Regia: Guillermo del Toro.
Soggetto: Guillermo del Toro.
Sceneggiatura: Guillermo del Toro, Vanessa Taylor.
Colonna sonora: Alexandre Desplat.
Direttore della fotografia: Dan Laustsen.
Montaggio: Sidney Wolinsky.
Produttore: Bull Productions, Double Dare You (DDY), Fox Searchlight Pictures.
Anno: 2017.
Durata: 123’.
Paese: USA, Canada.
Interpreti e personaggi: Sally Hawkins (Elisa Esposito), Michael Shannon (Richard Strickland), Richard Jenkins (Giles), Octavia Spencer (Zelda Fuller), Michael Stuhlbarg (Dr. Robert Hoffstetler), Doug Jones (Amphibian Man).
Dopo il bellissimo e incompreso Crimson Peak, criticato da molti, del Toro torna con un film che si ricollega ai suoi lavori più apprezzati, come Il labirinto del fauno e La spina del diavolo.
Elisa, giovane donna muta, lavora in un laboratorio scientifico di Baltimora dove gli americani combattono la guerra fredda. Impiegata come donna delle pulizie, Elisa è legata da profonda amicizia a Zelda, collega afroamericana che lotta per i suoi diritti dentro il matrimonio e la società, e Giles, vicino di casa omosessuale, discriminato sul lavoro. Diversi in un mondo di mostri dall’aspetto rassicurante, scoprono che in laboratorio (soprav)vive in cattività una creatura anfibia di grande intelligenza e sensibilità. A rivelarle è Elisa. Condannata al silenzio e alla solitudine, si innamora ricambiata di quel mistero capace di vivere tra acqua e aria. Ma il loro sentimento dovrà presto fare i conti con una gerarchia ostile incarnata dal dispotico Strickland. In piena corsa alle stelle contro i russi, gli Stati Uniti non badano a spese e a crudeltà. Per garantirsi e garantire al suo Paese un futuro stellare, Strickland è deciso a tutto. (da Mymovies)
Indice:
–A caccia di premi
–Freaks, diversi ed emarginati
–Il fantasy e la Storia
–Comparto tecnico
–Conclusioni
Ormai si è capito: The Shape of Water è il film che sancirà definitivamente il riconoscimento di del Toro come uno dei grandi registi contemporanei. Non che ce ne fosse il reale bisogno, lo sappiamo già tutti. Quello che fino ad ora è mancato è stato un riconoscimento ufficiale della cosa. Il labirinto del Fauno aveva già vinto tre premi oscar (miglior fotografia, miglior scenografia e miglior trucco) ma il regista messicano non è ancora stato insignito di un premio da parte dell’Academy.
Molto probabilmente, visto il successo riscosso ai Golden Globe, questa potrebbe essere la volta buona, in seguito a una serie di progetti abbandonati (Lo Hobbit, Hellboy 3, il remake di Il mostro della laguna nera) e di insuccessi di critica, come nel caso di Crimson Peak.
Come spesso capita quindi, si tratta di un riconoscimento ufficiale che renda chiaro a tutti ciò che in realtà è già ben noto.
Questa volta del Toro sembra essersi impegnato, avercela messa tutta per fare incetta di premi.
Solitamente una cosa del genere è vista in modo negativo, almeno da me. Registi che riscuotono tanto successo, come Iñárritu, per citare un nome di un certo peso, hanno come obiettivo quello di piacere all’Academy.
Ecco, questa è una critica che non si può muovere a The Shape of Water. È vero, tratta dei temi che all’Academy piacciono particolarmente, è confezionato benissimo e forse, come già detto, questa volta era in parte studiato per piacere alle varie giurie. Nonostante ciò però la prima cosa che si nota guardando il decimo lungometraggio del regista è la spontaneità e la naturalezza con cui viene raccontata questa fiaba dark, l’ennesima della sua filmografia. Si capisce perfettamente quanto del Toro sia onesto nel raccontare delle storie e nel trattare dei temi senza scadere nella retorica di molti prodotti impacchettati ad hoc per i membri dell’Academy (cito sempre gli Oscar ma è un discorso che si può estendere anche ai vari festival).
