Ecco qui – finalmente aggiungerei- la lista con i film, a nostro parere, più meritevoli del 2015. La lista è in ordine sparso (decretare un vincitore era piuttosto difficile dato i gusti concordanti ma non troppo). I pareri sono tutti più o meno condivisi tranne le recensioni con notifica finale (vedi ‘Regression’ e ‘Star Wars-Il risveglio della Forza’).
A fine articolo trovate anche le nostre Top 10.
Buona lettura!
Molly, Tomàs
‘Mia madre’ di Nanni Moretti
Il caro Nanni ha sempre diviso tra chi lo idolatra e chi lo critica ferocemente. Autobiografico e toccante, con ‘Mia madre’ sono abbastanza sicura che sia riuscito a cucire insieme queste due fette di pubblico. Moretti dice di aver sentito il bisogno di trattare della morte della madre, traslando sé stesso al femminile attraverso il volto di Margherita Buy, incredibilmente brava a trasmetterci lo sgomento, l’incertezza e il dolore. Avvicinandosi così pericolosamente alla realtà, ‘Mia Madre’ diventa quasi difficile da metabolizzare e, sebbene sembri inizialmente ridursi alla tematica del lutto e della perdita, in realtà riesce a trasmettere la forza con cui questa perdita bisogna cercare di affrontarla, non nascondendo una sottile critica anche al cinema italiano stesso.
‘Whiplash’ di Damien Chazelle
La pellicola di Chazelle non può non meritare un posto in classifica -nonostante sia dell’anno precedente- mettendo in scena il rapporto intenso, morboso fra allievo e maestro. Dal ritmo frenetico e incalzante, Chazelle ci trascina nella passione per il fare musica – e nemmeno del tutto – ma soprattutto nel vortice di un’ossessione della performance e del successo, ai limiti delle possibilità umane.
‘Me and Earl and the Dying girl’ (‘Quel fantastico peggior anno della mia vita’) di Alfonso Gomez-Rejon
Dolcissimo, commovente e imprevedibile, la perla indie di quest’anno merita un posto d’onore in classifica. Potete trovarne una recensione più approfondita qui > http://scheggedivetro.org/me-and-earl-and-the-dying-girl/
‘Youth – La Giovinezza’ di Paolo Sorrentino
La Giovinezza, ovvero La Grande Bellezza ritrovata: Sorrentino non perde la sua eleganza e ci propone un’ampia riflessione sul senso della vecchiaia, pur compiacendosi nel farlo, conscio di quanto è bravo, ma senza smettere di citare il suo amore per Fellini. Grazie anche a un cast magnifico, Caine e Dano su tutti, Sorrentino ci regala un esperienza estetica e sensoriale vivissima tramite anche la fotografia del fedele Luca Bigazzi.
‘Sicario’ di Denis Villeneuve
Nella linea di confine fra America e Messico non esistono leggi, né morale né etica: in un escalation di violenza, la giustizia prende il volto della fragile, giovane ed idealista Kate Macer (Emily Blunt), decisa a fare chiarezza, che si scontrerà con la deumanizzazione vera e propria – con il volto di un meraviglioso Benicio Del Toro – e con decisioni che renderanno troppo sottile la demarcazione tra bene e male.
Villeneuve non delude, filmando e restituendo ogni immagine – perfino la ripresa della fila di macchina che attraversa il confine US/Messico – con un’intensità espressiva davvero incredibile, al fine di dimostrare la reale debolezza di una nazione che crede di avere il controllo sul proprio nemico. Notevole anche la colonna sonora di Johann Johannsson.
Il nuovo film del regista canadese Dennis Villeneuve. Dopo il fantastico ‘Prisoners’ torna con un thriller drammatico, cambiando però l’ambientazione e il tono. Se il film precedente ci mostrava il disfacimento della provincia del Nord America, questa volta Villeneuve si sposta in Messico, concentrandosi sulla guerra americana al narcotraffico. Si tratta di un film più politico rispetto a ‘Prisoners’, ma non per questo più noioso. Il regista riesce a lanciare una forte denuncia nei confronti dei metodi del governo americano, soprattutto attraverso il personaggio interpretato magnificamente da Benicio Del Toro. Al film non mancano tuttavia dei momenti di maggior intrattenimento come tutta la parte finale.
Villeneuve si dimostra abilissimo alla regia, mantenendo costante la tensione, nonostante il film scorra molto lentamente. La conferma del talento del regista canadese, da cui si aspettano in futuro grandi cose, specialmente dal sequel di ‘Blade Runner’ che dovrebbe essere diretto proprio da lui.
‘Vizio di forma’ di Paul Thomas Anderson
Anderson porta sullo schermo un libro di Thomas Pynchon del 2009, ‘Inherent vice’ in inglese (“vizio intrinseco”, o meglio, “difetto di struttura”), dando corpo a quello che a molti sembrò impossibile: sceneggiare e rappresentare un libro di Pynchon. Il regista di ‘The Master’ e ‘Magnolia’ vince la scommessa trasportandoci dritti nel declino della California del 1970.
