Monografia di Pascal Laugier. Parte 2- Martyrs

In Analisi film, Cinema, Pascal Laugier, Tomàs Avila by Tomas AvilaLeave a Comment

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Regia: Pascal Laugier.
Sceneggiatura: Pascal Laugier.
Soggetto: Pascal Laugier.
Colonna sonora: Alex Cortés, Willie Cortés.
Direttore della fotografia: Stéphane Martin, Nathalie Moliavko- Visotzky, Bruno Philip.
Montaggio: Sébastien Prangère.
Produttore: Canal Horizons, Canal+, CinéCinéma, Crédit d’Impôt Cinéma et Télévision, Crédit d’Impôt pour la Production Cinématographique ou Magnétoscopique Canadienne, Eskwad, TCB Film, Wild Bunch.
Anno: 2008.
Durata: 99’.
Paese: Francia, Canada.
Interpreti e personaggi: Morjana Alaoui (Anna), Mylène Jampanoï (Lucie), Catherine Bégin (Mademoiselle), Xavier Dolan (Antoine).

Indice:
Introduzione 
Tra splatter e torture porn
Pre apocalisse
La paura della morte: il vecchio mangia il giovane
Il martirio e la rivelazione
I bambini, la donna e il soprannaturale
Comparto tecnico

INTRODUZIONE 

Arriviamo così a Martyrs che, va detto fin dal principio, è uno degli horror più importanti del nuovo millennio, senza alcun dubbio.
Quando uscì nel 2008 fu un fulmine a ciel sereno. O meglio, il cielo era già scuro da tempo visto che gli altri tre capisaldi della nouvelle vague horror francese erano già usciti: Alta tensione di Alex Aja nel 2003, A l’interieur di Alexandre Bustillo e Julien Maury e Frontier(s) di Xavier Gens nel 2007.

La locandina di Frontiers, di Xavier Gens, del 2007.

Ma se già si era abituati a un innalzamento dell’asticella del sopportabile, complice anche lo Splat Pack d’oltre oceano, come mai Martyrs fu l’unico di questi film ad essere classificato vietato ai minori di 18 anni dalla Commission de classification des oeubres cinématographiques? Si è dovuta addirittura tenere una manifestazione contro alla censura del cinema di genere davanti al ministero della cultura di Parigi per far sì che il ministro della Cultura Christine Albanel chiedesse alla commissione una revisione del visto.
Alla fine il divieto venne spostato ai 16 anni, con un avvertimento, ma resta il fatto che Martyrs è stato recepito diversamente rispetto agli altri horror francesi, perché?

Una ragazzina con segni di brutali violenze sul corpo corre sanguinante per strada. Il luogo in cui è stata rinchiusa viene scoperto, ma rimane il mistero su chi le abbia fatto del male e perché. Rinchiusa in istituto, la piccola, Lucie, perseguitata da orribili visioni, si attacca alla coetanea Anne, che le vuole bene e si prende cura di lei. 15 anni dopo, una ragazza si presenta armata di fucile alla porta di una tranquilla casa borghese e compie una strage efferata, sterminando la famiglia che vi abita. E’ Lucie, che finirà per soccombere ai suoi demoni, e sarà Anne, accorsa in suo aiuto, a diventare protagonista del suo incubo e vittima predestinata, e a prendersi un’estrema vendetta sui suoi carnefici. (da Comingsoon)

La locandina di A l’interieur, di Alexandre Bustillo e Julien Maury, del 2007.

