Recensione Richard Jewell + videorecensione

In Cinema, Recensioni brevi, Tomàs Avila by scheggedivetroLeave a Comment

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Regia: Clint Eastwood.
Soggetto: Marie Brenner.
Sceneggiatura: Billy Ray.
Colonna sonora: Arturo Sandoval.
Direttore della fotografia: Yves Bélanger.
Montaggio: Joel Cox.
Produttore: 75 Year Plan Productions, Appian Way, Misher Films, The Malpaso Company, Warner Bros.
Anno: 2019.
Durata: 131′.
Paese: USA.
Interpreti e personaggi: Paul Walter Hauser (Richard Jewell), Sam Rockwell (Watson Bryant), Olivia Wilde (Kathy Scruggs), Jon Hamm (Tom Shaw).

Il regista racconta la vera storia di Richard Jewell e il caso giudiziario e di cronaca nato intorno all’attentato da lui sventato alle Olimpiadi del 1996. Se prima venne presentato da tutte le testate come un eroe, poco dopo iniziò ad essere indagato dall’FBI e l’indagine divenne di dominio pubblico a causa di una fuga di informazioni.

 

Eastwood continua con il suo ciclo di film sugli eroi americani (o antieroi, come nel caso di The Mule).

Attraverso film incentrati sulle vere storie di uomini americani, il regista continua a raccontarci il suo paese e ciò che lui pensa del suo paese.

Il suo sguardo, ancora una volta, è inconfondibile e riesce a distinguersi in un periodo in cui vanno per la maggiore film all’insegna di un progressismo di facciata, che cavalcano le tematiche del momento con il cinismo che ha sempre contraddistinto l’industria cinematografica americana.

In questo panorama Eastwood è una delle poche voci fuori dal coro, cosa che lo ha portato più volte ad essere al centro di polemiche, sia riguardanti i suoi film, sia riguardanti alcune delle sue dichiarazioni riguardo alla politica americana.

Va detto fin da subito che Richard Jewell, così come tutti gli ultimi film di Eastwood, attraverso il racconto della storia di un uomo, parla in realtà di tutti gli Stati Uniti e rende ben chiara la posizione politica del regista.

Come è noto, negli Stati Uniti sono due i partiti che si contendono il governo: quello democratico e quello repubblicano.
La maggior parte dello star system hollywoodiano è dichiaratamente schierato a favore dei democratici che, semplificando molto le cose, potremmo considerare come un partito di centro-sinistra.
Eastwood invece è registrato come repubblicano dal 1951 e ha quasi sempre votato esponenti del partito repubblicano, con rare eccezioni.

La posizione politica del regista è sempre stata molto discussa e praticamente a ogni suoi film si ritorna a parlarne.
Questo perché molti dei suoi film sembrano andare contro all’immagine che si ha dell’ideologia repubblicana.

Da icona del western, genere che più di tutti ha saputo rispecchiare i cambiamenti della società americana, negli ultimi vent’anni Eastwood ha diretto diversi film che potrebbero sembrare quasi in contrasto l’uno con l’altro.
Dall’apologo della tolleranza e dell’accettazione di Gran Torino al patriottismo di American Sniper, dalla presa di posizione a favore dell’eutanasia in Million Dollar Baby a Ore 15:17 – Attacco al treno, forse l’unico passo falso negli ultimi anni della filmografia di Eastwood.

Questi sono solo alcuni esempi ma la lista è lunga, basta pensare a The Mule e allo sguardo di Eastwood neutrale, se non comprensivo, nei confronti del protagonista ma anche della criminalità messicana, laddove ci si sarebbe aspettati, da un repubblicano, qualcosa di più vicino alla rappresentazione dei messicani che si trova in film come Rambo last blood.

Eastwood in passato si è definito un libertario. In quest’ottica già si riesce a inquadrare meglio la sua filmografia degli ultimi anni.
Il più alto fine politico del libertario è la libertà: individuale, economica, politica, e il minor intervento possibile dello stato, specie laddove si tratta di limitazioni della libertà.
Si spiega meglio il significato di un film come Million Dollar Baby, un film ideologicamente molto lontano dalla destra, o dal partito Repubblicano, restando in America, proprio per la decisa posizione pro eutanasia.