Possiamo definirlo una sorta di ‘noir sotto acidi’ che nonostante parta dal noir abbastanza tradizionale, ce ne fa perdere completamente le tracce – o cerca di darcene di sbagliate- dopo la prima mezz’ora, facendoci vivere in prima persona l’indagine del protagonista Larry “Doc” Sportello, (interpretato da un sempre meraviglioso Joaquin Phoenix) perennemente sotto effetto di sostanze stupefacenti.
Mustang di Deniz Gamze Ergüven
Il piccolo esordio di Deniz Gamze Ergüven ci racconta la storia di cinque sorelle che verranno letteralmente rinchiuse nella loro grande casa dallo zio despota e patriarca, al fine di non causare disonore alla loro famiglia. Eppure la pellicola non si riduce alla messa in scena della condizione femminile in un piccolo villaggio della Turchia: nonostante si impegni a mostrarci la realtà più veritiera che si possa immaginare, proprio sul finale, ‘Mustang’, ci innesta il dubbio che forse realtà e fantasia hanno deciso di mischiarsi, tramite il viaggio della piccola protagonista, Lale, a Istanbul.
‘Mustang’ appartiene alla categoria delle opere d’esordio che lasciano sperare bene per la carriera di chi le ha realizzate e quindi del cinema stesso. Deniz Gamze Ergüven si dimostra una regista capace di mostrare verità ed intensità tramite la storia che porta sullo schermo pur essendo consapevole di ispirarsi un’ altra opera d’esordio, che l’ha preceduta 16 anni fa, quale ‘Il Giardino delle Vergini Suicide’, di Sofia Coppola.
‘The Babadook’ di Jennifer Kent
Chi ha paura del Babadook? L’horror di Jennifer Kent affonda le sue radici nei nostri più segreti desideri immorali e inespressi. Potete trovarne una recensione più approfondita di uno dei pochissimi horror che sia mai riuscita ad apprezzare davvero, qui > http://scheggedivetro.org/the-babadook/
‘Predestination’ di Michael e Peter Spierig
Ennesima sorpresa di quest’anno, Predestination ha un pregio enorme: rendere semplice una trama assolutamente intricata e ai confini del (im)possibile. Dopo la prima mezz’ora il film decolla lasciando spazio a ogni tipo di interrogativo conducendo lo spettatore, lentamente e inesorabilmente, nel nulla.
I fratelli Spierg riescono a convincere ancora di più che col precedente ‘Daybreakers’, anch’esso un ottimo film di genere, confermando il loro posto trai più promettenti registi di fantascienza.
‘Victoria’ di Sebastian Shipper
‘One girl’ ‘One Night’ ’One shot’ – così recitano le tagliandine- è il grande, enorme, punto di forza del film: pur non avendo una storia particolarmente accattivante (anzi significativa per una semplicità che si presta totalmente all’obiettivo del regista), Shipper (che vanta una collaborazione a “Lola corre” di Tom Tykwer, un altro film tedesco “di ricerca” per quanto riguarda lo stile di regia), riesce a trasportarci nella tortuosa vicenda che si riduce in una notte – più precisamente in qualche ora, tra le 4 e le 7 del mattino- dandoci l’impressione di essere lì, assieme a Victoria, una giovane donna di Madrid e assieme ai quattro ragazzi che lei incontra fuori da un nightclub di Berlino, senza mai farci pesare il piano sequenza di ben 2.16h.
Sono consapevole che questi esperimenti probabilmente risentiranno degli echi di Birdman ancora per un bel po’ ma vi posso assicurare che non c’è nulla di autoreferenziale in ‘Victoria’: con movimenti di macchina che si limitano a seguire i personaggi, il piano-sequenza non è realizzato per puro virtuosismo ma è totalmente funzionale alla narrazione. Diritto in classifica, per quanto mi riguarda, perché di tanto in tanto questi esperimenti riescono anche piacevolmente a stupire.
‘The Lobster’ di Yorgos Lanthimos
Grottesco, surreale e volutamente crudo, ‘The Lobster’, l’ultimo di Lanthimos, vuole, non senza sofferenze, creare una lunga riflessione sui rapporti e i sentimenti e non nascondendo un’intricata critica contro l’uomo.
In un futuro imprecisato i soli vengono spediti in un albergo dove verrano costretti a trovare tra gli ospiti un partner, in base a una caratteristica che li accomuni. In caso di sconfitta verranno trasformati in animali e cacciati.
La metafora è scontata, la critica palese e l’intera pellicola si dichiara volutamente violenta e spietata nei confronti di uomini e animali, con non pochi rimandi al surrealismo e al cinema di Buñuel.