Per spiegare le origini del più celebre film di Laugier, bisogna ricollegarsi al periodo dopo Saint Ange. La pellicola, rivelatasi un fallimento al botteghino rese difficile al regista trovare i finanziamenti per realizzare un nuovo film. A quanto pare, aveva già in mente l’idea che poi avrebbe portato al suo terzo lungometraggio, I bambini di Cold Rock, ma richiedeva un budget troppo elevato. Preso dalla rabbia per il fallimento commerciale del suo esordio cinematografico e in un periodo di depressione dovuto soprattutto a delle considerazioni sul mondo contemporaneo che riprenderemo in seguito, Laugier scrisse la sceneggiatura di Martyrs, uno dei film più oscuri, tristi e privi di speranza che, a mio parere, si siano mai visti in sala. Conoscendo la condizione in cui si trovava il regista nel periodo della sua realizzazione, si capisce di più il motivo di tanta disperazione e sofferenza racchiuse in quest’opera.
In ogni caso, il risultato è stato, ovviamente, che tanti produttori e attrici non accettarono di partecipare al progetto[1] e lo stesso Richard Grandpierre, che in seguito accettò di produrre il film, inizialmente rifiutò la sceneggiatura, avendola considerata ai limiti della sopportabilità. E parliamo del produttore di film come Irréversible, Them nonché dello stesso Saint Ange. Alla fine accettò, forse capendo che un film così estremo avrebbe potuto creare un polverone, come poi avvenne, e, si sa, non esiste la cattiva pubblicità.

 

TRA SPLATTER E TORTURE PORN 

Martyrs è stato compreso solo alcuni anni dopo la sua uscita. Certo, qualcuno al festival di Cannes, dove venne stato presentato in anteprima nel 2008, gridò subito al capolavoro ma altrettanti, anzi probabilmente molti di più lo liquidarono troppo frettolosamente come un’operazione di macelleria fine a sé stessa, ascrivendolo al genere del torture porn. Se già in generale è sbagliata questa tendenza a dover inserire ogni opera in un contenitore, a dover categorizzare ogni cosa, con autori come Laugier si sbaglia ancora di più perché i suoi film sono impossibili da rinchiudere in una definizione.

La locandina di Saw, di James Wan, del 2003.

Se però volessimo riagganciarci al torture porn, potremmo dire che Martyrs non appartiene a questo filone ma ne è la pietra tombale. È il punto di non ritorno del filone, che dopo il film di Laugier non ha veramente più nulla da aggiungere.
Abbiamo abbondantemente parlato dello Splat Pack americano, ovvero di una serie di film horror made in USA che hanno riportato il vero orrore, dopo anni di slasher innocui, sapendo interpretare le paure del mondo contemporaneo, similmente a quello che è accaduto in Francia con la New French Extremity.
Tra i vari film dello Splat Pack, molti appartengono al torture porn, categoria creata ad hoc dai giornalisti, a quanto pare, per descrivere il primo Saw, di James Wan.
Si tratta di film in cui la tortura ha un ruolo centrale, per motivi diversi, e la violenza ovviamente occupa anch’essa una posizione di primo piano. Le saghe di Saw e Hostel sono paradigmatiche, in particolare la prima, la cui evoluzione ci fa ben capire la deriva che ha preso questo piccolo sottogenere. Se i primi film avevano un tono abbastanza serioso, andando avanti si puntò sempre di più sulle fantasiose torture e sulle improbabili scene di sbudellamenti, tanto da rendere queste pellicole completamente innocue, dei puri divertissment che possono scandalizzare solo chi non ha mai visto un horror.
Per Martyrs il discorso è diverso. Non si ride mai nel film di Laugier, che si prende estremamente sul serio. Non vuole divertire, vuole far provare delle emozioni allo spettatore, vuole fargli del male, riuscendoci in pieno.

