Ogni tanto ci si chiede – sono convinta che tutti lo facciano – come potrebbe essere rivedersi nel passato, ripercorrere pezzo per pezzo il modo in cui si è modificato il tempo, la piega che ha preso e subire il brusco faccia a faccia col presente.
In Blue Valentine il faccia a faccia non lo subiscono i protagonisti in prima persona, l’arduo compito è riservato allo spettatore.
Dean: Tell me how I should be. Just tell me. I’ll do it.
Ne ricaviamo una pungente riflessione sul tempo e sul cambiamento, spesso così tremendamente radicale. Eppure la semplicità di questa storia è disarmante, proprio perché potrebbe tranquillamente essere la storia di ciascuno di noi.
Lo spaccato di vita che ci viene mostrato è quello di Dean (Ryan Gosling) e Cindy (Michelle Williams) che condividono l’amore per la figlia di Cindy, Framkie, e oggi si ritrovano ad affrontare le conseguenze del rapporto di coppia.
La pellicola srotola la trama alternando solo il ‘prima’ e il ‘dopo’, non vi è centro, spiazzandoci quindi con un orribile contrasto di situazioni: pur non essendo una tecnica troppo originale il risultato è notevole, soprattutto perché appare così assurdamente ‘senza spiegazione’.
Come spettatori della vicenda, immersi nella vicenda, noi ci chiediamo perché mai la logica irrazionale di questi due adolescenti che prima si desiderano e non sanno perché, si contrappone alla saturazione e al disprezzo nei confronti dell’altro. A questo proposito non interviene nessun continuum narrativo in nostro soccorso, semplicemente ‘qualcosa è cambiato’ ed è un qualcosa che nemmeno i due protagonisti sanno ben spiegarsi.
Probabilmente il continuum non c’è perché sarebbe comunque insufficiente: il motivo per cui Cindy arriverà al disprezzo non è trattabile su pellicola, non si può raccontare. Noi lo cogliamo semplicemente dal suo sguardo vuoto, dal suo scostarsi in maniera quasi impercettibile nei confronti delle carezze di Dean. Un sogno rivoltato? Un possibile idillio che non si è realizzato?
Un passato, quello di Cindy e Dean, raccontato nello splendore e nel calore dei 16 mm e un presente su digitale, ci regalano un contrasto disarmante. Esso è accentuato dall’alternanza della fotografia calda/fredda, che raggiunge l’apice del suo distacco nella sequenza del motel, un tentativo – fallito – di Dean per potersi avvicinare quel po’ di più alla moglie che ormai fatica anche a dedicargli un semplice sguardo, nella speranza di risanare qualcosa.
A questo punto della narrazione conviene però soffermarsi sui ruoli di ciascuno: se Dean appare come la vittima sacrificale per eccellenza – lui che ha salvato Cindy dal suo male interiore e dai suoi tormenti, lui che si è preso carico di una figlia non sua – Cindy, tuttavia, non può essere la carnefice. La sua colpa dovrebbe essere quella di non corrispondere più il sentimento per Dean o quella di non essersi impegnata abbastanza per salvare questo rapporto? Forse, invece, Cindy si è solo accorta per prima che il filo che li univa aveva ormai cominciato inesorabilmente a sfilacciarsi.
Tuttavia la pellicola non si impone di risolvere il nodo più importante della vicenda: cosa accende il fuoco e cosa infine lo prosciuga?
Derek Cianfrance, dopo anni da documentarista, debutta al Sundance Film Festival 2010 raccontandoci una storia senza filtri e senza adornamenti ma lasciando all’aspra realtà la facoltà di giudizio e di parola, qualcosa di così immanente che tuttavia, spesso e volentieri, si fatica a raccontare.
Un progetto, quello di Blue Valentine, iniziato nel lontano 1998 che, sostanzialmente, ci racconta della fine di un amore. Dunque – vi starete chiedendo – dov’è la particolarità?
La scintilla che anima questa pellicola risiede nella sua capacità di mostrarci la nascita di un sentimento e, contemporaneamente, come lentamente svanisce, senza scadere mai nel sentimentalismo.
È la capacità di immedesimazione di ciascuno di noi che rende Blue Valentine una pellicola che forse non parla semplicemente di una fine ma analizza tutto lo spettro dei sentimenti umani concludendosi in una maniera tanto amara quanto veritiera.
Notevoli le prove attoriali della Williams – candidata agli Oscar 2011 per il ruolo di Cindy – e Gosling, il ragazzo “duro” ma buono e perennemente incompreso, entrambi meritevoli per la loro capacità di adattamento dei dialoghi, improvvisati per la maggior parte, come dichiarato dagli stessi. Il titolo del film invece omaggia l’album “Blue Valentine” di Tom Waits.
Priva di abbellimenti è anche la colonna sonora, quasi essenziale, dei Grizzly Bear che hanno adattato delle versioni strumentali di brani dal loro repertorio insieme a brani interpretati dallo stesso Gosling – uno fra tutti “You always hurt the ones you love”, offertoci nella deliziosa scena del balletto improvvisando da Cindy sulle note di un ukulele, una sorta di crudele auspicio.
You always hurt the one you love
The one you shouldn’t hurt at all
You always take the sweetest rose
And crush it till the petals fall
You always break the kindest heart
With a hasty word you can’t recall
So, if I broke your heart last night
It’s because I love you most of all
Scritto da: Molly