Lanthimos schematizza la storia in 3 luoghi principali – il bosco, l’albergo, la città – ma nessuno di essi è un luogo felice. Sia nell’albergo che nel bosco, il protagonista vivrà due relazioni: la prima artificiosa e meccanica, la seconda sincera ma ugualmente drammatica.
Il contesto non è assolutamente realistico, tuttavia incredibilmente attuale per riuscire a portare lo spettatore a interrogarsi riguardo alle differenti concezioni che oggi si hanno dei sentimenti e che coesistono con la stessa forza nel nostro mondo. Ci si scontra in primo luogo con il terrore di rimanere soli – che nella pellicola si tramuta in qualcosa di non socialmente accettato, alla stregua di un crimine – e con l’imposizione, da parte dei soli, di rimuovere quasi forzatamente qualsiasi sentimento possa tenerli in contatto con una altro essere umano. Un’oscillazione drammatica, a volte comica, tra assurdità e verosimiglianza.
‘Chappie’ (Humandroid) di Neill Blomkamp
Neil Blomkamp arriva al suo terzo lungometraggio, dopo l’esordio-capolavoro ‘District 9’ e l’ottimo ‘Elysium’. Alla sua terza prova il regista sudafricano torna ad ambientare una storia fantascientifica a Johannesburg, concentrandosi però non più sugli alieni ghettizzati di District 9 ma su un robot con una coscienza. I temi trattati dal regista sono gli stessi dei film precedenti, cosa che a molti ha dato fastidio ma che, personalmente, mi sembra la conferma dell’autorialità dei suoi film. Non siamo davanti ad una buona pellicola girata da un mestierante qualsiasi, ma da un autore che in ogni film inserisce una sua poetica. Per la terza volta quindi ci troviamo davanti ad una fantascienza che vediamo solo grazie a Blomkamp; una fantascienza poco fantascientifica e molto attuale, reale e sociale. Il regista si concentra su Chappie, il protagonista assoluto, e su i suoi “genitori adottivi”, due criminali da quattro soldi interpretati dal duo rap dei Die Antwoord. Ancora una volta i personaggi che dovrebbero essere malvagi avranno un’evoluzione che ci porterà a patteggiare per loro. La regia è sempre ottima e gli effetti speciali incredibili, in particolare ne apprezziamo l’espressività del robot Chappie, resa alla perfezione. Gli attori sono tutti fantastici, dai due membri dei Die Antwoord (due attori non professionisti, è il caso di sottolinearlo) a Sharlto Copley (attore feticcio del regista) che interpreta proprio Chappie. Blomkamp si dimostra per la terza volta capace di trattare temi importanti senza però rinunciare all’azione, creando delle immagini forti, cariche di significato, che parlano più di mille sproloqui intellettualoidi. E anche questa volta i robot, come in ‘District 9’ gli alieni, sono più umani degli umani stessi.
Nonostante le critiche negative, noi abbiamo molto apprezzato l’ultima fatica di Neill Blomkamp.
Il tema non è nuovo, anzi si può dire che ormai sia ricorrente nelle pellicole di Blomkamp ma ‘Chappie’ riesce a farsi amare e mettendo in luce la cattiveria stessa dell’uomo, diventando creatore a sua volta, ponendosi come una divinità benevola privata della sua innocenza dalla bestialità dell’essere umano. Emblematica una delle battute finali del piccolo robot “Perché voi umani fate così? Perché tante bugie?”
‘Star Wars – Il Risveglio della Forza’ di JJ Abrams
Nonostante venga etichettato da molti come remake non totalmente dichiarato, sono del parere che i richiami e le continue strizzate d’occhio ai fan non possono assolutamente lasciare indifferenti i più affezionati (io stessa sono riuscita a commuovermi nel rivedere moltissimi personaggi della trilogia originale). Un cast molto ben assortito, ritmo e tensione incalzante per un esperimento, piuttosto azzardato, ma a mio parere riuscito. Bravo JJ.
Nota di Tomàs a ‘Star Wars – Il Risveglio della Forza’
Un film di cui non si sentiva il bisogno e che, seppur girato bene dal sempre bravo JJ Abrams, non riesce a nascondere il motivo per cui è stato realizzato: svuotare i portafogli dei milioni di fans (e non) della serie, senza nemmeno sforzarsi troppo nel pensare alla storia, che ricalca palesemente molti passaggi del IV capitolo. Insomma, ci si può anche divertire, ma la domanda a fine visione rimane sempre la stessa: c’era veramente bisogno di un’altra trilogia?
‘Suburra’ di Stefano Sollima
Lo scetticismo cocente nei confronti del cinema italiano l’ho appallottolato e lanciato fuori dalla finestra quando ho avuto il piacere di vedere Suburra: dal regista di ‘Gomorra- La serie’, questo noir metropolitano riesce a catapultarci nel mondo di intrighi e corruzione di Roma Capitale.
