Monografia di Denis Villeneuve. Parte 2

In Cinema, Denis Villeneuve, Tomàs Avila by Tomas AvilaLeave a Comment

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Prima di cominciare avviso i lettori che, come in tutte le altre monografie del sito, sono presenti molti spoiler, necessari per analizzare al meglio i film presi in considerazione.

 

FILMOGRAFIA

REW-FFWD (cortometraggio, documentario), 1994 
Cosmos (segmento “Technétium, Le”), 1996 
Un 32 aout sur terre, 1998 
Maelstrom, 2000 
120 Seconds to Get Elected (cortometraggio), 2006
Happiness Bound (segmento),  2007
Next Floor (cortometraggio), 2008
Polytechnique, 2009
La donna che canta, 2010
Rated R for Nudity (cortometraggio), 2011
Etude empirique sur l’influence du son sur la persistance rétinienne (cortometraggio), 2011
Enemy, 2013
Prisoners, 2013
Sicario, 2015
Arrival, 2016
Blade Runner 2049, 2017

 

120 SECONDS TO GET ELECTED 

120 SECONDS TO GET ELECTED
Regia: Denis Villeneuve.
Soggetto: Denis Villeneuve.
Sceneggiatura: Denis Villeneuve.
Produttore: Silvia Basmajian, Mark J.W. Bishop, Judy Gladstone, Matt Hornburg, Colette Loumède.
Anno: 2006.
Durata: 2’.
Paese: Canada.
Interpreti e personaggi: Alexis Martin (Politico)

In questo cortometraggio Villeneuve mostra cinicamente come i politici ingannano il popolo, puntando sulla sua stupidità e ignoranza. La situazione sembra portata all’estremo ma invece, visti certi politici in circolazione, è più che mai aderente alla realtà. A rafforzare le false promesse di ricchezza e gli stupidi sillogismi del candidato, intervengono delle didascalie con scritte le parole più importanti del discorso: job, money, family, happiness, taxes, now.
Il popolo fa il verso quando si parla di lavoro ma appena si parla di soldi, di tasse rimosse e via dicendo, si esalta e acclama il candidato.
Il tutto è realizzato in bianco e nero alternando inquadrature del candidato che parla (interpretato da Alexis Martin, il protagonista di Un 32 aout sur terre) a inquadrature del pubblico. Le riprese sono girate con un cellulare.
2 minuti di satira feroce che fanno ben capire quale sia l’opinione del regista.

 

HAPPINESS BOUND 

Happiness Bound è un documentario collettivo, girato da undici registi che hanno trasposto 21 poesie scritte da poeti del Quebec.

 

NEXT FLOOR 

Next Floor
Regia: Denis Villeneuve.
Soggetto: Phoebe Greenberg.
Sceneggiatura: Jacques Davidts.
Musiche: Warren ‘Slim’ Williams.
Direttore della fotografia: Nicolas Bolduc.
Produttore: Maxence Bradley, Phoebe Greenberg, Penny Mancuso, Karen Murphy.
Anno: 2008.
Durata: 11’.
Paese: Canada.
Interpreti e personaggi: Simone Chevalot (guest), Luc-Martial Dagenais (musician), Kenneth Fernandez (guest), Mathieu Handfield (server), Ariel Ifergan (guest), Neil Kroetsch (musician).

Un anno prima del ritorno al lungometraggio, Villeneuve gira questo corto di 11 minuti, molto particolare.

La storia è semplice: degli uomini (da come sono vestiti e da come si comportano sembrano dell’alta società) sono seduti attorno a una tavola, impegnati a divorare ogni piatto che viene portato dai camerieri. Dopo poco le pietanze diventano sempre più grottesche e di cattivo gusto, sono infatti cadaveri di animali di ogni tipo.
Ad un certo punto il pavimento cede e il tavolo crolla insieme a tutti i commensali, fermandosi al piano di sotto. Dopo un primo momento di titubanza, tutti riprendono a mangiare e il tavolo continua a cedere, piano dopo piano, fino a quando non riesce più a fermarsi e sprofonda all’infinito.

In un primo momento Next Floor può sembrare una rappresentazione dell’inferno. Il contrappasso dei golosi è cadere giù all’infinito, schiacciati dal peso del cibo che continuano a mangiare. Anche l’ambientazione potrebbe far pensare a una visione dell’inferno, si tratta di un edificio abbandonato che cade a pezzi, un non luogo in cui i personaggi si trovano rinchiusi.
Tuttavia Villeneuve non sembra fermarsi qui. Considerando anche gli altri lavori del regista, si capisce che Next Floor è un atto di accusa verso la società del consumo e lo sfruttamento delle risorse naturali. La metafora è molto efficace, a partire dalle pietanze che vengono divorate (appunto animali di ogni tipo).

