Recensione Big Bad Wolves

In Cinema, Recensioni brevi, Tomàs Avila by Tomas AvilaLeave a Comment

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Regia: Aharo Keshales, Navot Papushado.
Soggetto: Aharo Keshales, Navot Papushado.
Sceneggiatura: Aharo Keshales, Navot Papushado.
Musiche: Haim Frank Ilfman.
Direttore della fotografia: Giora Bejach.
Produttore: Leon Edery, Moshe Edery, Tami Leon, Chilik Michaeli, Avraham Pirchi, Roby Star.
Anno: 2013.
Durata:110′.
Paese: Israele.
Interpreti e personaggi: Tzahi Grad (Gidi), Lior Ashkenazi (Micki), Rotem Keinan (Dror), Doval’e Glickman (Yoram), Menashe Noy (Rami), Dvir Benedek (Tsvika), Nati Kluger (Eti)…

 

Pellicola interessante che ruota attorno alla storia di un insegnante sospettato di pedofilia.
Dopo aver trovato il cadavere di una bambina (a cui manca la testa), un poliziotto, convinto che il colpevole sia proprio il professore in questione, escogita un piano per rapirlo. Non è però a conoscenza del fatto che anche il padre della bambina vuole rapire l’insegnante e, dopo un lungo inseguimento, il padre avrà la Big Bad Wolvesmeglio e rapirà non solo il presunto pedofilo ma anche il poliziotto.

I due registi israeliani, Aharon Keshales e Navot Papushado, dopo il successo ottenuto con l’horror “Kalevet”[1] nel 2010, girano il film che li renderà famosi praticamente in tutto il mondo. Il merito è quasi tutto di Quentin Tarantino[2] che lo ha pubblicamente definito “il suo film dell’anno” (2013) : I due registi sono stati quindi favoriti da una grande spinta ma, bisogna dirlo, se la sono meritata.
“Big bad wolves” non è un film leggero per via dei temi trattati e della violenza esibita che ha fatto storcere il naso a molti: perfettamente in corda con i temi affrontati nelle pellicole di Tarantino, non si può inquadrare come semplice thriller; i generi vengono mischiati e si passa dalla commedia all’azione, fino ad arrivare a qualche punta horror-splatter.

Sono molteplici le fonti d’ispirazione: Tarantino stesso, come già accennato, specialmente per il suo “Reservoir Dogs”[3] (i registi estrapolano alla perfezione il cinismo di fondo, il titolo e l’ambientazione), il filone thriller coreano degli ultimi anni per il ribaltamento di prospettiva (Da “I saw the devil”[4] a “The Chaser”[5]), il cinema dei fratelli Coen[6] (per gli elementi più da commedia nera) e qualche elemento del sottogenere torture-porn.
I due registi prendono il tutto un po’ da varie parte per poi rielaborare e creare una pellicola che richiama i nomi già citati ma che ha anche qualcosa di molto personale.
Ciò che colpisce maggiormente è senza dubbio il pessimismo di fondo e la Big Bad Wolvescattiveria del film: Keshales e Papushado non sembrano simpatizzare per i loro personaggi, ad eccezione di uno della quale parlerò in seguito.

Tra tutti, il poliziotto ci viene presentato fin da subito come un uomo violento, che se ne infischia completamente del codice di comportamento che dovrebbe seguire, come ci viene mostrato ad esempio quando decide picchiare a sangue insieme ai suoi compagni un semplice sospettato.

Dopo lo splendido incipit a ralenti che segue la scomparsa della bambina, il film sembra prendere una strada alla “Il sospetto”, mostrandoci come cambia la vita dell’insegnante preso di mira dalla polizia. Se inizialmente verrà solo scanzonato dai suoi stessi alunni che lo accusano di pedofilia, in seguito gli verrà comunicato che non potrà più svolgere il mestiere di insegnate: in questa prima metà della pellicola lo spettatore è portato a stare dalla sua parte, per cui dovrà assistere inerme alla visione di un poveraccio che viene accusato, picchiato, licenziato e in seguito rapito.

Il poliziotto invece non è assolutamente sentito come personaggio positivo ma come un individuo che agisce solo per interesse personale: causa anche il caricamento online di un video che mostra lui e i suoi compagni picchiare l’insegnante in questione, al fine di evitare il linciaggio mediatico, necessita di Big Bad Wolvesfarlo confessare prima che si diffonda la notizia.

L’ultimo ma altrettanto fondamentale personaggio della vicenda è il padre della bambina che ci viene presentato come assolutamente anticonvezionale e sopra le righe: arrivando addirittura a compare una casa nuova, lontana dalla città, sfocerà completamente nella follia omicida quando ci verrà mostrato che questo acquista per il personaggio ha il fine unico di poter torturare in tutta tranquillità il suo sospettato. L’obiettivo dell’uomo è farsi dire dove si trova la testa della figlia (il cadavere che è stato trovato decapitato) per poi prendersi la soddisfazione di vendicarsi.

Si unirà al terzetto, marginalmente, anche il nonno della bambina che inizialmente si mostrerà contrariato ma in seguito si convincerà a voler partecipare all’opera di tortura.

Particolarmente i personaggi che fin dall’inizio appaiono folli, violenti e deviati rimangono tali fino alla fine, l’unico che muterà con l’evolversi della storia è l’insegnante.

Come già detto all’inizio quest’ultimo appare principalmente come una vittima dell’intera vicenda ma, durante il corso del film, troviamo disseminati molti elementi che mettono in discussione la sua posizione, innescando nello Big Bad Wolvesspettatore il possibile dubbio che in realtà non sia proprio la persona che vuole far credere. Uno dei pochi avvenimento che cerca invece di mettere in dubbio la nostra possibile sfiducia nei suoi confronti è il fatto che confesserà di avere una figlia e viene presentato sempre come una persona buona e per bene.

Spoiler SelezionaMostra

In questo la pellicola si differenzia senza dubbio da molto da altri film del genere, come il bellissimo “Prisoners”.

I temi affrontati, come si è visto, sono molto crudi: se da una parte i due registi appesantiscono ancora di più il film inserendo scene molto violente, come le varie torture che l’insegnante subisce, dall’altra cercano di alleggerire il tutto introducendo l’elemento comedy che comunque si inserisce senza stridere mai con il resto. Si passa dunque da un umorismo nerissimo a parti decimante più Big Bad Wolvesscanzonate senza però lasciare che questo influisca negativamente sul ritmo e la tensione che rimangono costanti per tutta la durata.
Da questo punto di vista è veramente azzeccato il personaggio del palestinese, l’unico che ne esce pulito: un’individuo quasi surreale che preferisce spostarsi a cavallo anche se possiede uno smartphone di ultima generazione e si muove con fierezza sconfessando gli stereotipi che gli israeliani sembrano avere del suo popolo.

Un’espediente decisamente interessante che da modo ai registi di accennare ironicamente allo spinoso tema del conflitto palestinese-israeliano.
Tecnicamente il film è realizzato benissimo, servendosi di un ottime regia e fotografia ed è stato presentato al festival di Cannes del 2014.

 

Scritto da: Tomàs Avila.

 

Note:

[1] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt1754000/?ref_=fn_al_tt_1  .

[2] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0000233/?ref_=nv_sr_1 .

[3] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0105236/?ref_=nm_knf_i2 .

[4] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt1588170/?ref_=nv_sr_2 .

[5] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt1190539/?ref_=nv_sr_1 .

[6] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0001054/?ref_=nv_sr_1 .