Analisi Ema + video

In Analisi film, Cinema, Tomàs Avila by Tomas AvilaLeave a Comment

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Regia: Pablo Larraìn.
Soggetto: Pablo Larraìn, Guillermo Calderón, Alejandro Moreno.
Sceneggiatura: Pablo Larraìn, Guillermo Calderón, Alejandro Moreno.
Colonna sonora: Nicolas Jaar.
Direttore della fotografia: Sergio Armstrong.
Montaggio: Sebastián Sepúlveda.
Produttore: Fabula.
Anno: 2019.
Durata: 107′.
Paese: Cile.
Interpreti e personaggi: Marina Di Girolamo (Ema), Gael García Bernal (Gastón), Santiago Cabrera (Aníbal), Paola Giannini (Raquel) .

La storia è quella di Ema, una giovane ballerina sposata con Gastón, il direttore della compagnia in cui si esibisce. I due hanno adottato un bambino messicano di nome Polo, siccome Gastón non poteva avere figli.
In seguito a un incidente in cui Polo ha dato fuoco alla sorella di Ema, senza ucciderla ma provocandole ustioni molto gravi, i due decidono di ridare indietro Polo all’orfanotrofio. Il senso di colpa per questo fatto porterà la coppia a divorziare e da lì iniziano le avventure di Ema, che non ha mai rinunciato del tutto all’idea di essere madre.

Indice:
1- Introduzione
2- Scontro generazionale
3- Distruggere e ricreare
4- Valparaíso

 

1- INTRODUZIONE

Oggi parliamo di un film presentato alla scorsa Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dove ha vinto il Premio Arca CinemaGiovani al miglior film e il premio UNIMED: Ema di Pablo Larraìn.

Larraìn è forse il regista cileno contemporaneo più noto e ha alle spalle ormai sette film, Ema escluso.

Nelle sue opere ha quasi sempre parlato del Cile, affrontando spesso il periodo del colpo di stato del 1973 con film quali Tony Manero, Post Mortem e No – i giorni dell’arcobaleno ma a volte anche concentrandosi sul Cile contemporaneo, ad esempio con Il club, incentrato su una comunità di preti esiliati per vari motivi.

Jackie, il suo penultimo film è un caso a parte, il suo unico progetto americano, un biopic atipico che racconta come Jackie Kennedy ha vissuto il periodo successivo all’assassinio di suo marito John Fitzerald Kennedy.

Dopo questa fuga americana Larraìn ritorna in Cile raccontando nuovamente il suo paese ma concentrandosi questa volta sulle nuove generazioni cilene, quelle nate tra la fine degli anni ’90 e i primi 2000.

Ema è un film molto diverso rispetto a quelli precedenti del regista: come dicevamo Larraìn decide di concentrarsi sul presente del Cile, presente che, come ha detto lui stesso in varie interviste, è in realtà già passato, dato che le riprese del film sono state terminate a inizio 2018.

In ogni caso il film parla dei giovani cileni e in particolare della protagonista, Ema, interpretata magnificamente da Mariana di Girolamo, attrice classe 1990 al suo esordio cinematografico.

La protagonista dà il nome al film perché tutto ruoto attorno a lei: ogni personaggio, ogni svolta narrativa. Ema è sempre il centro gravitazionale e per tutto il film lo spettatore cerca di comprendere il suo personaggio, con difficoltà perché è estremamente ambiguo e complesso, a volte sembrerebbe addirittura contraddittorio.

Questa difficoltà di comprensione sembrano averla anche i personaggi con cui entra in contatto e fino al finale sembra sempre di non riuscire mai a decifrare il mistero vivente che è Ema, fino a quando non si capisce la logica sottostante alle sue scelte, si capisce che Ema ha sempre avuto un piano per realizzare il suo desiderio irrisolto di maternità e di creazione.

Questa difficoltà di comprensione è rispecchiata anche dalla struttura del film stesso, inizialmente ostico, una sequenza di scene che sembrano quasi distaccate ma che poi prende sempre più senso, una volta che si intuisce lo scopo di Ema.