Perché premetto questo? Non si tratta dell’ennesimo sgarbo critico al cinema italiano, si tratta di sorpresa e contentezza nel vedere questo film inserirsi e spiccare in un panorama che continua a proporre i soliti due filoni predominanti -quello del sentimental-consolatorio e il comicastro paratelevisivo – raccontando una storia che potrebbe essere assolutamente attuale.
Con un finale lasciato volutamente aperto e senza via d’uscita, Sollima non vuole prendersi la responsabilità di proporre una soluzione, ha solo il merito di trasformare, con un’ottima regia, il semplice noir in di tragedia totale, anzi, in un’apocalisse.
Servendosi di situazioni realmente accadute – una su tutte le dimissioni del papa- Sollima non ha paura di rischiare e ci regala il senso per il cinema che emerge dalle immagini, riempite di autenticità, atmosfera e geometria visiva.
Un piccolo elogio, dunque, è d’obbligo.
Apprezzabile (seppur non totalmente per quanto riguarda il comparto audio in generale della pellicola) la colonna sonora degli M83.
‘Inside Out’ di Peter Docter
La rivelazione della Pixar di quest’anno (da molti è stato definito il migliore film d’animazione Pixar di sempre), ci racconta la storia di Riley, una bambina di 11 anni, ma da un punto di vista molto particolare: l’interno della sua mente. Non mi dilungherò troppo a parlare di ‘Inside Out’, per quanto mi sia piaciuto, perché sono sicura che c’è chi ne ha già decantato le lodi meglio di me. Mi soffermerò solo a dire ciò che davvero io ho appreso e apprezzato: è incredibile come questo film d’animazione riesca, in maniera semplicissima, a raccontare con splendida profondità la tristezza in quanto parte della vita, mostrando l’evoluzione e la crescita e lasciando la parola alle nostre emozioni, donandoci l’importante lezione che ognuna esiste grazie alla sua controparte.
‘Amy – The girl behind the name’ di Asif Kapadia
L’unico documentario che ho avuto il piacere di vedere quest’anno per me non può non essere citato in questa classifica. Si racconta, come da titolo, infanzia, adolescenza e successo della recente scomparsa cantante esponente del new soul Amy Winehouse, all’età di 27 anni. Pur non essendo così artisticamente rilevante, il documentario non ci risparmia attimi di commozione vera, mostrando senza retorica i conflitti interiori di una donna così talentuosa ma al contempo così incredbilmente fragile.
‘Crimson Peak’ di Guillermo Del Toro
Un horror gotico firmato Del Toro. Il regista messicano dimostra ancora una volta di essere uno dei migliori registi di genere in circolazione. Ritroviamo tutte le caratteristiche tipiche dei suoi film, sia a livello tematico che tecnico. Ancora una volta manca una netta distinzione tra bene e male, cosa che riesce a rendere molto interessanti i due antagonisti (se così si possono definire) sui quali il regista sembra concentrarsi più che sulla protagonista. Molto interessante è anche il tema della casa infestata, vista quasi come fosse un essere vivente, in stile ‘Shining’. Riguardo al lato tecnico abbiamo una messa in scena strepitosa. Si notano soprattutto le splendide scenografie (su tutte la villa di Crimson Peak), studiate nei minimi dettagli e che a volte citano quelle de ‘Il labirinto del fauno’, dello stesso Del Toro. La regia è, come al solito, perfetta;
Del Toro si concede molti virtuosismi (come durante la scena del ballo) che però quasi non si notano da quanto si è immersi nella narrazione. I tre attori protagonisti (Mia Wasikowska, Jessica Chastain, Tom Hiddleston) offrono delle ottime interpretazioni. Insomma, sicuramente uno dei migliori horror del 2015 anche se purtroppo poco apprezzato. Il regista dimostra ancora una volta il suo amore per il cinema di Mario Bava (che sicuramente è la principale ispirazione per ‘Crimson Peak’) e omaggia, utilizzando certe soluzioni stilistiche come le transizioni ad iris, un cinema passato, ormai quasi dimenticato. Per la recensione più approfondita vedere: http://scheggedivetro.org/recensione-crimson-peak-contiene-spoiler/ .
