Regia: Bong Joon-ho.
Soggetto: Bong Joon-ho.
Sceneggiatura: Jon Ronson, Bong Joon-ho.
Musiche: Jemma Burns, Jaeil Jung.
Direttore della fotografia: Darius Khondji.
Produttore: Lewis Pictures, Kate Street Picture Company, Plan B Entertainment.
Montaggio: Yang Jinmo.
Anno:2017.
Durata:118′.
Paese:Corea del Sud, USA.
Distribuzione: Netflix.
Interpreti e personaggi: Tilda Swinton (Lucy Mirando/ Nancy Mirando), Steven Yeun (K), Shirley Henderson (Jennifer), Seo Hyun An (Mija), Paul Dano (Jay), Lily Collins (Red), Jake Gyllenhaal (Johnny Wilcox), Giancarlo Esposito (Frank Dawson), Devon Bostick (Silver), Daniel Henshall (Blond).
Indice:
–Trama
–Polemiche
–La fiaba che non è
–Dichiarazione d’intenti
Per dieci anni Mija ha vissuto con Okja, una gigantesca scrofa geneticamente modificata, uno dei ventisei esemplari spediti in giro per il mondo dalla multinazionale Mirando. Mija e Okja sono cresciute insieme nel bel mezzo delle solitarie montagne della Corea del Sud, sono indivisibili. L’idillio viene bruscamente interrotto dalla multinazionale, proprietaria dell’animale, che porta Okja a New York per “studiarla in laboratorio” e usarla come veicolo promozionale di una nuova e rivoluzionaria linea di prodotti alimentari. Con coraggio e senza nessun piano, Mija si lancia in una vera e propria missione di salvataggio.
La polemica sulla distribuzione
Le potenzialità di Okja rischiano di rimanere sepolte dalla polemica scaturita dall’impopolare scelta di Bong Joon-ho, acclamato regista di Snowpiercer e The Host, il quale ha presentato il suo ultimo film tramite la piattaforma Netflix.
I puristi hanno storto il naso, Cannes in primis, ma il regista coreano ha risposto alle critiche mettendo in tavola la libertà creativa al 100% assicuratagli da Netflix contro le imposizioni di mercato a cui sono soggette le major cinematografiche. Egli è riuscito a includere nel film le scene più controverse, ultimando un prodotto dalla scrittura intelligente e molto personale, non lontano dal crudele ritratto sociale che emerge già in Snowpiercer.
Infatti, benché Okja abbia tutti gli elementi del classico film d’avventura per famiglie, nascosti dietro le tonnellate di grasso del maiale gigante troviamo diversi temi cruciali per il mondo moderno.
I primi minuti della pellicola sono avvolti dal mistero onirico che ritroviamo in tutti i film dello studio Ghibli, in cui la natura non fa da cornice ma da protagonista e anche un soffio di vento al momento giusto può generare una divertente battuta.
Bong Joon-ho rifiuta le scelte semplici e i cliché e sceglie di contaminare anche questi paesaggi, monumento alla sacralità della natura.
Allora ci si chiede se la figura dell’anziano saggio sia davvero impotente di fronte alla multinazionale Mirando(una goliardica Monsanto) padrona dell’animaletto di sua nipote, o se forse è la possibilità di un ritorno economico vantaggioso che fa molta più gola dell’integrità morale, anche nelle zone più remote e rurali della campagna coreana. Non attenderemo molto per avere una risposta a questa e a simili questioni etiche.
Emerge, in questo mondo rarefatto e in scala di grigi, il candore di Mija, protagonista effettiva della pellicola. Avventurosa e intraprendente, farebbe qualsiasi cosa per salvare il suo compagno di giochi e proprio per questo risulta niente di meno che una pedina nel gioco tra sedicenti paladini del bene e malvagi manipolatori.
La parabola fiabesca del bambino che salva il suo animale domestico dalle grinfie del malvagio produttore di carne, per Joon-ho, non è altro che un espediente per rappresentare uno scorcio incredibilmente verosimile di quello che potrebbe essere il mondo nei prossimi decenni, se non addirittura del presente.
Nonostante queste premesse, il film non è il manifesto vegano che i più hanno glorificato. Le tematiche ambientaliste ed ecologiche sono trattate con incredibile attenzione nei confronti delle controversie insite in seno a questi movimenti.
Gli animalisti del FLA( Fronte di liberazione animale), nonostante le loro gesta eroiche, non sono altro che una parodia di quel che vorrebbero essere, non riuscendo ad andare oltre le etichette e le regole dettategli dal codice a cui fanno capo. La comicità sottile con cui il registra tratta queste contraddizioni fa sorridere ma soprattutto riflettere, rendendo impossibile lo schieramento totale. Incredibilmente divertente la scena in cui un membro del FLA rischia lo svenimento dopo il salvataggio di Okja, perché troppo debole, e rifiuta di mangiare anche un pomodoro perché “sta ancora provando ad avere il minor impatto ambientale possibile”.
Il sarcasmo e l’ironia sono i punti di forza dell’opera di Bong Joon-ho, grazie anche alla penna Jon Ronson, che ha firmato, tra le altre, la sceneggiatura de L’uomo che fissa le capre e della recente commedia indie Frank.
Ogni personaggio, in entrambe le fazioni, è tratteggiato con un’umanità tale da rendere qualsiasi battuta pronunciata niente di meno che una parodia dello stereotipo che rappresenta. Lontani dal FLA infatti, nel mondo asettico e freddo della Mirando ogni soggetto ha le sue peculiari schizofrenie.
Ai vertici della multinazionale una macchiettistica Tilda Swinton in un doppio ruolo, sicuramente pertinente, sembra ormai ingabbiata nella parte del cattivo sopra le righe; interessante il ruolo interpretato da Giancarlo Esposito che, memore dell’esperienza nei fast food di Breaking Bad, suggerisce, neanche troppo velatamente, le migliori strategie di marketing per la carne di maiale, nel corso di accese discussioni tra grandi capi che strizzano l’occhio ai teatrini dei politicanti contemporanei.
Insomma Bong Joon-ho non risparmia nessuno, nemmeno l’occhio dello spettatore, a cui somministra le atrocità che realmente si compiono nei mattatoi con la scusa del ‘tanto è tutto CGI’. L’attenzione riservata alla verve comica colma alcuni buchi nella sceneggiatura e distoglie l’attenzione da soluzioni fin troppo semplici per essere verosimili, anche nell’ambito del racconto. Il lieto fine, necessario, sembra giustapposto più per dovere che per reale convinzione.
Un film in continuo slancio che però non arriva mai al dunque, lontano dall’impeccabilità stilistica di Snowpiercer.
Scritto da: Ilaria Micella.