 

2- SCONTRO GENERAZIONALE

Ema è il simbolo delle nuove generazioni, viste dagli occhi di Larraìn, allo stesso tempo affascinato e consapevole di non comprenderle a pieno.
Lo sguardo di Larraìn, all’interno del film, può sembrare inizialmente sovrapponibile a quello di Gastón, il marito di Ema. È sulla quarantina, di una generazione completamente diversa rispetto a Ema e alle sue amiche, le altre ballerine della compagnia, e proprio da qui nasce lo scontro tra i due personaggi.

Nella prima parte del film assistiamo a dei litigi pesanti tra i due che si insultano molto volgarmente, dicendosi di tutto e dandosi a vicenda la colpa di ciò che ha fatto Polo. Successivamente il film alterna dei momenti di progressivo riavvicinamento a quelli di rottura. Anche Gastón, esattamente come lo spettatore, a volte riesce ad avvicinarsi a Ema, altre invece viene respinto e allontanato brutalmente, senza riuscire a comprenderla.

Uno dei campi in cui avviene principalmente lo scontro generazionale è quello musicale. Nel Cile contemporaneo la musica più ascoltata dai giovani è il reggaeton , genere che Gastón non solo non riesce a concepire ma che trova anche pericoloso e svilente per le donne che lo ballano.

A tal proposito è molto interessante un monologo di Gastón, per la maggior parte improvvisato da Gael García Bernal, uno degli attori feticcio di Larraìn, in cui demolisce il reggaeton dicendo in sostanza che è nullo dal punto di vista della protesta e che anzi asseconda una visione della donna oggettificata che si muove e balla per il piacere maschile.

È già da qui che lo sguardo di Larraìn, che inizialmente si poteva far coincidere con quello di Gastón, inizia a discostarsi.
Si può pensare nella prima parte del film che le nuove generazioni siano dipinte dal regista come generazioni alla deriva, prive di valori e punti di riferimento, cosa ben esplicata dal discorso di Gastón. Però il regista vi contrappone una visione opposta del reggaetton, esposta da una delle ballerine amiche di Ema che spiega come invece per loro ballare quel genere sia liberatorio, qualcosa di fisico e carnale che si allontana dall’eleganza di una danza come quella classica ma anche dall’approccio più contemporaneo e avanguardistico di Gastón.
Danzare diventa qualcosa che non è più fatto per creare il bello e l’arte ma proprio per la fisicità ancestrale della danza, con una connotazione fortemente sessuale.

Questo legame tra sesso e danza sembra riportare alla mente Suspiria di Guadagnino da una parte e Climax di Gaspar Noè dall’altra, entrambi film in cui i due elementi si intrecciano fino a fondersi e diventare inscindibili.

La grandezza di Larraìn sta però nel mettere in contrapposizione queste due visioni senza facili prese di posizione: non è necessariamente vera una né l’altra, sono semplicemente due modi diversi di vedere la cosa che rispecchiano due differenti sistemi di valori, probabilmente inconciliabili.

 

3- DISTRUGGERE E RICREARE

Lo scontro generazionale compare anche in altre forme e va a coinvolgere ad esempio i valori e le concezioni della famiglia e dell’amore.

Ma i nuovi valori per venire ufficializzati e diventare istituzionali devono essere preceduti da una distruzione di ciò che c’era prima. Da qui il simbolismo molto esplicito del fuoco.
Ema ruba un lanciafiamme dagli oggetti di scena e lo utilizza per bruciare vari oggetti (un semaforo, l’auto di una sua amica e via dicendo).
Il fuoco è l’arma per distruggere e poter poi ricostruire ma allo stesso tempo è anche un modo per lasciare un segno, per modificare il mondo circostante e lasciare una traccia di quella modifica, esattamente come i tantissimi murales che tappezzano le mura di Valparaíso, la città in cui è ambientata il film, su cui torneremo tra poco.

La parabola di Ema va interpretata quindi in questo modo: quella che potrebbe sembrare una forza distruttrice e autodistruttrice in realtà sparge la cenere per poi far nascere qualcosa di nuovo. Ema vuole diventare madre, vuole avere una famiglia ma questo non deve per forza avvenire secondo i canoni della famiglia tradizionale e secondo i valori tradizionali della famiglia e dell’amore. Un nucleo familiare può essere formato anche in modo diverso, così come l’amore può non essere soltanto quello che si intende tradizionalmente con amore.