‘Love’ di Gaspar Noè
Il tanto aspettato ritorno di Gaspar Noè alla regia. Era dal 2009 che il regista mancava dalle scene, dopo il clamoroso ‘Enter the void’. Con ‘Love’, Noè arriva al quarto lungometraggio, dopo ‘I Stand Alone’, ‘Irreversible’ e il già citato ‘Enter the void’. Noè ci aveva già abituati a scene di violenza estrema, di sesso esplicito e ad uno stile registico unico, disorientante, colmo di piani sequenza e ogni sorta di virtuosismo immaginabile. È il classico regista che viene amato o odiato al contempo, e ‘Love’ non fa che confermare quanto detto. Se però con ‘Lov’e, viene abbandonata quasi completamente la violenza, dall’altro versante la dose di sesso esplicito, quasi pornografico, è portata all’estremo. Il film però non vuole essere totalmente scioccante, se mai “solo” provocatorio. Si racconta di un triangolo amoroso destinato a finire male. Come al solito la narrazione è frammentata, con continui balzi in avanti e all’indietro. Noè inserisce nel film molti elementi autobiografici, basti pensare che il protagonista è un aspirante regista che vuole realizzare un film che tratti di “sperma e sangue”. Lo stile registico è questa volta molto più asciutto, non mancano virtuosismi come dei jump-cut che ricordano la Nouvelle Vague, corrente sicuramente molto apprezzata e citata dal regista. Non vediamo però complicate carrellate come quelle di ‘Enter The void’ o movimenti di camera vorticosi come quelli di Irreversible. Noè non manca poi di sottolineare ancora una volta il suo amore sconfinato per il cinema, chiamando direttamente in causa ‘2001 Odissea Nello Spazio’ e arredando la stanza del protagonista con svariati poster tra i quali quello di ‘2001 Odissea Nello Spazio’ e ‘M, il mostro di Dusseldorf’. Un film di Noè lo si può amare o odiare, però sicuramente merita di essere visto. Non il miglior lavoro del regista ma uno dei più interessanti film di quest’anno.
‘Backcountry’ di Adam MacDonald
Film d’esordio del regista e indubbiamente uno dei migliori horror dell’anno, se di horror si può parlare. La pellicola, tratta da una storia vera, parla dell’aggressione di un orso ai danni di una giovane coppia di escursionisti. Il
regista si dimostra molto abile nello sviarci durante tutta la prima metà del film, facendoci credere che diventerà una sorta di slasher, salvo poi tradire le aspettative dello spettatore. Se la prima parte è piuttosto lenta, da quando compare l’orso il film esplode con una carica di violenza realistica impressionante. La prima aggressione dell’orso è da antologia, raramente si sono viste scene del genere cos’ ben fatte. A tutto ciò si aggiungono le splendide ambientazioni delle foreste canadesi. La natura osserva indifferente la furia dell’animale e l’impotenza dell’uomo. Un eco horror come non si vedevano da tempo.
‘Bone Tomahawk’ di S. Craig Zahler
Disorientante questo esordio alla regia di S. Craig Sahler. Inizia come un horror
esoterico, si evolve come un western e si conclude come un cannibal movie. Veramente un’opera stravagante e interessante. I 142 minuti del film scorrono molto lentamente, la narrazione è estremamente dilatata nella parte centrale in cui vediamo i nostri protagonisti (trai quali uno strepitoso Kurt Russel)
camminare e camminare, tra un dialogo e l’altro (che per molti ricordano quelli di Tarantino e dei Coen), in direzione della grotta dei cannibali. Nella parte finale la violenza esplode inaspettatamente, toccando dei picchi di splatter non indifferenti, e tutto si conclude con un massacro. Non capita spesso di vedere un buon weird western, questo di sicuro lo è.
‘Knock Knock’ di Eli Roth
Il 2015 ha visto la distribuzione di due film di Eli Roth: ‘Knock knock’ e ‘The Green Inferno’. Se il secondo non mi è piaciuto, il primo si è dimostrato una vera sorpresa. Una sorta di home invasion che ha più della commedia che dell’horror. A differenza di ‘The Green Inferno’, Eli Roth questa volta centra il colpo e mette in scena una storia assurda, volgare e cattivissima. Il povero Keanu Reeves vedrà crollarsi addosso tutta la sua esistenza nel corso di una sola notte. Poca
violenza esibita, niente scandali con la censura, nessuno spettatore svenuto, tuttavia risulta un film molto più tagliente di ‘The Green Inferno’ o di ‘Hostel’. Si prende poco sul serio, anche grazie ad un’ironia sempre presente, riuscendo a divertire e allo stesso tempo a far ragionare. Il finale è la ciliegina sulla torta, cinico e spietato come pochi. Il secondo film di Roth che riesce a convincermi dopo ‘Cabin Fever’.
‘Burying the ex’ di Joe Dante
Il ritorno di Joe Dante a 5 anni dal bellissimo ‘The Hole’. Non uno dei migliori del
regista, tuttavia un ottimo film. Un mix tra horror e commedia, come suo solito. Questa volta Dante usa gli zombie per parlare di una storia d’amore tra una ragazza e il protagonista ostacolata dalla sua ex morta e tornata in vita. Un film molto divertente che riesce ad intrattenere per tutta la sua durata. Notevole la scena in cui, tramite il montaggio parallelo, vediamo alternati la coppia che fa sesso e la ex-zombie che divora una persona, metafora della voracità e della foga dell’amore.