I commensali sprofondano sempre di più e ciò nonostante continuano ad abbuffarsi, facendo finta di niente. Il riferimento alla società del consumo è ovvio: si consuma tutto (che si parli di cibo o non) e in quantità eccessiva. E nonostante la situazione peggiori in continuazione si fa finta di niente continuando a divorare ogni cosa. Il finale è decisamente pessimista: arriverà il momento in cui non ci si fermerà più al piano di sotto ma si sprofonderà all’infinito, a causa del consumo sfrenato.
I servitori tuttavia non cadono nel vuoto, restano fermi a guardare precipitare chi prima si abbuffava; anche in questo caso il messaggio è abbastanza chiaro.

Per mandare questo messaggio, il regista e gli sceneggiatori puntano sul grottesco e sul cattivo gusto. Le pietanze, i personaggi, i rumori, l’insistenza su inquadrature della carne che viene tagliata e mangiata, tutto viene utilizzato per dare fastidio allo spettatore, che tuttavia ogni tanto sorride per l’assurdità della situazione.

Il cortometraggio è molto curato esteticamente e la cosa che colpisce di più è l’uso del sonoro. Il rumore delle posate che sfregano sui piatti, lo scricchiolio del legno che sta cedendo, sono tutti rumori che danno fastidio e vengono utilizzati apposta per ottenere questo effetto, un po’ come il pianto del bambino deforme di Eraserhead. E il paragone non è fatto a caso, come abbiamo visto e come vedremo soprattutto con Enemy, Villeneuve conosce bene i film di Lynch.

Dopo 120 seconds to get elected, il regista ritorna a colpire con forza la società. Questi cortometraggi sono fondamentali per conoscere il pensiero di Villeneuve e aiutano anche a capire meglio i suoi ultimi film in cui la critica sociale e politica è più presente.

 

POLYTECHNIQUE 

Polytechnique

 

Regia: Denis Villeneuve.
Sceneggiatura: Jaques Davidts, Denis Villeneuve, Eric Leca.
Musiche: Benoit Charest.
Direttore della fotografia: Pierre Gill.
Produttore: Nathalie Briditte Bustos, Don Carmody, Julien Remillard, André Rouleau, Maxime Rémillard, Karine Vanesse.
Anno: 2009.
Durata: 77’.
Paese: Canada.
Interpreti e personaggi: Maxime Gaudette (l’assassino), Karine Vanesse (Valérie), Sébastien Huberdeau (Jean-Francois), Martin Watier (Jean-Francois), Evelyne Brochu (Stéphanie).

 

Montréal, dicembre 1989. Valérie, brillante studentessa all’École Polytechnique, sogna di diventare ingegnere aeronautico, nonostante le resistenze di superiori burocrati che ritengono incompatibili l’essere donna col fare carriera. Non la pensa diversamente ma in maniera più radicale uno studente del Politecnico, che armato di fucile e follia irrompe nell’Ateneo sparando e uccidendo soltanto le ragazze. Sopravvissuta miracolosamente all’attentato, Valérie proverà a ricostruirsi una vita in un mondo di uomini. (da Mymovies)

Dopo una pausa di nove anni, Villeneuve torna a dirigere un lungometraggio: Polytechnique.
Polytechnique Il tema è quello delle stragi nelle scuole/università, già affrontato più volte al cinema. Sul nostro sito abbiamo trattato l’argomento con le recensioni di Elephant[1], …E ora parliamo di Kevin[2] e Confessions[3], tre film in cui il tema viene declinato in molti modi e analizzato da punti di vista differenti.
Polytechnique si inserisce in questa serie di opere, avvicinandosi ad alcune (Elephant su tutte) ma portando un altro punto di vista ancora.

