Regia: Lynne Ramsay.
Soggetto: Lionel Shriver.
Sceneggiatura: Lynne Ramsay, Rory Stewart Kinnear.
Musiche: Jonny Greenwood.
Direttore della fotografia: Seamus McGarvey.
Anno: 2011.
Durata: 112′.
Paese: USA.
Interpreti e personaggi: Rilda Swinton (Eva Khatchadourian), John C. Reilly (Franklin), Ezra Miller (Kevin adolescente), Jasper Newell (Kevin 6-8 anni), Ashley Gerasimovich (Celia), Siobhan Fallon Hogan (Wanda).
Eva ha messo da parte le sue ambizioni professionali e il suo amore per New York per crescere Kevin in provincia e in tranquillità, ma il rapporto tra madre e figlio è sempre stato complicato, fin dal principio. Da neonato non smetteva mai di piangere, da bambino non parlava, poi non ha mai fatto altro che disobbedire. Tutto contro la madre, per provocarla e addolorarla. A 16 anni, infine, Kevin ha premeditato e commesso il peggio: una strage. Due anni dopo, Eva ripercorre i ricordi, in cerca delle proprie mancanze, delle proprie responsabilità e di un perché.
Lynne Ramsay torna al lungometraggio dopo nove anni da “Morvern Callar”[1], con un film dirompente. “E ora parliamo di Kevin” è senza dubbio la sua opera più riuscita e una delle migliori in assoluto su questo tema. Adattando l’omonimo romanzo di Lionel Shriver[2], la regista riesce ad andare molto oltre realizzando un’opera potentissima, complicata e curata nei minimi dettagli.
Va detto che è un film difficile, sia per la pesantezza dei temi trattati, sia perché bisogna vederlo e rivederlo per cogliere al meglio tutti i dettagli.
La narrazione non è lineare ma totalmente discontinua e frammentata dai vari flashback. L’atmosfera che permea il film è quasi allucinatoria, onirica. È come se fossimo all’interno di un incubo della protagonista che ricorda e rivive alcuni dei momenti fondamentali del suo rapporto con Kevin. In questo viaggio dentro alla mente di Eva sono presenti molti elementi simbolici a cui fare attenzione.
Indice:
–Il rosso e altri presagi di morte
–L’importanza del sonoro
–La dimensione allucinata e orrorifica
–Individuale e sociale
–In conclusione
IL ROSSO E ALTRI PRESAGI DI MORTE
Per prima cosa analizziamo i colori del film: fin dall’inizio il rosso è dominante e ritornerà nel corso di tutta la vicenda come ovvio rimando alla strage attorno alla quale ruota la storia.
Analizziamo più approfonditamente i primi 6 minuti:
Nella prima inquadratura ci troviamo in una stanza, di notte, la telecamera si muove verso delle tende mosse dal vento. Man mano che ci si avvicina la scena si dissolve fino a quando lo schermo diventa completamente bianco.
Già dalla seconda scena il colore rosso compare e prende il sopravvento sugli altri. Assistiamo ad un ricordo della protagonista in cui è ad una processione e tutti sono completamente imbrattati di polpa di pomodoro. È immersa in questo liquido rosso che è il primo chiaro rimando al sangue che verrà versato. Con uno stacco di montaggio si passa al presente. Vediamo la protagonista sciupata e sola in casa.
La fotografia è sempre tendente al rosso. La protagonista esce e scopre che qualcuno ha lanciato della vernice (ovviamente rossa) contro a casa sua. È importantissimo questo elemento che tornerà durante il corso del film. Gli abitanti del paese l’hanno marchiata come assassina, hanno fatto ricadere su di lei le colpe del figlio.
La vernice che, ancora più della processione iniziale, rimanda al sangue, diventa un’ossessione per la protagonista che per tutto il corso del film cerca di rimuoverla sporcandosi di rosso. È il sangue versato che non si riesce a lavare.
