Gli anni ’70 italiani, che splendido decennio! Anni di libertà, trasgressione e violenza. Gli anni del poliziesco, di Argento, di Fulci e di Paul Morrissey e della Factory di Andy Warhol. Eh sì, in mezzo a molti artisti italiani “nostrani” spuntano questi personaggi singolari.
Tutto nacque da un accordo di produzione con Carlo Ponti. Andy Warhol era intenzionato a girare un film erotico horror in 3-D e Carlo Ponti fece trasferire la Factory di Andy Warhol in Italia per girare due film ispirati a due personaggi capostipiti dell’immaginario horror: Dracula e il Dott. Frankenstein.
I due film (Dracula cerca sangue di vergine… e morì di sente; Il mostro è in tavola… Barone Frankenstein) vennero girati quasi contemporaneamente e distribuiti a circa un anno di distanza l’uno dall’altro ed entrambi sono stati diretti, scritti e sceneggiati da Paul Morrissey. Tuttavia, il produttore Carlo Ponti decise di affiancare alla regia di Morrissey la figura di Antonio Margheriti, più che altro come aiuto in caso di disguidi tecnici e imprevisti di vario genere.
Questi film, di cui si tratterà fra poco, ribaltano la concezione moderna dell’horror ed è come se svuotassero i personaggi dalla loro componente spaventosa e li ridussero a delle disperate, decadenti, vittime della società moderna.
DRACULA CERCA SANGUE DI VERGINE… E MORÌ DI SETE
Regia: Paul Morrissey.
Soggetto: Paul Morrissey.
Sceneggiatura: Paul Morrissey.
Colonna Sonora: Claudio Gizzi.
Direttore della fotografia: Luigi Kuveiller.
Montaggio: Jed Johnson, Franca Silvi.
Produttore: Andy Warhol, Carlo Ponti.
Anno: 1974.
Durata: 103’.
Paese: Italia.
Interpreti e personaggi: Joe Dalessandro (Mario), Udo Kier (Dracula), Arno Juerging (Anton), Stefania Casini (Rubinia), Dominique Darel (Saphiria), Silvia Dionisio (Perla), Milena Vukotic (Esmeralda), Vittorio De Sica (Marchese Di Fiore), Maxime McKendry (signora Di Fiore).
Il Conte Dracula è molto malato e ha bisogno di sangue puro, del sangue di una vergine per rinvigorirsi e per nutrirsi. Accanto, gli sono rimasti il suo fedele servitore Anton e sua sorella, ormai prossima alla morte anche lei. In preda alla disperazione, Dracula, decide di intraprendere un viaggio in Italia, assieme al fedele Anton, per cercare una vergine. Ma il destino ha in serbo per lui un’amara sorpresa.
Che dire, questo è un <<horror svuotato, surreale e a tratti trash ed esilarante>> (Daniele Dottorini). Perché svuotato? Perché qui non abbiamo il classico Conte Dracula oscuro, pauroso, sanguinario. Il Dracula di Morrissey è gracile, gravemente malato e a stento si regge in piedi. Per tutto il film non si respira aria di tensione, nessun climax, nessuna suspance. È un dramma che, appunto, ribalta la classica concezione dell’horror. Qui vittime e carnefici si mescolano e si intrecciano, rivelano la propria umanità. Non ci sono mostri, ma uomini.
Il Conte Dracula è un disperato che cerca a tutti i costi di campare e tirare avanti ed è disposto a tutto pur di farlo. Parallelamente, anche gli aristocratici decadenti Di Fiore agiscono in questo modo pur di far maritare le loro figlie ed ecco che qui abbiamo l’intrecciarsi dei ruoli vittima/carnefice in quanto ambedue le parti (Dracula e i Di Fiore) cercano di sfruttare l’altro per il raggiungimento dei propri scopi.