In occasione delle elezioni del 2016, Eastwood ha rilasciato un’interessante intervista, che è stata travisata da gran parte della stampa italiana, riportando soltanto alcune affermazioni decontestualizzate, che lo facevano passare per un sostenitore di Trump.
Leggendo tutta l’intervista la posizione di Eastwood risulta ancora più chiara.

Rispondendo a una domanda dell’intervistatore, che gli aveva chiesto se si definisse ancora libertario, il regista ha risposto di non sapere come definirsi e che è un po’ di tutto.
Questo è il punto fondamentale per comprendere gli ultimi film del regista e le apparenti contraddizioni che spesso portano a discussioni sul suo conto.

È difficile inquadrare politicamente Eastwood e il suo cinema, proprio perché trascende la politica e diventa qualcosa di più, entra nel campo dell’etica e dell’individuo.

In parte alcuni film di Eastwood potrebbero sembrare vicini, ideologicamente, a due degli ultimi film di Michael Bay, altro regista dichiaratamente repubblicano.

Parlo di Pain & Gain e 13 Hours, pellicole che criticano aspramente l’America e le istituzioni americane, in particolare il secondo. Una critica che viene mossa però da un repubblicano, disilluso e deluso dal suo paese.

Eastwood però si spinge oltre, per i motivi che abbiamo visto prima, muovendo un accusa al suo paese sotto diversi punti di vista: la corruzione delle istituzioni, l’arrivismo dei media in cerca di pubblico e sensazionalismo spicciolo, non risparmia critiche anche al protagonista stesso.

Tuttavia, in opposizione a un paese allo sbaraglio, mette una persona, un individuo e le sue scelte etiche e morali che lui stesso pensa siano frutto del paese in cui vive ma che, come probabilmente è accaduto a Eastwood stesso, durante il corso del film si rende sempre più conto dipendere soltanto da lui.

Jewell ha sempre rispettato le forze dell’ordine, quasi venerato, e ha desiderato entrare a farne parte.
Nel corso del processo che subisce però, si rende conto che non è l’istituzione a essere portatrice dei principi in cui crede, ma il singolo individuo e le proprie azioni.

In questo senso, Richard Jewell è molto vicino a un altro splendido film del regista: Sully, un altro caso di individuo che agisce mosso dai suoi principi morali e che viene per questo messo sotto processo.

A un certo punto del film Richard dice che vedendo quello che è successo a lui, se dovesse esserci un altro zaino sospetto, le guardie ci penseranno bene prima di avvertire la polizia e che probabilmente se ne andranno per la loro strada per non essere accusati.

Ancora una volta torna utile l’intervista già citata precedentemente. Quando Eastwood dice che ci troviamo nella pussy-generation, ovvero nella generazione delle fighette, si riferisce a questo. Al fatto che è sempre più difficile che qualcuno prenda una posizione decisa, specie se si tratta di andare controtendenza, seguendo esclusivamente i propri principi.

Eastwood ha dato più volte prova di essere invece una voce fuori dal coro e di non farsi problemi a dire e fare ciò che pensa, anche quando questo porta all’ennesimo polverone. Si pensi alla critica a Obama nel celebre discorso alla sedia vuota, che rappresentava proprio l’ex presidente americano.

Allo stesso modo si comportano i personaggi dei suoi film, indipendentemente dall’orientamento politico che diventa di importanza secondaria.

Al successo del film contribuisce anche uno stile asciutto, che non cerca mai il patetismo e la lacrima facile, anche dove sarebbe possibile ma che presenta in modo diretto e senza fronzoli la storia del protagonista, merito anche di una sceneggiatura brillante.

E anche in questo sta la forza del cinema di Eastwood, ancora una volta, fuori dal coro, in un periodo in cui il discorso sulla pussy-generation può benissimo essere applicato anche all’industria cinematografica americana, in cui va per la maggiore un insopportabile buonismo che porta, ad esempio, alla candidatura di film mediocri esclusivamente per via dei temi trattati e all’esclusione di opere come questo Richard Jewell.

Richard Jewell è un grande film e quello di Eastwood è grande cinema, importante più che mai in un periodo come questo.

 

Qui trovate la nostra videorecensione del film:

 

 

Scritto da: Tomàs Avila.