Con un altro stacco di montaggio si passa ad un terzo piano temporale. Siamo nella casa dove viveva la protagonista con la sua famiglia prima della fantomatica strage. I colori dominanti sono il bianco (il pavimento, le sedie, il piano cottura, le pareti) e il beige del parquet e dei mobili.
Saltano all’occhio però degli elementi rossi che risaltano ancora di più staccandosi nettamente dal resto: le scarpe della bambina, la teiera, la lampada. La bambina è di spalle e canta, la macchina da presa si avvicina sempre di più fino a quando lei non si gira e vediamo che ha una benda sull’occhio. All’inizio non capiamo perché, dopo verrà spiegato, però è un altro presagio nefasto.
Un altro stacco e vediamo la protagonista che immerge la faccia nell’acqua. Si passa ad un’inquadratura identica in cui però è Kevin ad avere la faccia nell’acqua. Questo rimanda sempre all’identificazione tra la protagonista e suo figlio, l’identificazione della colpa che da uno passa all’altra. Kevin sta per tirare fuori la testa dall’acqua, c’è un altro stacco e vediamo la protagonista che si solleva dal lavandino e si specchia.
Già da questi primi 6 minuti si capisce bene quanto il film sia complesso e pieno di elementi simbolici che si prestano a varie interpretazioni.
È subito chiaro inoltre che la struttura narrativa è particolare. Il punto di vista è quello della madre e verrà mantenuto tale fino alla fine. Non a caso non vedremo mai la strage perché la madre non era presente. Assistiamo al prima e al dopo. Questa prima sequenza è sicuramente tra le più complicate e ad una seconda visione si comprende molto meglio. La simbologia di cui si è parlato però si ritrova in molte altre parti del film.
Il colore rosso ad esempio, a parte la fotografia che spesso utilizza luci rosse, torna nei bersagli che usa Kevin per l’arco, nella marmellata, nella vernice con cui Kevin imbratta la stanza della madre e via dicendo. Oggetti rossi sono presenti in quasi ogni scena.
È molto interessante questo uso del colore a cui bisogna dedicare l’attenzione durante il corso del film.
Il sonoro è un altro elemento fondamentale. Per quanto riguarda la scelta delle canzoni da parte della regista, bisogna dire che la musica viene spesso usata con una funzione anempatica e quasi di commento ironico. Ramsey lo aveva già fatto nei suoi lavori precedenti, quindi non è una scelta che sorprende ma è comunque funzionale.
La cosa veramente soprendente è invece l’utilizzo che viene fatto del sonoro. Come abbiamo visto prima per i colori, anche in questo caso ci sono degli elementi ricorrenti.
In particolare il suono degli irrigatori che è come un leit motive che accompagna le scene più tese e quelle in cui la violenza si compie. Nella prima inquadratura, quella delle tende, è già presente. Capiremo in seguito da dove proviene: dal giardino in cui vengono ritrovati i cadaveri del marito e della figlia della protagonista. Il suono torna ovviamente quando scopriremo i cadaveri ma anche in altri momenti, come quello in cui Kevin imbratta la stanza della madre. È un suono che ossessiona la protagonista, visto che è legato al momento della strage e che sentiamo più volte in questo viaggio all’interno della sua mente.
Il sonoro è importante anche nella prima parte nel delineare il rapporto tra la madre e il figlio. Il pianto del bambino (che già Lynch[3] ha usato in modo magistrale in “Eraserhead”[4]) unito ai rumori della città, come il martello pneumatico, portano la protagonista alla disperazione e sono fondamentali per far nascere il rifiuto nei confronti del bambino.
È interessante anche l’uso che viene fatto del sonoro nelle scene di maggiore tensione. Vengono sovrapposti diversi rumori, anche distorti, per creare una sensazione di disagio nello spettatore.
La provenienza di alcuni di questi rumori viene chiarita più avanti nel film, come il rumore della sega circolare nelle scene della strage.