È importante fare notare come, nonostante in Martyrs il sangue scorra a fiumi, le scene più splatter siano nella prima parte del film, quella più tradizionalmente horror. Nella seconda parte, quella più insostenibile ed erroneamente scambiata per un torture porn, la violenza diventa più psicologica e quella fisica è limitata soprattutto a schiaffi, pugni e calci, fino ovviamente al terribile finale in cui però i particolari più gore vengono lasciati tutti fuori campo.
Nonostante ciò però è il film di Laugier che ha rischiato di essere vietato ai 18 anni in patria (da noi in Italia invece lo è tuttora), per due motivi principali: le tematiche trattate che possono risultare indubbiamente fastidiose e il fatto che non ci sia compiacimento nel mostrare la violenza. Non è la violenza pop di Tarantino né quella così esagerata da diventare parossistica di Saw e Hostel.
Martyrs si mantiene sempre su un registro molto realistico e serio e proprio per questo uno schiaffo riesce a fare più male delle elaboratissime macchine di morte di Saw.

 

PRE-APOCALISSE 

Ma cerchiamo ora di capire come mai il film sia così scuro, così carico di pessimismo.

Ho già accennato al brutto periodo in cui si trovava Laugier. Lui stesso in diverse interviste ha spiegato molto chiaramente quali fossero i pensieri che lo tormentavano e che hanno portato alla genesi di Martyrs:
“Metaforicamente, direi che il film è per me un modo per parlare dei tempi in cui viviamo attualmente. Ho la sensazione, come una triste intuizione, che le nostre società urbane occidentali siano colme di disparità e brutalità. Come un mondo prossimo alla sua fine, un mondo che sta per essere rimpiazzato da qualcosa di altro.

Il cinismo del nostro sistema ha ucciso tutto, le persone sono più isolate e solitarie che mai. Non penso che possa durare, anche se sarò morto di giorno in giorno le cose cambieranno veramente in qualcosa di meglio. L’horror per me è un modo per esprimere le cose personali. Per sfuggire all’ironia e alla miseria intellettuale in cui è caduta l’opinione pubblica. La cultura del ‘fantastico’ è un buon strumento per sentirsi lontano dai pensieri dominanti e dall’imperialismo dei mass media. È una ‘controcultura’, libera di esprimere ciò che non viene detto. L’horror può essere una sovversione, può essere rivolto a un pubblico maturo”[2].

Un’idea di horror sovversivo, in grado di andare contro al pensiero dominante e di porre questioni difficili. Esattamente come ci hanno insegnato i maestri del New Horror come Carpenter, Romero e Hooper, anche se questi, specialmente i primi due, sono sempre stati più politicizzati.
Laugier con Martyrs si avvicina forse di più a un regista come Cronenberg, sia per il fatto di voler affrontare questioni più filosofiche, sia per l’ossessione del corpo, della carne e della sua distruzione.

Importante è il fatto che nel film si respiri un’atmosfera decadente, cupa, come ha sottolineato lo stesso regista “quasi come una pre-apocalisse”[3]. Del resto un mondo come quello in cui succedono le cose che vediamo nella pellicola, come fa ad avere delle prospettive per il futuro?
Non si parla mai esplicitamente di apocalisse, ma la sensazione è che sia molto prossima, complice il fatto che in tutto il film non ci sia un solo barlume di speranza.

 

LA PAURA DELLA MORTE: IL VECCHIO MANGIA IL GIOVANE 

Arriviamo così a uno dei temi che sono stati più trascurati dalla critica, che si è soffermata maggiormente su quello del martirio, il tema centrale del film.

Come le altre opere del regista, anzi in questo caso ancora di più, Martyrs è estremamente stratificato e i livelli di lettura sono molteplici.
Interessante è la lettura più politica che, per quanto Laugier abbia sottolineato più volte di non voler esprimere idee politiche nei suoi film ma di volersi concentrare su questioni più sentimentali e universali, è impossibile non vedere, specialmente alla luce delle sue successive pellicole, in particolare I bambini di Cold Rock. Nel finale di Martyrs si riuniscono i membri della setta (religiosa o laica non è dato a sapere) guidata da Mademoiselle, per ascoltare la rivelazione di Anna, martirizzata e entrata in uno stato di estasi mistica.
Salta subito all’occhio che quasi tutti i membri della setta sono avanti con l’età, alcuni prossimi alla morte e si lascia addirittura intendere che Mademoiselle potrebbe avere qualche malattia a uno stadio avanzato.