Inoltre, aleggia una critica contro la società borghese e la rivincita del proletariato. Da un lato abbiamo il Conte Dracula malato, pallido e moribondo e i Di Fiore, squattrinati e in fase di declino; e dall’altro abbiamo il forte, bello e potente Mario (Joe Dalessandro) che, intriso di ideali marxisti, provoca e giudica aspramente i suoi padroni borghesi e li mette in guardia perché il loro tempo e i loro soldi stanno per finire e che l’ordine delle cose sta per essere ribaltato.
Un film tragicomico che racconta una “storia sbagliata, cominciata con la luna sul posto e finita con un fiume di sangue“.
<<Mi scuso per tutto quel nonsenso, ma a me personalmente piace la stupidaggine del film, anche se è insufficiente perché non ha una sceneggiatura scritta a tavolino e non ha nessuna suspance>>
Paul Morrissey, in Dialogue on film.
IL MOSTRO È IN TAVOLA…BARONE FRANKENSTEIN
Regia: Paul Morrissey.
Soggetto: Paul Morrissey.
Sceneggiatura: Paul Morrissey, Tonino Guerra.
Colonna Sonora: Claudio Gizzi.
Direttore della fotografia: Luigi Kuveiller.
Montaggio: Franca Silvi.
Produttore: Carlo Ponti, Andy Warhol.
Anno: 1973.
Durata: 91’.
Paese: Italia.
Interpreti e personaggi: Joe Dalessandro (Nicholas, lo stalliere), Monique van Vooren (baronessa Katrin Frankenstein), Udo Kier (barone Frankenstein), Arno Juering (Otto), Dalila Di Lazzaro (mostro donna), Srdjan Zelenovic (mostro uomo), Nicoletta Elmi (Diastola), Marco Liofredi (Sistolo), Liu Bosisio (Olga), Fiorella Masselli (prostituta), Cristina Gaioni (contadina).
Cacciato dall’Università per le sue idee filonaziste, il barone Frankenstein si richiude nel proprio castello, insieme alla moglie, ai due figli e al servitore Otto. Lo scienziato, dopo avere creato un uomo e una donna artificiali, vorrebbe, tramite il loro accoppiamento, dar vita a una nuova super- razza. Ma, per errore, un pezzo dell’umo artificiale risulta prelevato, anziché dall’aitante giardiniere, da un giovane asceta: le conseguenze si riveleranno nefaste e incontrollabili
Questo film si potrebbe riassumere benissimo come un delirio di sesso, violenza e potere.
Abbiamo il Barone Frankenstein, necrofilo, assetato di potere, che vuole sostituirsi a Dio e creare una nuova razza, una razza perfetta, nata dall’unione di due umanoidi le cui parti anatomiche, perfette, sono state prelevate dai cadaveri e assemblate in laboratorio; Otto, il fedele servitore del barone, succube delle teorie di Frankestein e sadico latente; la moglie (e sorella!) del barone è una ninfomane; Sistolo e Diastola, i figli nati dal rapporto incestuoso tra il barone e la baronessa sono dei sadici “guardoni”.
Si respira un aria surreale e molto parodistica e, se proprio vogliamo cercare il pelo nell’uovo, come in Dracula…, troviamo una critica verso la società borghese e credo che per questo film, viste le caratteristiche dei personaggi, non c’è bisogno di specificare il perché.
La matrice del film è il sesso che assume una triplice valenza: ricreazione (per la baronessa ninfomane e il giardiniere), creazione (per il barone e i suoi deliri di onnipotenza) e redenzione (per il giovane asceta)
Con un finale degno di una tragedia greca che esaspera e parodizza i dettami dell’horror moderno, il film presenta molti movimenti di macchina e alcuni piani sequenza “succulenti”, molto evocativi e destabilizzanti.
Unica pecca di questo delirio, sono i dialoghi, a volte forzati e fuoriluogo. Tuttavia, nel complesso, rimane un film molto godibile, ricco di elementi, con un ottimo splatter (per gli amanti del genere!).
Scritto da: Antonio Perri.