Recensione Suburbicon- Dove tutto è come sembra

In Cinema, Recensioni Film, Tomàs Avila by Tomas AvilaLeave a Comment

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Regia: George Clooney.
Soggetto: Joel Coen, Ethan Coen, George Clooney, Grant Heslov.
Sceneggiatura: Joel Coen, Ethan Coen, George Clooney, Grant Heslov.
Colonna sonora: Alexandre Desplat.
Direttore della fotografia: Robert Elswit.
Montaggio: Stephen Mirrione.
Produttore: Black Bear Pictures, Dark Castle Entertainment, Huahua Media, Silver Pictures, Smokehouse Pictures.
Anno: 2017.
Durata: 105’.
Paese: UK, USA.
Interpreti e personaggi: Matt Damon (Gardner Lodge), Julianne Moore (Rose/ Margaret), Oscar Isaac (Bud Cooper), Noah Jupe (Nicky Lodge), Glenn Fleshler (Ira Sloan).

George Clooney torna alla regia a tre anni di distanza da Monuments Men, con Suburbicon, Dove tutto è come sembra, di cui ha curato anche la sceneggiatura insieme ai fratelli Coen e Grant Heslov.

Gardner Lodge vive nella ridente Suburbicon con la moglie Rose, rimasta paralizzata in seguito ad un incidente, e il figlio Nicky. La sorella gemella di Rose, Margaret, è sempre con loro, per aiutare in casa. L’apparente tranquillità della cittadina entra in crisi quando una coppia di colore, i Meyers, con un bambino dell’età di Nicky, si trasferisce nella villetta accanto ai Gardner. L’intera comunità di Suburbicon s’infiamma e si adopera per ricacciare indietro “i negri” con ogni mezzo. Intanto, due delinquenti, irrompono nottetempo nell’abitazione dei Lodge e li stordiscono con il cloroformio, uccidendo Rose. (da Mymovies)

SuburbiconDopo The Shape of Water di Guillermo del Toro, anche Clooney ci riporta nel periodo della Guerra Fredda, in particolare negli anni ‘50, affrontato infinite volte al cinema e diventato simbolo della precarietà dell’american dream che, in quel momento, era al massimo del suo splendore ma allo stesso tempo prossimo al collasso.
Suburbicon è un’idilliaca città di provincia, apparentemente perfetta, con le classiche ville a schiera, le auto di ultima generazione e le immancabili famiglie felici e senza problemi. Una città così perfetta da sembrare immediatamente finta, come quelle create apposta per essere rase al suolo con i test nucleari.

Già dall’inizio Suburbicon rende subito evidenti i problemi che lo caratterizzano: tutto sembra già visto.
Il progressivo disvelamento del marcio che sta dietro alla facciata di perbenismo della provincia americana è qualcosa che abbiamo visto molte volte e trattato molto meglio. Può venire in mente il capolavoro di David Lynch Velluto Blu ma anche gli stessi film dei Coen, di cui Clooney è un grande amico, giusto per fare due esempi.
SuburbiconFin da subito si capisce dove il film andrà a parare, specialmente sapendo della collaborazione dei Coen, e nonostante tutto sia realizzato con cura, è inevitabile annoiarsi di fronte all’ennesima riproposizione di temi, personaggi e addirittura tratti stilistici dei due talentuosi fratelli.
La fotografia d’epoca, la rielaborazione dei generi, con una spiccata propensione verso il noir classico, l’umorismo nero, i personaggi sopra le righe, persino la colonna sonora (di Alexandre Desplat, altro curioso punto in comune con The Shape of Water): c’è tutto il campionario dei Coen.
Il problema, oltre al fatto del déjà vu, è che non sembra un film dei Coen ma un tentativo di imitazione abbastanza fiacco.
L’umorismo non è mai pungente come dovrebbe, i personaggi sono così caricaturali da sembrare delle semplici macchiette, senza avere una profondità che li renda veri, addirittura le “improvvise” esplosioni di violenza non colpiscono, per quanto sono prevedibili, se non inevitabili all’interno di uno schema narrativo che conosciamo ormai fin troppo bene.

Ovviamente non potevano mancare i riferimenti alla contemporaneità, in un periodo in cui quasi tutta Hollywood si è schierata contro al governo Trump e agli ideali che questo porta con sé.
SuburbiconCosì Suburbicon procede su due binari: da una parte scopriamo poco per volta il marcio che c’è dietro alla famiglia del protagonista, apparentemente tranquilla e felice ma in realtà fortemente disfunzionale. Una progressiva demolizione dell’istituzione della famiglia borghese (bianca), tanto cara all’american way of life.
Dall’altra parte, sullo sfondo, c’è invece la discriminazione raziale di tutta la comunità di Suburbicon, verso la prima famiglia afroamericana stabilitasi nella città. Discriminazione che passa velocemente dalle parole ai fatti.
Ovviamente non può mancare la critica ai mass media, a cui sfugge del tutto famiglia Lodge, essendo troppo concentrati sulla situazione della famiglia afroamericana.

Il finale simbolico, ed estremamente costruito e banale, fa incontrare i bambini delle due famiglie, entrambi innocenti, puri e senza pregiudizi, facendo intendere che l’unica speranza stia proprio in loro, ancora liberi da preconcetti e dalla violenza del mondo degli adulti. I due bambini si trovano in giardino e giocano, divisi fisicamente e metaforicamente da una staccionata.

SuburbiconUn finale che non fa altro che confermare quanto già detto. Cosa differenzia un film come Suburbicon da uno come The Shape of Water? Per quanto entrambi trattino dei temi molto cari all’Academy e all’area democratica dello star system, è impossibile non notare quanto il film di Clooney sembri costruito a tavolino senza troppa convinzione, a differenza di The Shape of Water, in cui del Toro riprende il tema del diverso che ha caratterizzato la sua filmografia fin dagli inizi.
La differenza è che da una parte abbiamo un film ben realizzato, che può anche essere piacevole, ma di plastica, finto come la città che mette in scena, dall’altra invece un regista che dimostra ogni volta di amare profondamente i suoi personaggi e di credere veramente in ciò che fa e soprattutto nel potere del cinema.

 

Scritto da: Tomàs Avila.