‘Blackhat’ di Michael Mann
Un film di Michael Mann. Questo potrebbe bastare. Ormai il nome del regista è
una garanzia di qualità. Siamo di fronte ad un film che dovrebbe essere un thriller d’azione. In realtà l’incedere della narrazione è molto lento, riflessivo. Le poche scene propriamente d’azione sono girate con grande maestria (in particolare la
sparatoria nel cantiere e il combattimento finale in mezzo al corteo). Come in ‘Collateral’, Mann perfeziona l’uso del digitale; le riprese delle città di notte sono veramente mozzafiato. È stata molto criticata la scelta da parte del regista di usare Chris Hemsworth come protagonista, in realtà l’attore se la cava egregiamente. Mann si riconferma uno dei migliori registi in circolazione. Il suo stile unico rimane inconfondibile.
‘Mad Max’ di George Miller
Il film dell’anno. E non solo, capolavoro. George Miller torna a 30 anni di distanza dal terzo capitolo della serie con questo ‘Mad Max-Fury Road’ e convince praticamente tutti. I primi due film della serie avevano avuto un grande successo all’epoca e furono molto innovativi, creando nuovi standard registici per i film d’azione. Miller riesce a fare l’impossibile girando un quarto capitolo non solo ai livelli dei predecessori, ma anche superiore. Unendo il vecchio (per la maggior parte) e il nuovo riesce a trovare il giusto equilibrio, una delle più grandi esperienze visive degli ultimi anni; da vedere e rivedere. Circa il 90% degli effetti sono effetti pratici: 150 veicoli, oltre 150 stuntman. Miller ha voluto utilizzare tecniche decisamente old school unendole alle possibilità (tecniche ed economiche) che negli anni ’70 non aveva. Il film è un concentrato di azione, inseguimenti spettacolari, esplosioni, combattimenti senza tregua. Inoltre veniamo completamente immersi nel folle mondo postatomico di Max, nonostante non ci venga spiegato nulla. Impariamo da soli quelli che sono gli usi e i costumi di quel mondo, senza inutili spiegoni che avrebbero appesantito il tutto, rallentando il ritmo. Miller non spiega niente, mostra soltanto. Veniamo introdotti in un mondo maschilista, brutale. L’unica speranza risiede proprio nelle donne, non a caso la spalla di Max, Furiosa, (anche se in realtà è quasi Max ad essere la sua spalla) è una donna, interpretata dalla bravissima Charlize Theron. Il film ha subito diverse critiche per via della presunta assenza di una trama solida. Critica assolutamente infondata. Non c’è bisogno di una trama complessa, il regista ci fa vivere un’esperienza sensoriale (visiva ma anche uditiva) senza eguali.
“Tom Hardy nel ruolo di Max parla poco”, altra critica rivolta al film, inutile. Basti pensare che Miller aveva pensato a Fury Road come una pellicola senza dialoghi e in bianco e nero. Perché, nonostante la fotografia dominata da colori accesissimi sia splendida, il film avrebbe funzionato anche in bianco e nero, chi lo sa, forse ancora meglio. A quanto già detto va aggiunto che la regia e il montaggio sono sensazionali, la martellante colonna sonora di Junkie XL è decisamente appropriata e tutti gli attori recitano al meglio, Tom Hardy e Charlize Theron su tutti. Molto probabilmente la versione voluta dal regista originariamente uscirà il prossimo anno, speriamo. Sono inoltre previsti due sequel, in teoria, sempre diretti da George Miller. Un vero capolavoro, destinato a diventare un cult, non solo il film migliore dell’anno ma uno dei migliori degli ultimi anni.
‘Everly’ di Joe Lynch
Si tratta sicuramente di uno dei migliori film d’azione dell’anno. La protagonista, interpretata da Salma Hayek, è una prostituta rinchiusa in una stanza che dovrà affrontare orde di nemici stravaganti. Tutta la storia è ambientata dentro alla stessa stanza; ciò non impedisce a di girare spettacolari scene d’azione. Il tutto è reso ancora più divertente dalla presenza di alcune situazioni o personaggi grotteschi e sopra le righe. Se si cercano contenuti o una storia avvincente, meglio tenersi alla larga da ‘Everly’. Se invece si cercano 90 minuti di pura azione senza troppe pretese, è sicuramente il film giusto.
‘Musarañas’ di Juanfer Andrés e Esteban Roel
La Spagna dimostra per l’ennesima volta di avare degli ottimi registi di genere. ‘Musarañas’ parte come un thriller psicologico, basato sul rapporto morboso tra due sorelle, una delle quali non riesce ad uscire di casa, soffrendo di una sorta di agorafobia. Man mano che il film procede, si trasforma sempre di più in un horror, regredendo fino ad un finale splatter con annesso colpo di scena. La storia è avvincente e la recitazione delle due protagoniste è ottima. Un horror diverso, molto particolare, sicuramente tra i più convincenti dell’anno.
