Regia: M. Night Shyamalan.
Soggetto: M. Night Shyamalan.
Sceneggiatura: M. Night Shyamalan.
Direttore della fotografia: Maryse Alberti.
Produttore: M. Night Shyamalan, Jason Blum, Marc Bienstock.
Anno: 2015.
Durata: 95′.
Paese: USA.
Interpreti e personaggi: Kathryn Hahn (Mamma), Olivia DeJonge (Becca), Ed Oxenbould (Tyler), Deanna Dunagan (Nana), Peter McRobbie (Pop Pop).
Loretta è una donna separata e madre di due ragazzini: Rebecca, di quindici anni, e Tyler, di tredici. Da circa quindici anni non ha più alcun rapporto con i suoi genitori. Tuttavia, un giorno, su insistenza degli anziani, Loretta decide di mandare i suoi figli per una settimana nella loro casa in Pennsylvania per farglieli conoscere.
Rebecca (Olivia DeJonge), aspirante regista, decide di girare un film sulla vita della madre. La vita della donna prima della sua nascita è però celata in un vaso di Pandora sul quale lei non vuole rimuginare, quale occasione migliore di una visita ai nonni sconosciuti per colmare la sete di ‘storie’ della piccola regista? La scelta di Shyamalan di passare le sue abilità tecniche ad un alter-ego filmico è radicale ed indice di quanto sia importante per lui la ‘costruzione’ dell’opera. Siamo di fronte ad un raro caso in cui il cosiddetto found footage, il filmato ritrovato, è ben girato e calibrato alla perfezione sotto l’aspetto tecnico.
La macchina da presa acquista di senso all’interno della storia e diventa un personaggio, sarà ben posizionata? Le luci? La focale è quella corretta per girare una scena di questo tipo? Rebecca/ Shyamalan ha tutte le risposte del caso. Molto interessante è la scelta di portare anche il fratellino dietro la cinepresa, la differenza è percepibile e lascia allo spettatore la percezione di ripresa del vero ricercata.
Molto spesso, soprattutto negli ultimi anni, questo tipo di girato viene usato male o a sproposito, e ci si ritrova in film come Unfriended dai quali non si vede l’ora di scappare…
The Visit, è un mondo a parte, molto vicino al precedente The Village (2004, M. Night Shyamalan) per stile narrativo o all’acclamatissimo Babadook (2014, Jennifer Kent) . La tensione è alta fin da subito, lo spettatore è alla ricerca del jumpscare che non arriva quasi mai quando lo si attende, incrementando sempre più l’angoscia. Finalmente un Horror alla vecchia maniera quindi, poco sangue ma molta cura dei dettagli e del tempo del racconto. La settimana dei fratelli è scandita da lettere cubitali rosse, che diventano sempre più frenetiche, presagio del plot twist finale.
Shyamalan attinge a piene mani nel calderone delle paure primordiali – non sovrannaturali – niente alieni, lupi mannari, strane mutazioni genetiche … è la caducità dell’uomo il vero mostro. La vecchiaia, la malattia, la follia, gli attori principali che danzano in ogni scena, alternandosi nel creare un ritmo che solo in superficie sembra andare a rilento mentre si prepara al gran finale.
Il mondo delle fiabe fa da canovaccio alla sceneggiatura, i dialoghi perlopiù poco significativi lasciano il posto all’azione, o meglio alla non azione. Hansel e Gretel, Il nonno e il nipotino, la mitologia di Baba Jaga, rappresentano la punta dell’iceberg del mondo fantastico da cui il regista ha tratto ispirazione. Come i Fratelli Grimm, Shyamalan cerca nelle disavventure quotidiane il pretesto per emozionare chi guarda, non però in cerca di redenzione o di una morale, ma del puro orrore.
«Cerca di capire che sono molto vecchi e la cosa ti sembrerà normale», la giustificazione razionale che Rebecca propina al fratello per tutta la pellicola sembra assolutamente ragionevole, eppure i bambini hanno paura, noi abbiamo paura e la vecchia pazza continua a fare cose strane come preparare biscotti al formaggio. Dov’è la radice del male secondo Shyamalan? Nella mente dell’uomo in primo luogo. Egli gioca con la psiche dello spettatore, prendendolo quasi in giro, mostrando il lato terrifico di un possibile io futuro.
Nel non fatto, nei gesti incomprensibili, nella vergognosa umanità che nasconde la vecchiaia sotto il tappeto troviamo tutto il resto.
Perfetta la scelta degli attori per il ruolo di Nana(Deanna Dunagan) e Nonno(Peter McRobbie), bellissima e nevrotica lei, praticamente una vera strega; stordito e accondiscendente, ma capace di iperbolici scatti d’ira, lui.
Come d’ordinanza, il film prosegue verso un climax in cui tutta l’angoscia accumulata arriva a maturazione e finalmente si svela l’inganno, da dove proviene tutto il marcio che impregna la bucolica magione dei nonni. Nel finale il mockumentary svela tutte le sue potenzialità. Due telecamere, posizionate strategicamente, riprendono da angolazioni particolari – quasi d’ispirazione pittorica – il perpetrarsi delle angherie dei vecchi a danno dei due ragazzi. Il sapiente montaggio rende avvincenti anche le scene più statiche e crudeli.
Il nostro duo, che fino alla fine sembra prendere gli strani comportamenti dei nonni come mere «cose da vecchi», esterna tutto il disagio accumulato nella settimana in un’imprevedibile ribaltamento dei ruoli. La musica, assente nel resto della pellicola, ricorda i vecchi film hollywoodiani in un omaggio all’immancabile happy ending.
Scritto da: Ilaria Micella