LA DIMENSIONE ALLUCINATA E ORRORIFICA
Come già ho detto, il film è come un viaggio all’interno della psicologia di Eva. La fotografia di alcune scene, l’uso del sonoro, la narrazione frammentata sono tutti elementi che danno questa impressione e che contribuiscono a creare un’atmosfera allucinata e a tratti orrorifica.
Sono molti i rimandi al cinema horror, al quale attinge di sicuro la regista. Primo su tutti il filone horror incentrato sui bambini malvagi: dal classico “Omen”[5], al più recente “Orphan”[6]. Anche Kevin all’inizio ha molti dei comportamenti tipici di questi bambini.
La cosa che colpisce maggiormente è la consapevolezza che ha di fare del male. Sembra quasi uno dei protagonisti dei film sopra citati, la personificazione del male. In seguito capiremo che la vicenda è più complicata.
Anche le scene di maggiore tensione richiamano il genere horror, specialmente quelle in cui la fotografia è dominata dalle luci rosse che ricordano molto il Dario Argento[7] di “Suspiria”[8].
Dei vari film che trattano di bambini o adolescenti che compiono stragi, come “Elephant”[9] e “Confessions”[10] (entrambi presenti nel nostro sito), “E ora parliamo di Kevin” è quello che più si concentra sul rapporto madre figlio.
In “Elephant”, Van Sant[11] dava tantissimi spunti suggerendo una miriade di cause che avrebbero potuto portare i due ragazzi a compiere una strage, senza però approfondirne nessuno e lasciando lo spettatore nella più completa incertezza.
In “Confessions” era presente anche il tema della famiglia però la riflessione veniva estesa alla società giapponese in generale.
Ramsey ha deciso invece di concentrarsi su un solo elemento, senza tuttavia dare troppe certezze allo spettatore. Una delle cose che più convincono del film è il fatto che per una volta ci venga mostrata una madre in crisi. Una madre che è scissa tra l’amore e l’odio per il figlio, visto come colui che ha radicalmente cambiato la vita della protagonista. È stata costretta a rinunciare a tutto ciò che faceva prima. Si intuisce che le piaceva viaggiare tanto che, per rimediare al fatto che non può più farlo come in precedenza, tappezza tutta la sua stanza di cartine geografiche. Anche questo piccolo angolo privato che si è creata viene però invaso e distrutto dal figlio.
Kevin percepisce fin da piccolo i sentimenti contrastanti della madre e risponde allo stesso modo, anche se cerca di nascondere completamente l’amore nei suoi confronti emerge solo quando è malato (e quindi in difficoltà). In quel momento si scoprono forse anche i suoi veri sentimenti nei confronti del padre, fin troppo presente e fin troppo buono nei suoi confronti. Kevin sembra sempre adorare il padre, tranne nel momento in cui sta male, ovvero quello in cui rivela la sua reale identità.
Non a caso l’unico componente della famiglia che Kevin non uccide è proprio la madre verso la quale dimostra tanto odio.
Tuttavia viene lasciato sempre un velo di ambiguità sui rapporti tra i personaggi. Ramsey non ha voluto chiarire tutto alla perfezione e ha lasciato molto spazio all’interpretazione dello spettatore.
Le domande sono molte e le risposte poche. La principale domanda che viene lasciata irrisolta è: cosa ha spinto Kevin a fare una cosa del genere?
Vive in una bella casa, la sua famiglia è borghese, non hanno problemi economici, non frequenta (a quanto si sa) dei brutti giri. Quindi quali sono le sue ragioni? Viene accennato un bisogno di apparire. A Kevin viene anche riservato un monologo molto attuale riferito al mondo della televisione, dell’informazione ma anche dei più recenti social. Insomma ad un mondo dove tutto ciò che conta è il disperato bisogno di apparire, di uscire dalla noiosa quotidianità in cui si è immersi. Questo discorso viene ripreso quando vediamo Kevin pronto a massacrare i suoi compagni in palestra. Prima di cominciare la carneficina fa un inchino.