‘Turbo Kid’ di Francois Simard, Anouk Whissell, Yoann Karl Whissell
Un film che omaggia il filone postapocalittico cominciato con ‘Mad Max: Fury Road’, un gesto
di amore da parte del regista verso il cinema fantascientifico anni ’80. ‘Turbo Kid’ non è soltanto un revival del cinema anni ’80, ma anche un film che riesce perfettamente ad intrattenere lo spettatore. Il budget a disposizione è veramente ridotto, e lo si nota, tuttavia ciò non da fastidio, anzi in un certo riesce ad essere una cosa positiva. Bellissimi i combattimenti, molto sanguinosi ma sempre
ironici. La colonna sonora in stile anni ’80 è semplicemente perfetta per il film.
‘Tag’ di Sion Sono
Uno dei 4 film che Sion Sono ha girato nel 2015. Il prolifico regista giapponese, che negli ultimi anni produce addirittura più film che il suo collega Takashi Miike (anche lui presente in questa classifica), si riconferma uno dei più interessanti in circolazione. La storia è quella di una ragazza che vive continuamente episodi spaventosi in cui spesso vede morire le sue amiche, per poi ritrovarsi in un corpo diverso e in una situazione diversa. La regia è innovativa, unica e Sono riesce a cambiare continuamente registro alternando situazioni più tipicamente horror, scene volutamente trash e splatter, episodi grotteschi e una parte (soprattutto verso il finale) più filosofica, arrivando a trattare temi molto complicati. Insomma un film unico che riesce a divertire e a far pensare, probabilmente trai migliori del regista. I primi 5 minuti e il finale sono da antologia, impossibili da dimenticare.
‘An inspector calls’ di Aisling Walsh
Tratto dall’omonimo dramma di John B. Priestley. Si tratta di una pellicola girata per la televisione, ma superiore a gran parte di quelle girate per il grande
schermo nel 2015. Un thriller ambientato tutto in una stanza, fatto di soli dialoghi ma in cui la tensione è sempre presente. ‘An inspector calls’ denuncia l’ipocrisia di una famiglia aristocratica del , prendendo uno ad uno i suoi membri e mostrandoci ciò che c’è dietro alla facciata dell’apparenza. Stupendo il personaggio del detective, interpretato magistralmente da David Thewlis.
‘Yakuza apocalypse’ di Takashi Miike
Rispetto a ‘Tag’ del compaesano Sono, questo ‘Yakuza Apocalypse’ si presenta come un prodotto rivolto più all’intrattenimento che ad altro. Ciò non è un male. Nonostante non sia assolutamente trai migliori di Miike, il film è godibile, divertente ed assurdo, come ci ha abituato il regista in questi anni. Così vedremo membri della Yakuza intenti a combattere contro i vampiri
Yakuza, passando per situazioni sempre più assurde e grottesche, fino al combattimento finale che raggiunge l’apice da questo punto di vista.
‘The Gift’ di Joel Edgerton
Un buon thriller diretto da Joel Edgerton che abbiamo conosciuto prima di ‘The Gift’ solo come attore. In questo caso, oltre ad interpretare uno dei protagonisti, passa anche alla regia.Il cinema australiano dimostra ancora una volta di avere molto da offrire in questi ultimi anni. Il film parte un po’ sottotono ma lentamente recupera e catture l’attenzione dello spettatore. Forse non originalissima la conclusione, ma sicuramente d’effetto. Trai migliori thriller dell’anno.
‘Ex Machina’ di Alex Garland
Esordio alla regia del talentuoso Alex Garland, fino ad ora sceneggiatore di film come ’28 giorni dopo’ e ‘Sunshine’, entrambi di Danny Boyle. Ex Machina
affronta il tema dell’intelligenza artificiale come ‘Chappie’ di Blomkamp, ma in modo completamente diverso. Garland riduce a zero l’azione, eliminandola completamente e dedicandosi solo alla psicologia dei 3 protagonisti. È un film che vive di dialoghi (non sorprende vista l’abilità di Garland come sceneggiatore) e della bravura degli attori. Per tutta la durata della pellicola assisteremo ad una battaglia psicologica trai tre personaggi, uno dei quali è un robot. Chi dei tre
vincerà? Assolutamente da vedere. Interessante è il paragone con ‘Chappie’; ci fa capire come si possano affrontare gli stessi temi in modi radicalmente diversi: il film di Blomkamp preferisce l’azione, quello di Garland tende di più verso la fantascienza filosofica.
‘Infini’ di Shane Abbess
Un altro film australiano, di fantascienza. Questa volta però lo sci-fi si sporca di horror, ispirandosi a pellicole come ‘Alien’ e ‘Punto di non ritorno’. Ottimo prodotto d’intrattenimento con molta azione (girata per altro in modo convincente) e con un finale che fa decollare il film, offrendo diverse chiavi di lettura e portando un significato che arricchisce la pellicola.