La cosa non sorprende visto che del Toro ha basato tutta la sua filmografia su questi temi che, specifichiamolo, sono quelli della diversità e dell’emarginazione del diverso, spesso visto come un vero e proprio mostro. Il regista è attratto dai freaks e dai mostri, che siano gli antieroi di Hellboy, o la creatura di The Shape of Water, passando per le creature fantastiche di Il labirinto del fauno e i fantasmi di La spina del diavolo e Crimson Peak.
Del Toro costruisce dei mondi popolati da personaggi stravaganti, la cui impronta è inconfondibile. Anche nei film più commerciali, come Pacific Rim, che sembrerebbero discostarsi dalla sua poetica, ritroviamo delle caratteristiche che ci fanno immediatamente riconoscere il suo stile.
The Shape of Water è sicuramente uno dei suoi film più personali: scritto, diretto e (in parte) prodotto da del Toro. Un progetto in lavorazione dal 2011 che già alla base rende evidente lo sconfinato amore del regista per il cinema. La fonte d’ispirazione principale è Il mostro della laguna nera, di Jack Arnold, uno dei mostri della Universal. Il ciclo di film horror della Universal è un vero e proprio circo di freaks che non poteva non ispirare un regista come del Toro. Il regista infatti era in trattativa con la Universal per girare un remake de Il mostro della laguna nera, offerta che ha declinato perché non avrebbe potuto fare ciò che voleva: adottare il punto di vista del mostro, come suo solito. La major a quanto pare ha preferito creare il Dark Universe che abbiamo iniziato a conoscere con La Mummia e che non sembra destinato ad avere un grande successo.
“Per fortuna”, verrebbe da dire a posteriori, visto cosa è riuscito a fare del Toro con The Shape of Water, un film estremamente personale che difficilmente sarebbe riuscito a realizzare se fosse dovuto scendere a compromessi con la Universal. In questo modo non ha dovuto rinunciare alle esplosioni di violenza che caratterizzavano anche Il labirinto del Fauno e a scene di nudo.
In ogni caso i riferimenti al film di Arnold sono svariati: dalla fisionomia del mostro al fatto che venga trovato in Sud America, fino all’idea di studiarlo per riuscire a creare delle apparecchiature utili per far respirare gli astronauti nello spazio.
Quello che fa del Toro è prendere i mostri degli horror classici, nei confronti dei quali nutre grande rispetto e ammirazione, cambiandone però il punto di vista, ribaltando i ruoli dei personaggi. Così quello che prima era considerato il mostro, nel suo cinema diventa più umano degli umani stessi che, molto spesso, sono i veri antagonisti.
In questo modo una scena come quella in cui il mostro prende in braccio la protagonista, allo stesso tempo cita la celebre scena de Il mostro della laguna nera e ne cambia radicalmente il significato.
The Shape of Water potrebbe essere considerato il terzo capitolo di un’ipotetica trilogia i cui altri due film sono La spina del diavolo e Il labirinto del fauno che, a mio parere, resta tuttora la sua pellicola più riuscita.
L’elemento fondamentale che condividono i tre film è l’inserimento di un racconto fantasy all’interno di un contesto storico realmente esistito che assume un ruolo di primo piano.
I primi due erano ambientati nella Spagna franchista e l’elemento fantasy subentrava, specialmente ne Il labirinto del Fauno come una sorta di scappatoia per fuggire dalla terribile realtà.
In The Shape of Water invece la storia è ambientata negli Stati Uniti del 1962, in piena guerra fredda.
Questa volta non è più un bambino il protagonista della vicenda ma un’inserviente muta, abituata a una vita routinaria da emarginata, insieme ai suoi pochi amici, anch’essi degli emarginati sociali: una collega afroamericana e un vicino di casa omosessuale.
Un gruppo di diversi che si troverà ad aiutare la creatura anfibia, comprendendone la solitudine.