Insieme a La donna che canta e Enemy, questo è il terzo lungometraggio di Villeneuve in cui si nota l’influenza che l’educazione scientifica ha avuto su di lui. Non perché è ambientato in un’università, bensì perché il regista cerca un parallelo tra la scienza e la vicenda raccontata. Più volte sentiamo parlare di entropia (misura del disordine presente in un sistema fisico), concetto che viene sviluppato parallelamente alla storia della strage. Dall’ordine iniziale al caos che si viene a creare quando un ragazzo entra nell’ateneo armato di fucile e inizia a sterminare tutte le donne che vede.
Il film distingue dagli altri citati in precedenza per almeno due motivi.
Polytechnique Per prima cosa si capisce che a Villeneuve non interessano più di tanto le motivazioni, che sono appena accennate nei primi minuti del film. O meglio, il ragazzo che compie la strage ci spiega come mai ha deciso di arrivare ad un gesto così estremo, però non viene mai indagata la sua vita prima del massacro. Non sappiamo
se il tutto deriva da una condizione familiare o da qualche altra cosa. Il regista si concentra particolarmente sul momento della strage e su come l’ordine di una giornata qualunque venga sconvolto in così poco tempo.
La seconda sostanziale differenza è l’inserimento del tema della discriminazione delle donne. Lo studente responsabile del massacro rappresenta la discriminazione (e l’odio) portati all’estremo ma all’inizio assistiamo a una scena in cui Valérie viene (neanche troppo celatamente) discriminata perché donna.

La storia viene raccontata da diversi punti di vista e assistiamo più volte ad alcune scene, vissute da personaggi diversi. Polytechnique Inoltre Villeneuve non si concentra solo sul durante ma anche su ciò che succede dopo al massacro, sulle conseguenze che questo ha sui vari personaggi.
E il marchio indelebile che il massacro ha lasciato porta ad un finale molto pessimista in cui Valérie, che aspetta un bambino, scrive una lettera alla madre dello studente assassino, dicendole che per la seconda volta ha
veramente paura. La prima era stata durante il massacro e la seconda è adesso che sta per avere un bambino (o una bambina). Valérie ha paura di far nascere un bambino in un mondo in cui possono succedere cose del genere.

Villeneuve ci offre un punto di vista interessante riguardo a questo tema già più volte trattato. Anche tecnicamente il film si distingue: è girato in un bianco e nero che rende tutto ancora più freddo. I movimenti di macchina si differenziano da quelli di Gus Van Sant[4] in Elephant. Polytechnique Van Sant adottava dei piani sequenza interminabili che pedinavano i personaggi seguendoli alle spalle nelle azioni quotidiane. Villeneuve utilizza anche dei piani sequenza e long takes (alcuni molto complicati) che seguono i personaggi ma molto spesso la telecamera si ferma, lasciandoli andare. Spesso insiste su i primi piani degli studenti e colpiscono delle riprese capovolte come quella con cui si chiude il film (che tra l’altro ricorda molto un’inquadratura di Enemy).

 

LA DONNA CHE CANTA 

 

La donna che cantaRegia: Denis Villeneuve.
Soggetto: Wajdi Mouwad.
Sceneggiatura: Denis Villeneuvem Valérie Beaugrand-Champagne.
Musiche: Grégoire Hetzel.
Direttore della fotografia: André Turpin.
Produttore: Anthony Doncque, Luc Déry, Phoebe Greenberg, Penny Mancuso, Kim McCraw, Miléna Poylo, Gilles Sacuto, Ziad Touma, Stephen Traynor, Sylvie Trudelle.
Anno: 2010.
Durata: 139’.
Paese: Canada, Francia.
Interpreti e personaggi: Maxim Gaudette (Simon Marwan), Rémy Girard (notaio Jean Lebel), Mélissa Désormeaux-Poulin (Jeanne Marwan), Lubna Azabal (Nawal Marwan).

Nonostante non sia uno dei migliori lavori del regista, anzi a dirla tutta da molti è sopravvalutato, questo quarto lungometraggio segna una svolta importantissima nella carriera di Villeneuve.

In seguito alla morte della madre Nawal, due gemelli, Jeanne e Simon, scoprono alla lettura del testamento di avere un fratello e un padre ignoti a Beirut. Dei due, solo Jeanne decide di relazionarsi alla scoperta e di partire per Deressa (o Daresh), dove la madre compì i suoi studi universitari. La donna che cantaLe ricerche della figlia procedono di pari passo con uno sguardo al tragico percorso giovanile della madre, entrambi diretti verso la verità sui parenti scomparsi. (da mymovies)

Dei film girati nella prima parte della sua carriera (quella da indipendente, ancora in Canada) La donna che canta è sicuramente quello più rivolto al grande pubblico, tanto da essere stato candidato agli oscar come miglior film straniero. Segna una svolta importante nella carriera del regista per diversi motivi.
Il primo e più importante e ovviamente il fatto che, avendo deciso di rivolgersi ad un pubblico più ampio, ha destato l’interesse di Hollywood. Si tratta di una storia cruda ma avvincente che inizia ad avvicinare il regista al cinema di genere, il thriller in questo caso, anche se la componente drammatica rimane prevalente.
Inoltre si nota come il film sia ripulito da tutti gli elementi più sperimentali e stravaganti che si potevano trovare, per esempio, in Maelstrom o in Polytechnique. Altra cosa che rende il prodotto fruibile da un numero maggiore di persone.
La donna che cantaLa cosa che invece può essere vista come una continuazione di ciò che aveva già fatto in Polytecnique è il parallelismo tra matematica (nel caso del film precedente era la fisica) e la vita.