‘Kingsman – The Secret Service’ di Mathew Vaughn
Mathew Vaughn ci propone un altro cinecomic, dopo il convincente ‘Kick Ass’,
cercando di mantenere costante il suo stile. Così ci troviamo davanti ad un film carico d’azione, di comicità irriverente e di iperviolenza non realistica ma “fumettistica”. E Vaughn fa ancora centro. ‘Kingsman – The Secret Service’
intrattiene lo spettatore per tutta la sua durata facendolo ridere e facendogli spalancare la bocca dallo stupore in alcune scene d’azione girate con estrema maestria (quella della chiesa su tutte). Tutto ciò che si può volere da un film spensierato e divertente qui lo si ha, la Marvel dovrebbe prendere esempio Vaughn.
‘Beasts of no nation’ di Cary J. Fukunaga
Un prodotto molto interessante per diversi motivi. Il primo di sicuro è il produttore, ovvero Netflix, che a quanto pare sta passando dal piccolo schermo a quello grande, iniziando a produrre lungometraggi. Il secondo è Cary J. Fukunaga, già regista della serie tv ‘True Detective’. Fukunaga aveva già fatto notare il suo talento alla regia e con questo film lo riconferma. ‘Beasts of no nation’, costato appena 6 milioni di dollari, convince perché affronta un tema importante come quello dei bambini soldato in modo crudo e spietato. La regia di Fukunaga è interessante e non si fa mancare degli elaborati piani sequenza, a cui ci aveva già abituati con ‘True Detective’.
‘Regression’ di Alejandro Amenabar
Il ritorno di Amenabar a 6 anni da ‘Agora’. Il regista spagnolo torna al thriller con venature horror, generi nei quali si era cimentato con lo strepitoso ‘The Others’ e con ‘Tesis’. ‘Regression’ è stato demolito da critica e pubblico in modo, a parer mio, assolutamente ingiusto. Di sicuro non siamo di fronte ad un film perfetto, ne ad uno dei migliori del regista. Tuttavia i pregi sono molti: la fantastica fotografia di Daniel Aranyo, la grande interpretazione di Ethan Hawke e su tutti la regia di Amenabar. ‘Regression’ è un film che non convince pienamente nel suo
complesso ma che ha dei momenti molto alti, come la scena ambientata nel fienile. La tensione viene mantenuta fino agli ultimi 30 minuti in cui il film cambia completamente direzione. Di certo poteva essere meglio, tuttavia resta trai thriller più interessanti del 2015.
Nota di Molly su ‘Regression’
Nonostante abbia apprezzato qualcosa del film (una su tutti Ethan Hawke) e il beneficio del dubbio che permea la pellicola – il chiedersi costantemente se ci sia davvero Satana dietro l’intera vicenda è un dubbio che non si pongono solo gli spettatori ma anche i protagonisti di ‘Regression’- mi aspettavo decisamente di più dal regista di ‘The Others’. Ovviamente cambiano scenari, tematiche e quant’altro rispetto al capolavoro di Amenabar, ma rimane tuttavia quel senso di “inconclusione” (differente dal senso di inclusione lasciato da un possibile finale aperto) difficile da scrollare via che non mi permette di considerare ‘Regression’ un buon thriller.
In aggiunta, salvo una scena emblematica, l’ansia tipica da thriller non l’ho mai riscontrata. Insomma, una buona base, un inizio decisamente promettente ma poi, causa anche argomenti di per se stimolanti ma totalmente mal presentati dalla sceneggiatura tediosa e interpreti poco credibili, nulla più.
‘Non essere Cattivo’ di Claudio Caligari
Terzo e ultimo film di Claudio Caligari, dopo ‘Amore Tossico’ e ‘L’odore della notte’. Quest’ultima opera del regista convince in tutto. Un film crudo e
pessimista che ci mostra la provincia romana degli anni ’90. È scandaloso che quello di Caligari non sia un nome più conosciuto e che il regista abbia potuto realizzare così pochi film, nonostante il suo indiscutibile talento. Trai migliori film italiani dell’anno e non solo.
‘The Boy’ di Craig William Macneill
Prodotto singolare. Esordio alla regia di Craig William Macneill. Il giovane regista
ha pensato a questo film come il primo di una trilogia incentrata su tre periodi della vita di un serial killer. ‘The Boy’ si occupa della sua infanzia. Il film procede molto lentamente (fin troppo) mostrandoci la solitaria vita di un bambino e del suo padre che gestisce un motel in mezzo al nulla. Vediamo la progressiva
degenerazione della psicologia del bambino, ossessionato dall’idea di raggiungere sua madre in California. Come già detto il film è molto lento e risulta piuttosto pesante anche se interessante. Gli ultimi 20 minuti sono la parte più convincente e inquietante. Si spera nei sequel.
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