Prima di cominciare avviso i lettori che in questa recensione saranno presenti degli spoiler, necessari per analizzare al meglio il film.
Regia: Peter Watkins.
Soggetto: Peter Watkins.
Sceneggiatura: Peter Watkins.
Direttore della fotografia: Peter Bartlett, Peter Suschitzky.
Produttore: Peter Watkins.
Anno: 1965.
Durata:45′.
Paese: UK.
Nel 1965 Peter Watkins realizza quello che forse può essere considerato il primo vero e proprio mockumentary. Siamo in piena guerra fredda; solo 3 anni prima, nel 1962, c’era stata la crisi dei missili di Cuba, la tensione è palpabile. La BBC, società radiotelevisiva inglese, produce questo “The War Game”, programmando di trasmetterlo il 6 agosto 1965, in occasione del ventennale dell’attacco atomico di Hiroshima.
Il tema dell’attacco nucleare era allora molto caldo, attuale e sicuramente scomodo quindi, se visto adesso il mediometraggio non lascia indifferenti, visto allora l’impatto era veramente forte. Così forte che la BBC decise di non trasmetterlo fino al 1985.
Oltre al tema scottante, la forza del film deriva soprattutto dallo stile adottato dal Watkins, appunto quello del falso documentario. Adesso siamo abituati a questo tipo di linguaggio ma negli anni ’60 era veramente una novità. Il regista inglese è uno dei più importanti esponenti del Free Cinema, un movimento cinematografico politicamente molto connotato (verso la sinistra) e facente parte delle New Waves dei ’50/’60. “The War Game” porta all’estremo la ricerca del realismo e le tecniche cinematografiche del free cinema, adottando uno stile documentaristico.
Ciò che viene raccontato è un ipotetico attacco nucleare a danno di una città inglese.
Il film si può dividere in più parti: nella prima parte l’argomento viene introdotto, vengono forniti i primi dati e si fa leva soprattutto sul fatto che il governo britannico non si sia preoccupato (se non all’ultimo momento) di informare i cittadini riguardo agli attacchi atomici. Ciò è testimoniato anche da delle (finte) interviste a persone comuni che si dimostrano molto ignoranti a riguardo.
In un secondo momento Watkins passa all’attacco vero e proprio. Viene messa in scena un’esplosione nucleare, spiegando i vari effetti che potrebbe avere sul territorio e la popolazione.
La terza parte è dedicata invece a tutto ciò che viene dopo l’esplosione: dal problema delle radiazioni, a quello delle malformazioni, dalle conseguenze psicologiche a quelle sociali.
Tutto questo in soli 45 minuti.
Si capisce subito qual è la posizione del regista riguardo alla bomba atomica ma anche riguardo alla guerra in generale. Watkins è fortemente pacifista e antimilitarista ma non si limita a trattare questo argomento, inserendo degli elementi di forte critica sociale rivolti alla società dell’epoca. La polizia che diventa sempre più autoritaria, il razzismo dilagante (una donna costretta ad ospitare dei rifugiati chiede subito se sono neri), la Chiesa che continua a giustificare l’uso della violenza e la guerra “giusta”.
Alla denuncia molto forte si aggiunge il fatto che vengano mostrate scene molto pesanti e violente rispetto a ciò che si vedeva all’epoca. I trucchi sono abbastanza realistici e rendono bene l’idea delle ustioni provocate dall’esplosione. La violenza però non si limita solo all’esplosione, anzi è concentrata soprattutto nella terza parte, quella dedicata alle conseguenze.
Viene rappresentata una società ormai allo sfacelo, in cui si è persa l’umanità: i malati più gravi non possono essere curati e quindi vengono uccisi, le forze dell’ordine diventano sempre più autoritarie e giustiziano chi non ubbidisce ai loro ordini, la maggior parte delle persone cade in depressione.
Anche in questo caso Watkins fa vedere anche le situazioni più disperate, come l’uccisione dei malati gravi.
Tutta questa parte è ben riassunta da una frase che viene mostrata in didascalia:
“Would the survivors envy the dead?”.
Infine il regista si scaglia contro ai media che quasi mai trattano questi argomenti, contribuendo alla disinformazione della popolazione.
Veniamo ora allo stile adottato dal regista. Sembra di guardare un vero documentario, con tutte le caratteristiche tipiche del genere documentaristico. C’è una voice over che ci accompagna dall’inizio alla fine, dandoci informazioni su ciò che avviene. Ci sono molte interviste, sia alla gente comune che a personaggi di maggiore rilievo o esperti (vescovi, psicologi, dottori e via dicendo).
La tecnica della camera a mano è utilizzata alla perfezione ed è ciò che maggiormente conferisce realismo all’opera. Nelle scene più tranquille vediamo diversi long take mentre in quelle più movimentate il montaggio diventa più concitato e la macchina da presa è così mossa da non far capire con precisione ciò che avviene, cosa che caratterizza quasi tutti i mockumentary attuali. Anche le zoomate improvvise, specialmente nei momenti più movimentati, conferiscono realismo al film.
Vengono molto usati i fermo immagine, associati agli interventi della voice over.
La presenza della telecamera è sempre esibita, con personaggi che guardano in macchina o che addirittura parlano con il cameraman (come il poliziotto che gli impedisce di oltrepassare delle barricate).
Nonostante il film sia un falso documentario, c’è stato da parte di Watkins un lavoro di ricerca e ciò che si vede è basato soprattutto su dati ottenuti dai bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki (atomici) ma anche da quelli di Dresda, Dramstadt, Amburgo e dal test nucleare svolto in Nevada nel 1954.
Sono poi stati consultati diversi esperti tra cui membri della difesa civile, strateghi, un dottore, un biofisico e uno psichiatra (questo in particolare si nota dal rilievo dato alla componente psicologica nel post esplosione).
Insomma “The War Game” è un vero e proprio capolavoro, nonché il fondatore di un genere cinematografico. È imprescindibile se si parla di mockumentary ma andrebbe visto anche al di là di quest’ambito. Mantiene tuttora una grande forza ed è ancora in grado di scuotere lo spettatore.
Nonostante la BBC non lo abbia trasmesso per anni, il mediometraggio ha ottenuto un ottimo successo. È stato proiettato in anteprima alla mostra del cinema di Venezia del 1966 e ha addirittura vinto nel 1967 il premio oscar per il miglior documentario.
Peter Watkins è stato uno dei registi più importanti per il genere del falso documentario e lo ritroveremo quando parleremo di un altro suo film: “Punisment Park”.
Scritto da: Tomàs Avila.