Al contrario le vittime martirizzate sono tutte giovani, inizialmente anche bambini ma in seguito esclusivamente donne giovani.
Insomma, al di là delle motivazioni religiose, che affronteremo nel prossimo paragrafo, sembra chiaro il messaggio del regista: il vecchio, non accettando che il futuro è nelle mani del giovane, cerca di fagocitarlo. La tradizione che cerca di sopprimere la novità.
È un tema che torna in diversi horror, da The Texas Chainsaw Massacre di Hooper a Society di Yuzna, passando pure per opere estremamente importanti e lontane dal genere, come Easy Rider di Dennis Hopper.
L’idea di un mondo borghese che senza scrupoli si “appropria” delle vite altrui ritornerà in I bambini di Cold Rock, anche se declinato in modo diverso.

 

IL MARTIRIO E LA RIVELAZIONE 

Senza dubbio tuttavia il tema principale della pellicola è quello del martirio.

L’idea di base è quella che una persona, se sottoposta a sofferenze atroci, restando però in vita, possa raggiungere uno stato di coscienza superire, si trasfiguri. Il corpo sarebbe ancora in vita ma la mente non sarebbe più rivolta al mondo terreno bensì un ponte tra due dimensioni.
Fondamentali sono gli occhi del martire, come fa notare Mademoiselle, che sono rivolti verso qualcosa che noi non riusciamo a vedere. Del resto, come viene sottolineato nel film, etimologicamente la parola “martire” rimanda a “testimone” prima ancora che a chi si sacrifica in nome della fede.
Non viene mai specificato se alla base della setta ci siano motivazioni di ordine religioso o meno e non importa. La morte è una cosa che riguarda tutti gli esseri umani e spaventa tutti allo stesso modo, perché è per eccellenza l’ignoto, ciò che non possiamo conoscere ma dobbiamo solo accettare.
Non tutti però possono essere martirizzati, ci vuole una predisposizione particolare, non a caso soltanto quattro delle vittime della setta hanno raggiunto lo stato di trasfigurazione e solo Anna è riuscita a riferire cosa ha visto. Perché proprio lei?

Perché Anna è la bontà assoluta, una sorta di santa moderna, come ha specificato il regista[4]. Il rapporto che intercorre tra Anna e Lucie non è mai specificato, sono amiche fin da bambini, in pratica sono cresciute assieme. Ma si intuisce che da parte di Anna c’è qualcosa di più, è innamorata dell’amica e disposta a donarsi completamente a lei, in questa storia d’amore destinata a finire male.
Dopo la morte di Lucie, si capirà che l’amore di Anna non è rivolto solo a lei ma è assoluto, lo si comprende bene da come si prende cura della donna trovata nei sotterranei della casa, nonostante avesse detto di non essere in grado di curarla.
E proprio perché rappresenta il bene e l’amore assoluti, sarà lei a prendersi carico delle sofferenze e delle paure del resto dell’umanità, in un percorso di progressiva deumanizzazione, un percorso di martirizzazione che la porterà infine a trasfigurarsi.

In alto La passione di Giovanna d’Arco di Carl Theodor Dreyer, del 1928. In basso Martyrs.

È proprio la parte del martirio quella che molti spettatori e critici hanno ritenuto insostenibile e che, obbiettivamente, è difficile che non lasci il segno anche nello spettatore più avvezzo a pellicole di questo genere.
Le torture e i soprusi inflitti ad Anna sono freddi e metodici, si capisce che c’è preciso calcolo dietro al percorso del martirio, un percorso che deve portare Anna a non essere più Anna, deumanizzandola progressivamente. Questo attraverso le violenze fisiche e psicologiche. Incatenata, rasata a zero, imboccata come fosse una bambina. Tutto la porta a estraniarsi, ad abbandonare il mondo che la circonda e il suo stesso corpo. Non a caso l’ultima delle violenze inflitte, che Laugier decide saggiamente di tenere fuori campo, è lo scuoiamento. Anna viene privata della sua stessa pelle, di ciò che la rende riconoscibile come individuo. In questo modo non è più ciò che era prima.