La donna che canta è strutturato come un’equazione in cui lentamente tutti i termini vanno al loro posto, fino ad arrivare alla soluzione finale. I riferimenti alla matematica sono diversi, si pensi ai discorsi del professore universitario oppure a quando Simon chiede alla sorella se 1+1 possa dare 1 come risultato.
Insomma il film in un certo senso ha una struttura matematica, anche se certe cose non tornano del tutto nella trama, come le date di nascita dei personaggi che non sono credibili. Il finale inoltre, che è ciò su cui puntava di più Villeneuve, è sicuramente sorprendente però poco credibile.

Con questo non voglio dire che sia un brutto film, anzi. La regia inizia a diventare più matura e più vicina a quella degli ultimi lavori di Villeneuve, ad esempio per l’uso che fa del fuori campo e dei campi lunghi per stemperare le scene più cruente.
La donna che cantaIn generale, a livello tecnico, si tratta di una pellicola di ottimo livello e certe scene non si dimenticano, in particolare quella con cui si apre il film che da sola ne vale la visione.

Molti hanno criticato il fatto che La donna che canta non descrive bene la situazione dei posti in cui è ambientato, che non prende una posizione netta e via dicendo. Per me l’intento di Villeneuve era quello di raccontare una storia incredibile, più che di denunciare una situazione. Quindi è vero che la critica sociale passa in secondo piano. Nonostante si vedano in continuazione violenze e discriminazioni, la critica sociale viene quasi completamente eliminata per far spazio alla storia della donna che canta. Ma ripeto, non credo proprio fosse sua intenzione fare altrimenti. Certo, lo spiazzante colpo di scena finale è fin troppo furbo e poco credibile, però nel complesso il film funziona e, grazie all’impostazione da thriller, riesce a tenere l’attenzione dello spettatore sempre costante.

In conclusione La donna che canta merita di essere visto e probabilmente potrà anche piacere ai più. La donna che cantaA me infastidisce un po’ la volontà di stupire a tutti i costi che contraddistingue la prima parte della carriera di Villeneuve. Nei primi film ciò avveniva sia a livello narrativo che a livello formale, in questo caso attraverso la sola narrazione. Fortunatamente negli ultimi lavori il regista ha abbandonato questo modo di fare, realizzando le sue opere più importanti. In ogni caso, nonostante tutte le critiche, il talento di Villeneuve si nota già dal suo periodo canadese e, film dopo film, diventa sempre più impossibile non accorgersene.

 

 

RATED R FOR NUDITY e ETUDE EMPIRIQUE SUR L’INFLUENCE DU SON SUR LA PERSISTANCE RETIENNE  

Questi due brevissimi cortometraggi (circa 3 minuti il primo e appena 1 minuto il secondo) dimostrano ancora una volta come Villeneuve sia interessato anche alla parte più sperimentale del cinema.
Realizza infatti questi due esperimenti in cui tutto ciò che vediamo sono scritte (o frame completamente colorati).

In Rater R for nudity il regista racconta ironicamente una sorta di autobiografia. Però spesso ciò che dice il narratore e le scritte che compaiono sullo schermo si contraddicono. Dovrebbe essere una sorta di (ironico) tentativo di ipnosi di massa, infatti alla fine compare la scritta “Il vostro subconscio è mio, il vostro subconscio mi appartiene” e in seguito compare l’immagine per meno di un secondo.

Etude…. si occupa invece  (come si intuisce dal titolo) di come il suono influenzi la persistenza delle immagini sulle retine. Tutto ciò che vediamo sono frame verdi e frame rossi che si alternano, con una canzone di sottofondo. L’impressione che si ha è quella che cambi il ritmo dell’alternanza dei frame in base al ritmo della canzone.

 

Continua…

 

Scritto da: Tomàs Avila.

 

Note:

[1] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt0363589/?ref_=nm_knf_i3 .

[2] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt1590089/?ref_=fn_al_tt_1 .

[3] Link IMDB del film: http://www.imdb.com/title/tt1242460/?ref_=fn_al_tt_1 .

[4] Link IMDB del regista: http://www.imdb.com/name/nm0001814/?ref_=nv_sr_1 .