Regia: Sang-ho Yeon.
Soggetto: Sang-ho Yeon.
Sceneggiatura: Sang-ho Yeon.
Musiche: Jang Young-gyu.
Direttore della fotografia: Lee Hyung-deok.
Produttore: Next Entertainment World, RedPeter Film.
Anno: 2016.
Durata: 118’.
Paese: Corea del Sud.
Interpreti e personaggi: Yoo Gong (Seok Woo), Soo-an Kim (Soo-an), Yu-mi Jeong (Sung Gyeong), Dong-seok Ma (Sang Hwa), Woo-sik Choi (Young Gook).
Seok-wu è un manager finanziario separato dalla moglie: la piccola Su-an spesso si sente trascurata da lui e preferisce la compagnia della madre. Sul treno su cui viaggiano i due, per portare Su-an dalla madre che vive a Busan, sale una ragazza che riporta delle ferite strane sul corpo, simili al morso di un animale. Presto si trasformerà in zombi e sul treno per Busan si scatenerà l’inferno. (da Mymovies)
“Train to Busan” è l’ennesimo film che dimostra (se ce ne fosse ancora bisogno) quanto la cinematografia sud coreana sia avanti rispetto alle altre.
Si parla di uno zombi movie, uno dei migliori visti in tempi recenti, rivolto al grande pubblico. In Corea del Sud è stato un grande successo, anzi il più grande dell’anno con un incasso di circa 81 milioni di dollari a fronte di un budget di circa 9 milioni. Ha scavalcato nettamente anche i rivali americani come “Capitan America: Civil War”[1].
Questo perché “Train to Busan” funziona alla perfezione come film d’intrattenimento. Si tratta di un horror, anche se c’è molta azione e a un certo punto anche la componente drammatica diventa decisiva. Più che di zombi, sarebbe corretto parlare di infetti. Il film di Sang-ho Yeon cerca di inserirsi in quel filone di horror-action rivolti al grande pubblico che comprende pellicole ben note come “World War Z”[2] o “Io sono leggenda”[3].
Parliamo di film in cui il sangue e gli sbudellamenti, che avevano sempre accompagnato gli zombi, vengono completamente eliminati per dar vita a prodotti formato famiglia, rivolti ai ragazzi come agli adulti.
A dire il vero questo lo si nota un po’ anche in “Train to Busan” in cui il sangue, nonostante sia presente, non scorre a fiumi. Ma questo è un “problema” del quale ci si dimentica in fretta perché le quasi 2 ore di durata scorrono velocissime, tra inseguimenti al cardiopalma e scene dal fortissimo impatto visivo.
“Train to Busan” segna inoltre l’esordio al live action di Sang-ho Yeon, regista che fino ad ora si era occupato soltanto di animazione. La cosa interessante è che nel 2016 ha realizzato sia il film di cui stiamo parlando, sia “Seoul Station”, un lungometraggio di animazione collegato a “Train to Busan”. Insomma doveva essere fissato con l’idea di questa epidemia di infetti pronta a radere al suolo la Corea del Sud.
Come ci hanno abituati i più grandi registi horror, uno su tutti il maestro (nonché vero padre degli zombi) George A. Romero[4], gli zombi sono le creature del cinema orrorifico che più di tutte si prestano alla critica sociale. Se a questo si aggiunge che in molti film d’intrattenimento realizzati in Corea del Sud sono presenti sottotesti politico-sociali, appare subito chiaro che in “Train to Busan” non possono mancare i risvolti di critica.
E infatti sono presenti e molto efficaci. La società coreana viene rappresentata come una società di impiegati in giacca e cravatta, interessati soltanto al raggiungimento dei propri scopi, fregandosene completamente degli altri.
Il protagonista è l’emblema di quanto detto, è un agente di borsa arrivista, senza scrupoli. Sua figlia sta invece all’estremo opposto, è sempre aperta al prossimo e odia i modi di fare del padre.
Sono molte le situazioni in cui gli esseri umani risultano essere ben peggiori degli infetti (che almeno rispondo a semplici istinti animali). Anzi, a dirla tutta, più volte si prova gusto a vedere alcuni dei personaggi venire massacrati dagli infetti.
Questi si muovono sempre in gruppo e la loro forza deriva proprio dallo stare assieme (ad esempio la scena in cui fermano il treno). Ma la cosa più importante è che sembrano essere gli unici in grado di sovvertire l’ordine che si è venuto a stabilire, a distruggere l’orda di impiegati in giacca e cravatta.
Il finale, per quanto drammatico, è molto meno cinico rispetto ad altri film coreani visti di recente. Anzi è abbastanza speranzoso. Il protagonista cambia radicalmente e smette di considerare solo i suoi interessi, il che gli costerà la vita ma gli permetterà di “redimersi” da un’esistenza passata ad ignorare il prossimo.
La scena finale poi, che sembra rievocare il finale de “La notte dei morti viventi”[5], si conclude tutto sommato nel migliore dei modi.
Mi ricollego all’inizio, quando dicevo che la cinematografia coreana è sempre un passo avanti (rispetto a quella americana in particolar modo). Pensate a “World
War Z” o a tutti i film d’intrattenimento filoamericani in cui c’è poco altro se non patriottismo becero e il richiamo ai valori tradizionali come quello della famiglia, basti pensare a tutti i disaster movie. E adesso pensate invece a film come “Train to Busan” o “The Terror Live”[6]. La Corea ci dimostra ancora come non sia affatto impossibile fare film d’intrattenimento che riescano anche a fare pensare, cosa che in America avviene sempre più di rado.
Il film è stato presentato al festival di Cannes del 2016.
Scritto da: Tomàs Avila.
Note:
[1] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt3498820/?ref_=fn_al_tt_6 .
[2] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0816711/?ref_=nv_sr_1 .
[3] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0480249/?ref_=fn_al_tt_1 .
[4] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0001681/?ref_=nv_sr_1 .
[5] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0063350/?ref_=fn_al_tt_1 .
[6] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt2990738/?ref_=nv_sr_1 .