Anna inizialmente si oppone, cerca di combattere e reagisce alle violenze. Poco per volta però, annulata psicologiamente, cede agli aguzzini, abbandonandosi completamente alle loro sevizie.

In alto La passione di Giovanna d’Arco di Carl Theodor Dreyer, del 1928. In basso Martyrs.

Laugier gestisce alla perfezione questa parte del film, senza mostrare nulla di troppo, senza compiacimento. Ogni scena è necessaria per comprendere il percorso di Anna, da quando all’inizio cerca di rispondere colpendo uno dei membri della setta, fino a quella che probabilmente è la scena più bella e toccante del film, in cui alla violenza delle immagini viene contrapposta la dolcezza della colonna sonora (Goldmund- My Neighborhood), trasmettendo allo spettatore una sensazione di impotenza, rassegnazione e malinconia.
La stessa brutte sensazioni che ha provato il regista nei 2 anni in cui si è immerso nel mondo oscuro di Martyrs, salvato soltanto, a suo dire, dalla dolcezza della storia d’amore tra Anna e Lucie.

Come sempre Laugier non ci vuole dare spiegazioni semplici, cosa che sarebbe impossibile visti i temi trattati.
Così la rivelazione finale di Anna ci viene nascosta, o meglio ne possiamo vedere il riflesso sul volto di Mademoiselle che deciderà di non condividere ciò che ha appreso con gli altri membri della setta ma si suiciderà.

I motivi possono essere diversi: ha scoperto che non c’è nulla dopo la morte? O che c’è qualcosa di meglio della vita che conosciamo che a questo punto non vale più la pena di vivere? O ancora il peso della rivelazione è troppo grande per essere sostenuto da un essere umano?
Possiamo solo fare ciò che dice Mademoiselle prima di spararsi: rimanere nel dubbio.

Ovviamente non può sfuggire la critica a tutti gli estremismi religiosi e alle folli conseguenze a cui possono portare, specialmente in un periodo in cui si sente fin troppo spesso parlare di martiri.
Come per lo Splat Pack, non si può poi non ricollegare l’utilizzo della tortura e la violenza estrema al periodo della guerra in Iraq e a tutti gli scandali che si è portato dietro, su tutti quello di Abu Grahib e la diffusione di immagini terribili (e reali) che hanno dimostrato come la tortura fosse pratica comune per ottenere informazioni dai sospetti terroristi.
A differenza di film come Saw e Hostel che possono essere interpretati come un risposta diretta ad Abu Grahib e altri fatti simili, in Martyrs Laugier di ricollega a una tradizione, quella del martirio, che è molto più antica, anche cinematograficamente, ispirandosi a qualsiasi opera d’arte che abbia trattato questa tematica, in particolare al capolavoro di Dreyer La passione di Giovanna d’Arco, citato più volte.

 

I BAMBINI, LA DONNA E IL SOPRANNATURALE 

Sottolineo poi brevemente la presenza di altre tre tematiche che abbiamo già visto nel film d’esordio del regista e che torneranno anche nei successivi.
In primis la centralità dei bambini, vere vittime innocenti della crudeltà del mondo. Lucie è stata torturata da bambina e tutto ciò che le accadrà in seguito è causa degli abusi subiti nell’infanzia.

