Recensione Baby

In Ludovica G., Serie Tv by Ludovica G.Leave a Comment

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Regia: Andrea De Sica, Anna Negri.
Soggetto: Eleonora Trucchi, Romolo Re Salvador, Marco Raspanti, Giacomo Mazzariol, Antonio Le Fosse.
Sceneggiatura: Isabella Aguilar, Giacomo Durzi, Eleonora Trucchi, Romolo Re Salvador, Marco Raspanti, Giacomo Mazzariol, Antonio Le Fosse.
Direttore della fotografia: Stefano Falivene.
Montaggio: Pietro Morana.
Produttore: Fabula Pictures.
Anno: 2018.
Durata: 6 episodi da 50′.
Paese: Italia.
Interpreti e personaggi: Benedetta Porcarioli (Chiara), Alice Pagani (Ludovica), Chabeli Sastre (Camilla), Brando Pacitto (Fabio).

Baby è la nuova serie italiana su Netflix uscita il 30 novembre 2018 con una prima stagione composta da 6 episodi ed annunciata il 15 novembre del 2017. Diretta da Andrea De Sica e Anna Negri è liberamente ispirata ad un fatto realmente accaduto, lo scandalo delle baby squillo dei Parioli.

Lo scandalo in questione risale al 2013 e coinvolse Mirko Ieni e due ragazze di 14 e 15 anni che per un anno si prostituirono in viale Parioli, al servizio di uomini della Roma bene. La serie ha infatti come protagoniste due ragazze in piena adolescenza, Ludovica e Chiara, coinvolte in una situazione non dissimile da Saverio e dal suo braccio destro, Fiore.

Quello che Baby è e quello che vorrebbe essere

Se hai sedici anni e vivi nel quartiere più bello di Roma, sei fortunato. Il nostro è il migliore dei mondi possibili. Per quanto sia tutto così perfetto per sopravvivere abbiamo bisogno di una vita segreta.

L’assunto più celebre di Leibniz in apertura ad una serie, il nostro è il migliore dei mondi possibili, suona come una presa di posizione.
È la voce fuori campo di Benedetta Porcarioli (Chiara, ndr) a introdurci il topos della serie mentre la macchina da presa ci mostra Roma, bellissima, dall’alto. E sono proprio questo volo, in alto, e questa frase, altisonante, una chiave per offrirvi un primo giudizio, fulmineo, crudo, su questa serie: pretenziosa.

Preso per buono il giudizio di cui sopra, dimenticate prodotti eccellenti come Romanzo Criminale. Dimenticate tranquillamente anche Suburra, Gomorra, 1992, Boris, per riportare alla mente, nell’ordine, Sorrentino nella sua declinazione glamour, The Lady di Lory del Santo e i Cesaroni.
Bene, ora provate a  combinarne le diverse parti a vostro gusto e piacimento. Eccovi servita Baby.

Se i dialoghi di Baby fossero stati belli come la sua colonna sonora

Chromatics, XXXTentacion, London Grammar, Cosmo, James Blake, Achille Lauro, Wrongonyou, Carl Brave, CHVRCES. Questa è solo una piccola parte della trafila di artisti scelti per la colonna sonora. Una scelta intelligente, al passo con i tempi, efficace perché bilanciata tra italiani ed internazionali, nonostante artisti diversissimi tra loro. Uno specchio efficace dell’approccio attuale, soprattutto degli adolescenti, alla musica.

Ma la soundtrack, ben riuscita, non basta per sublimare a dignitoso la restante parte di quanto ci è dato ascoltare: i dialoghi sono un disastro. Perché gli attori, in primo luogo, sono un disastro. Skins e Misfits possono essere presi come riferimento per definire quanto dei personaggi possano effettivamente essere riusciti, genuini, incisivi, in una parola, indimenticabili. I personaggi femminili, che dovrebbero essere la punta di diamante di Baby, hanno la verve di una Patrizia D’Addario.

Baby è uno stereotipo di genere a puntate

La prima stagione di Baby – nella speranza che questo non si protragga nelle successive – è un’incredibile occasione sprecata. La scelta del soggetto è stata coraggiosa ed azzeccata per la peculiarità di un tema sempre attuale e per la specificità di una vicenda che ha lasciato un segno nella storia italiana e romana. Scimmiottare le produzioni americane per renderla appetibile non ha sortito l’effetto sperato. Anzi, Baby cerca di raggiungere il massimo effetto drammatico mentre ti fa arrivare addosso un badile di retorica stucchevole.  Laddove adolescenziale non dovrebbe (nel 2018) essere sinonimo di stucchevole.

Tornando al discorso circa i personaggi femminili, poco importa che siano squillo, professoresse, studentesse, madri. A prescindere dal ruolo interpretato, continua a non essere chiara (nel 2018) la necessità di portare sullo schermo ragazze e donne così incastrate in interpretazioni stereotipate e bidimensionali. La solita rappresentazione faziosa delle prime, divise in associazioni a delinquere finalizzate al dispetto da due lire, capeggiate dalla belloccia bionda che è schierata contro un’altra bionda, però quella angelica, mentre la mora se ha il caschetto con la frangetta è una fragile bastarda dalla dubbia morale, se ha i capelli lunghi è una secchiona di prim’ordine e spara saccenti cazzate alla velocità di un mitra.

Per quanto riguarda la categoria adulta, tutte le donne presenti nella serie sono, in misura più o meno ampia, colte da isterismo, malumori, brandiscono la loro pesantezza per martellarla su consorti, compagni, figli; se accalappiano uomini non sono delle Samantha (Sex and the city, ndr) sicure di sé ma sono schiave di un’immotivata inadeguatezza e di un senso di colpa malcelato; i loro occhi diventano tristi perché, in fondo in fondo, non voglio altro che l’amore, la stabilità, le certezze.
Et voilà, tutto è al suo (sbagliato) posto.

Conclusioni

Baby è una piccola wannabe. E nonostante le premesse, nonostante la delusione, speriamo ce la possa fare.

 

 

 

 

 

Scritto da: Ludovica G.