Ancora una volta il contesto storico è importante perché si tratta del periodo in cui il sogno americano era più che mai vivo. Nel film il personaggio interpretato da Michael Shannon è la personificazione dell’american way of life: razzista, conservatore, con una famiglia tipo, la classica villa e l’auto di ultima generazione, vero simbolo del sogno americano che, non a caso, verrà distrutta nel corso del film.
Era inoltre il periodo della corsa allo spazio, che viene più volte tirata in ballo nel film e che è stata una delle principali fonti d’ispirazione per i gli horror e gli sci-fi degli anni ’60, quelli che del Toro cita continuamente.
Nel miscuglio di generi, dall’horror alla commedia, dal dramma al noir, fino al musical, del Toro inserisce anche una sorta di spy story che vede in contrasto, ovviamente, gli americani e i sovietici. La cosa interessante è il fatto che il regista non si schieri da nessuna delle due parti. In un periodo in cui il mondo era diviso in due blocchi politici, del Toro vuole mostrarci come sia l’umanità di coloro che non vengono accettati da nessuna delle due parti l’unica possibile salvezza.
Come al solito quindi la sua visione della realtà è estremamente pessimistica, è ancora l’elemento fantasy l’unica possibile via di fuga. Il finale del film, che ricorda molto quello di Il labirinto del fauno, ne è la dimostrazione e sovrappone i due piani della fiaba e della cruda realtà, facendoci capire come solo attraverso la prima si possa sopportare la seconda.
Ovviamente è impossibile non pensare a un parallelismo tra la società americana raffigurata nel film, violenta, razzista, omofoba, che tende ad escludere ed eliminare qualsiasi possibile elemento divergente, e quella attuale. Questo è senza dubbio uno dei motivi del successo che sta ricevendo il film.
Insomma del Toro ha trattato i temi giusti nel momento giusto: la presidenza di Trump.
È noto a tutti che gran parte dello star system hollywoodiano si sia schierato contro al nuovo presidente americano ed è ancora più noto che negli ultimi tempi certi argomenti di discussione (il razzismo, l’emarginazione sociale e via dicendo) siano tornati ad essere ancora più caldi del solito.
Dal punto di vista della realizzazione tecnica il film è, come sempre con del Toro, di altissimo livello.
La regia è quasi sempre fluida e in movimento, spesso con movimenti di macchina anche abbastanza lunghi che però non risultano mai dei virtuosismi fine a sé stessi ma quasi non si notano, per quanto sono piegati a favore della narrazione.
La fotografia desaturata di Dan Laustsen, già collaboratore di del Toro in Crimson Peak, crea una patina d’epoca alternando i colori gialli della casa della protagonista e i freddi grigi e blu del laboratorio scientifico.
Le scenografie sono sempre convincenti e rendono bene l’idea del periodo storico anche se le ambientazioni, per quanto siano sempre curate nel minimo dettaglio, non assumono mai un ruolo fondamentale, come ne Il labirinto del Fauno e Crimson Peak.
Come al solito è importante sottolineare l’uso che del Toro fa dei colori, sia per quanto riguarda gli ambienti, come appena specificato, sia per i personaggi. Elisa è vestita sempre di verde/azzurro, tranne quando ha il cappotto rosso e quando sogna di essere dentro a un musical; verdi sono anche gli asciugamani che usa in casa, un continuo rimando all’acqua, elemento di estrema importanza nel film, e alla creatura.
The Shape of Water non è il miglior film del regista che, personalmente, resta sempre Il labirinto del Fauno. Nonostante ciò però è un tassello importante della sua filmografia, un film che lo farà conoscere ai pochi che ancora non sanno chi sia, portandoli magari a vedere anche le sue opere meno note.
The Shape of Water è arrivato nel momento giusto e per fortuna, perché finalmente, dopo anni in cui alcuni compaesani del regista (Iñárritu e Cuaron) sono entrati a far parte dei registi più famosi e discussi di Hollywood, anche Guillermo del Toro, da sempre il più sottovalutato del gruppo, verrà considerato come tale.
Scritto da: Tomàs Avila.
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