più remunerativi degli ultimi anni. La formula, anche per The Purge, è sempre la stessa: budget ridotto (3 milioni di dollari) e una forte idea di base che portano, nella maggior parte dei casi, a degli incassi estremamente positivi. In questo caso 89 milioni a fronte dei 3 di partenza.
È interessante sottolineare che tra i produttori figura anche il tanto odiato Michael Bay, notoriamente repubblicano ma evidentemente deluso dal suo Paese, a giudicare dai suoi ultimi film.

La forza del primo The Purge sta quasi completamente nella notevole idea di base, decisamente superiore a come poi procede il film dal punto di vista narrativo, riproponendo situazioni viste e riviste.
Un’idea di base che porta a riflessioni politico-sociali estremamente attuali e di facile presa sul pubblico, in particolare quello americano, un po’ come è successo recentemente con Get Out, non a caso sempre della Blumhouse.

DeMonaco è andato a toccare uno dei tasti dolenti degli Stati Uniti: il fatto che siano fondati sulla violenza, come ci ha ricordato anche Tarantino con il suo ultimo film.
Non importava che nel 2013 fosse Obama il presidente in carica, colui che avrebbe dovuto risollevare gli USA dopo le nefandezze e i vari scandali venuti alla luce durante il governo J.W. Bush.
La forza di The Purge è proprio questa: uscire in un periodo storico in cui, almeno teoricamente, a trionfare sono i progressisti, i democratici.
È più facile muovere certe critiche quando tutti lo stanno facendo, si veda per esempio come la gran parte di Hollywood si sia schierata contro Trump. Più complicato invece è ricordare a tutti che le cose vanno male, anche quando sembrano andare meglio del solito. Ancora più difficile è farlo con un film d’intrattenimento che sembrerebbe il classico horror estivo che si guarda solo per passare qualche ora al fresco.

DeMonaco invece, da grande ammiratore di Carpenter quale è, ha capito perfettamente come coniugare l’intrattenimento e la critica sociale, facendo reggere il film da un’idea di base che potrebbe essere uscita dalle prime stagioni di Black Mirror, se non fosse che è fortemente legata agli States.
Come si può risolvere il problema della criminalità americana? In uno stato in cui tutti possono avere accesso facile alle armi e in cui non sorprende più che ogni tanto qualcuno faccia una strage, la soluzione proposta dai Nuovi Padri Fondatori, politici visti dal popolo quasi come fossero dei semidei, è quella di lasciare sfogare gli istinti animaleschi di tutti i cittadini americani una volta ogni anno per dodici ore.
Accettare il fatto che l’uomo, nonostante combatta contro di essa, ha una parte bestiale attratta dalla violenza, e far sì che tutti, come accadeva nel medioevo con il carnevale, abbiano una giornata per uscire dal ruolo che ricoprono normalmente, trasformandosi in qualcosa di altro: ciò che sono realmente e che le norme del vivere in società impediscono di rendere manifesto.
Come il carnevale, con una differenza però: si esce dai propri ruoli ma non si invertono. I ricchi restano ricchi, i poveri restano poveri e, ovviamente, chi ricopre cariche politiche non partecipa al gioco.
O meglio, può partecipare come carnefice ma non come vittima.

Nel primo episodio della saga, DeMonaco ci porta dentro alla lussuosa villa del protagonista, interpretato da Ethan Hawke, un borghese arricchitosi vendendo sistemi di sicurezza per barricarsi in casa durante la notte dello sfogo. E già qui dovrebbero sorgere i primi dubbi: quello che viene spacciato come un bisogno della collettività, porta tanti soldi nelle tasche di pochi. È inutile cercare di trovare casi analoghi nel mondo reale perché ce ne sarebbero così tanti che questo articolo non finirebbe più.

In ogni caso, il regista ci imprigiona in una villa borghese, all’interno di un quartiere borghese in cui solitamente lo sfogo non è vissuto con troppa preoccupazione. Chi vuole uscire e divertirsi ad ammazzare qualche senzatetto lo può fare, chi invece preferisce restare in casa, può tranquillamente farlo affidandosi ai dispendiosi sistemi di sicurezza che in pochi si possono permettere.
Solitamente è così ma questa volta le cose vanno diversamente: un intruso riesce a varcare le mura di casa Sandin, si tratta probabilmente di un senza tetto o comunque di una persona poco abbiente. L’intruso è assolutamente innocuo, il problema è che a dargli la caccia c’è un gruppo di ragazzi ben educati, ovviamente di famiglie bene, che, pur di riavere il loro giocattolo, sono pronti a violare una delle leggi non scritte dei ricchi durante lo sfogo: non sfogarsi contro ai propri simili.

Quando i ragazzi irrompono nella cassa del protagonista crollano, oltre ai sistemi di difesa, anche le certezze dei Sandin, i valori in cui credevano di credere. O almeno all’inizio. Poi si renderanno conto di essere nella stessa posizione del malcapitato inseguito dai ragazzi e di non godere più dei privilegi garantiti dal loro status sociale. È in quel momento che le differenze di classe vengono appiattite e che entra in vigore una sola legge: l’istinto di sopravvivenza. Anche il protagonista arriverà a capire che, una volta nella bara, siamo fondamentalmente tutti uguali.

Se già per questa intuizione il film meriterebbe di essere visto, DeMonaco inizia anche a far sorgere il dubbio che lo sfogo, più che una cosa necessaria fatta per il bene della popolazione, sia un modo per ristabilire gli equilibri. Eliminando gli strati sociali più deboli, l’economia americana risulta miracolosamente in crescita. Si tratta di un tema che diventerà però centrale nei film successivi.

In questo primo capitolo, DeMonaco si ispira fortemente al Carpenter di Distretto 13- Le brigate della morte. Il film è tutto chiuso all’interno della casa dei protagonisti che, come in ogni home invasion che si rispetti, verrà assediata e poco per volta demolita, insieme ai valori che questa simboleggia, specialmente se, come in questo caso, è l’emblema dello status sociale dei Sandin. Niente di nuovo, ci aveva già pensato, tra i tanti, anche Antonioni quasi cinquant’anni fa con Zabriskie Point, che con l’home invasion non ha niente a che fare.

È questa la cosa meno convincente della pellicola: come film di genere, di puro intrattenimento, non è particolarmente degno di nota. Assistiamo alle solite meccaniche da home invasion, se non per qualche colpo di scena ben piazzato, come la morte del capo della banda dei ragazzi in cerca di violenza.

Fortunatamente, visto il clamoroso successo al botteghino, DeMonaco ha avuto modo di approfondire e sviluppare quanto fatto nel primo film con i capitoli successivi.

 

Scritto da: Tomàs Avila.

 

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