Ema è una forza della natura, incontrollabile. Non riescono a fermarla le leggi, né le istituzioni, né la morale comune.

Larraìn quindi sembra dirci che queste generazioni, che sembrano senza valori, volendo anche autodistruttive, in realtà hanno una forza che permette, attraverso la distruzione, di creare qualcosa di nuovo. Così il film, che nella prima parte sembrava molto negativo e cupo, in realtà si rivela ottimista nei confronti del futuro, speranzoso che qualcosa possa cambiare, senza dover per forza paragonare in termini qualitativi ciò che c’era prima e ciò che verrà.

Ema riesce a dar vita a una famiglia, sicuramente atipica e sicuramente alcuni dei membri della famiglia, soprattutto all’inizio, faticano ad accettare questa nuova idea di famiglia ma è solo questione di tempo e di abitudine.

In tutto ciò, la protagonista sembra disinteressata a combattere una battaglia per far accettare questi nuovi valori, lei combatte per sé stessa, per raggiungere il suo obiettivo e in un certo senso anche per fare del bene alle persone a cui è legata, anche se in un primo momento potrebbe non sembrare così.
Ciò contribuisce a rendere il suo personaggio ancora più ambiguo. Del resto l’ambiguità di Ema è resa perfettamente anche fisicamente. Ricorda vagamente lo Ziggy Stardust di David Bowie, quel personaggio la cui ambiguità parte dalla sessualità non ben definibile, quasi androgino.
Lo stesso vale per Ema, che ricorda Ziggy Stardust soprattutto nella capigliatura oltre che nell’ambiguità sessuale. Ema in effetti è trasformista sa essere estremamente femminile e sensuale ma anche mascolina, sa essere punk ma allo stesso tempo presentarsi come borghese e soprattutto nessuno riesce a resistere al suo fascino.

 

4- VALPARAÍSO

Tornando invece sull’ambientazione, Valparaíso è quasi un personaggio del film, sempre sullo sfondo ma sempre presente. È una città punk, decadente ma incredibilmente fascinosa, completamente tappezzata di murales, come già visto un altro simbolo del voler lasciare un segno sul mondo che ci circonda.

La strana conformazione della città portuale, arroccata sulle colline e dalle piccole vie intricate e i colori accesi della fotografia di Sergio Armstrong, che predilige le luci al neon, la fanno sembrare un’ambientazione futuristica, quasi cyberpunk.

È un’estetica diversa da quella a cui ci ha abituato Larraìn coi suoi film precedenti, un’estetica che per certi versi può ricordare (soprattutto per quanto riguarda l’uso dei colori) gli ultimi film di Refn e quelli di Noè, che abbiamo già citato con Climax. È un’estetica che cerca di essere giovane come la generazione di cui parla Ema.

A fare da accompagnamento all’ambientazione e alla fotografia ci pensa Nicolas Jaar con una splendida colonna sonora, molto elettronica e d’atmosfera. Da notare è il fatto che Larraìn, grande fan di Jaar, abbia seguito un percorso inverso a quello che avviene normalmente. Anziché chiedere al compositore di scrivere la colonna sonora dopo aver completato le riprese, è partito proprio da dei brani scritti da Jaar per calarsi nell’atmosfera che il film avrebbe dovuto avere. La fase di ripresa in un certo senso è nata proprio dalla colonna sonora, caso singolare e interessante, vista la centralità che ha la musica in Ema, anche a livello tematico

 

Per concludere, spendo due parole sulla bellissima e simbolica scena finale. Dopo essere riuscita a raggiungere il suo obiettivo e dopo uno spiegone che, in realtà, è forse l’unico elemento debole del film perché non necessario, vediamo Ema da un benzinaio che riempie una tanica di benzina. Forse si sta preparando a riprendere in mano in lanciafiamme e a distruggere di nuovo per poi poter ricreare.

Nel finale lo sguardo di Larraìn passa completamente dalla parte della protagonista e della sua personale rivoluzione.

 

Segue la video-analisi:

 

Scritto da: Tomàs Avila.