In secondo luogo il fatto che le due protagoniste siano donne. In tutti i film di Laugier i protagonisti sono femminili e se si estende il discorso alla nouvelle vague horror francese, si nota che anche A l’interieur, Alta tensione e Frontier(s) sono tutti film al femminile. Non solo film al femminile ma opere in cui al centro c’è proprio il corpo della donna, sempre sottoposto a terribili violenze.
Laugier ha cercato di spiegare questa cosa, almeno per quanto riguarda il suo cinema, dicendo che lui si è avvicinato all’horror proprio attraverso film con protagoniste donne, come ad esempio Mia Farrow in Rosemary’s Baby e in Demonio dalla faccia d’angelo.
Si tratta però di un discorso più esteso che andrebbe affrontato separatamente, in riferimento a tutto il New Horror Francese.

Infine torna anche in Martyrs il rapporto tra realtà e soprannaturale. Il mostro demoniaco che perseguita Lucie non è altro che una proiezione del suo senso di colpa per non aver salvato un’altra ragazza rapita dalla setta, quando è riuscita a scappare da bambina. Ancora una volta il mondo fantastico interviene quando si è davanti a una realtà troppo difficile da elaborare e accettare.

 

COMPARTO TECNICO 

Bisogna dedicare infine un breve paragrafo alla realizzazione del film. Che piaccia o meno, non si può negare che Martyrs sia un film realizzato in modo impeccabile.
Più di ogni altra opera del regista, almeno per ora, funziona il meccanismo del continuo cambio di genere, merito di una sceneggiatura eccellente.
Il film inizia con Lucie da bambina che scappa dai rapitori, prosegue come una ghost story, si evolve diventando una sorta di rape and revenge, fino a quando, in puro stile Hitchcock, quella che credevamo essere la protagonista si suicida brutalmente, facendoci capire che il personaggio principale non è Lucie ma Anna. Da quel momento Martyrs abbandona tutti i cliché di genere di cui è infarcita la prima parte, diventando qualcosa di unico.

L’opera di Laugier funziona soprattutto perché lo spettatore non sa cosa pensare, ogni venti minuti il film cambia direzione infrangendo le aspettative degli appassionati di horror.
Dal punto di vista tecnico, lo stile è al servizio del contenuto e perciò varia nel corso della pellicola.
Inizialmente il regista predilige riprese a mano molto mosse e un montaggio frenetico nelle scene d’azione. In seguito, nella seconda parte del film, il ritmo rallenta e Laugier opta per un freddo minimalismo, privo di virtuosisimi o estetizzazioni superflue

A farla da padrone è lo splendido montaggio di Sébastien Prangère che opta per dei semplici ma efficaci stacchi con dissolvenza a nero per unire le varie tappe del martirio di Anna. Resta anche in questa parte la macchina a mano che si concentra sul volto della protagonista, senza la frenesia dell’incipit.
Anche la scenografia minimalista contribuisce a dare l’impressione di un ambiente asettico, molto diverso dagli scantinati luridi di Hostel. La tortura qui non è uno sfogo dei più reconditi istinti umani ma qualcosa di calcolato meticolosamente per ottenere un risultato.

Martyrs è uno dei pochi capolavori dell’horror contemporaneo, un film imprescindbile per chiunque si avvicini al genere, un vero punto di non ritorno e qualcosa che difficilmente può essere riprodotto.
Ci hanno provato gli americani ovviamente, con un remake nel 2015. È inutile dilungarsi sul risultato: un film del tutto privo della cattiveria, la sporcizia, il cinismo e la disperazione che caratterizzano la pellicola di Laugier, una delle più oscure che si siano mai viste.

 

La monografia continua nella terza parte…

 

Scritto da: Tomàs Avila.

 

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Note:

[1] http://www.comingsoon.net/horror/news/709991-exclusive-interview-martyrs-director-pascal-laugier

[2] http://www.comingsoon.net/horror/news/709991-exclusive-interview-martyrs-director-pascal-laugier

[3] http://www.electricsheepmagazine.co.uk/features/2009/05/02/martyrs-interview-with-pascal-laugier/

[4] http://www.electricsheepmagazine.co.uk/features/2009/05/02/martyrs-interview-with-pascal-laugier/