È simbolico anche il fatto che la strage venga compiuta usando come arma l’arco che il padre, fin da piccolo, ha fatto usare al figlio.
Sicuramente le cause vanno anche ricercate nel rapporto madre e figlio su cui si concentra la regista, però non sembra esaustivo e tutto è molto aperto.
Lo stesso Kevin, nel finale del film, afferma che un tempo sapeva il perché di ciò che ha fatto, ma ora non è più certo di saperlo. Il finale è inoltre il secondo momento in cui vediamo il ragazzo in difficoltà. Il primo è quando da bambino era malato. Ora lo vediamo in riformatorio, sta per raggiungere la maggiore età e per essere trasferito in una vera prigione. È in crisi perché sa quanto le cose saranno più dure lì. Per la seconda volta quando è in difficoltà trova conforto solo nella madre.
Nonostante il tema principale sia proprio il rapporto tra Kevin e Eva, il film è molto stratificato e troviamo diversi livelli tematici.
Possiamo trovarci una critica rivolta agli abitanti del paese in cui è ambientata la vicenda che trattano la protagonista come una reietta, come se fosse stata lei ad uccidere i loro figli.
Bastano poi poche inquadrature come quelle dentro alla palestra dove viene compiuta la strage a rendere ancora più stratificata l’interpretazione del film. Kevin che fa un inchino nella palestra, sullo sfondo una bandiera americana, volontariamente o involontariamente allarga il discorso rimandando ai vari casi di cronaca e ai numerosi altri film e libri che trattano lo stesso tema.
Forse non era neanche nelle intenzioni di Ramsey ma è inevitabile, soprattutto in America dove la questione è molto più sentita rispetto che da noi, che la riflessione venga allargata a livello sociale e non più individuale, complice anche il monologo di Kevin di cui ho già parlato.
Il film si conclude con una soggettiva della protagonista (e quindi anche con lo sguardo dello spettatore) che va verso una porta aperta. Con una dissolvenza lo schermo diventa completamente bianco, riprendendo la prima inquadratura. Siamo entrati e poi usciti dalla mente della protagonista.
Ribadisco che “e ora parliamo di Kevin” è un film complesso, le cose da dire sono tante, forse troppe. Sicuramente questa recensione non sarà esaustiva, anche perché è una pellicola che si presta molto ad un’interpretazione soggettiva, quindi è probabile che molti non concordino con quanto è stato detto.
È però indubbio il fatto che sia realizzato con una cura maniacale per i particolari, da ogni punto di vista. Il sonoro, il montaggio, la regia sono tutti studiati per creare un’esperienza unica: un viaggio all’interno della mente della protagonista.
Gli attori regalano delle performance straordinarie, soprattutto Tilda Swinton[12] qui alle prese con quella che forse è la sua migliore interpretazione di sempre.
Siamo davanti ad un film veramente straordinario e purtroppo non conosciuto come dovrebbe, nonostante non siano mancati vari riconoscimenti.
Scritto da: Tomàs Avila.
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Note:
[1] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0300214/?ref_=nv_sr_1 .
[2] Link IMDB della scrittrice: http://www.imdb.com/name/nm2651543/?ref_=fn_al_nm_1 .
[3] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0000186/?ref_=tt_ov_dr .
[4] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0074486/?ref_=nv_sr_1 .
[5] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0075005/?ref_=fn_al_tt_1 .
[6] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt1148204/?ref_=nv_sr_2 .
[7] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0000783/?ref_=tt_ov_dr .
[8] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0076786/?ref_=fn_al_tt_1 .
[9] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0363589/?ref_=fn_al_tt_1 .
[10] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt1590089/?ref_=fn_al_tt_1 .
[11] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0001814/?ref_=fn_al_nm_1 .
[12] Link IMDB dell’attrice: http://www.imdb.com/name/nm0842770/?ref_=nv_sr_1 .